Visto il grande interesse suscitato dall’approfondimento da me pubblicato in materia qualche giorno fa su questo stesso sito, ritengo utile illustrare, in sintesi, i vari orientamenti seguiti da alcuni uffici giudiziari italiani, onde evitare possibili paralisi dei procedimenti, in conseguenza dell’intervenuta abrogazione delle tariffe professionali.

E così, i Presidenti della Corte d’Appello e del Tribunale di Milano, per garantire  criteri omogenei di liquidazione ed ovviare allo stallo dei procedimenti (in particolare di quelli monitori ed esecutivi, che prevedono una liquidazione o indicazione anticipata delle spese) nell’attesa che il legislatore fornisca chiarimenti in sede di conversione del Decreto Legge n. 1/12, hanno sottoscritto un documento che statuisce l’ultrattività di fatto delle vecchie tariffe, da utilizzare come “criteri di riferimento” sino all’emanazione di nuovi parametri certi e definiti.

In attesa del decreto ministeriale che indichi i criteri che debbano utilizzare i magistrati nel liquidare le spese, il Presidente del Tribunale di Roma, con provvedimento del 9 febbraio 2012, ha emanato una direttiva rivolta a tutti i magistrati del Tribunale Ordinario della Capitale. Nel documento viene suggerito ai giudici di prendere come riferimento la previgente tariffa professionale degli Avvocati, al fine della determinazione dei compensi.

Il Tribunale di Cosenza, per contro, ha investito la Consulta della questione di costituzionalità dell’art. 9 in esame in quanto, in sede di condanna di una parte al pagamento delle spese processuali, ha ritenuto irragionevole  l’assenza  di una disciplina transitoria che gli consentisse di liquidare le spese secondo il disposto dell’art. 91 c.p.c., non potendosi - a suo avviso -  configurare l’ultrattività delle tariffe abrogate.

il Tribunale di Verona ha emanato una circolare interpretativa secondo cui: all’attività riconducibile ai conferimenti di incarichi ed ai procedimenti anteriori all’entrata in vigore del decreto, continuerebbero ad applicarsi le tariffe abrogate, giusto il combinato disposto degli artt. 91 c.p.c. e 75 disp. att. c.p.c. Per i decreti ingiuntivi ed i procedimenti di convalida di sfratto successivi all’abrogazione delle tariffe, sarebbero ancora applicabili (in attesa dei decreti ministeriali attuativi) i criteri di cui alle tabelle orientative frutto di convenzioni con il locale ordine degli avvocati in precedenza utilizzati, alla luce dell’art. 2225 c.c. Per gli atti di precetto, la scelta sarebbe tra le seguenti alternative 1) attesa dell’emanazione del D.M.; 2) richiesta di capitale, interessi e spese liquidate, con aggiunta dell’espressione “oltre ai compensi successivi da determinare in base all’emanando D.M. di cui all’art.9 co. 2 DL n. 1/2012 da liquidarsi dal G.E. o, in difetto, da azionare con separato atto di precetto; 3) indicazione dei compensi in forza delle tariffe abrogate (che secondo il Tribunale di Brescia andrebbero comprese in un unica voce), “con riserva espressa di adeguamento dei compensi sopra indicati ai parametri che verranno stabiliti dal D.M. di cui all’art.9 co. 2 DL n. 1/2012  ed obbligo di restituzione dei compensi eccedenti in ipotesi percepiti”.

Altri Tribunali, poi, hanno scelto regimi intermedi, con l’applicazione delle vecchie tariffe ai procedimenti depositati e/o in corso alla data di entrata in vigore del decreto, ed il riferimento alle previgenti tariffe  - seppur adeguate negli importi -  per i nuovi giudizi, in caso di liquidazione delle spese da parte del giudice ed in assenza dei parametri ministeriali ex art. 9 c. 2 D.L. 1/12.

Tuttavia, se le principali problematiche applicative si pongono per tutti quei procedimenti in cui l’indicazione delle competenze e spese avvenga nella fase iniziale (decreto ingiuntivo / precetto), in particolare la questione emerge, in tutta la sua evidenza, in sede di redazione di quest’ultimo, senza che nessuna delle soluzioni fin qui prospettate (salvo quella del Tribunale di Verona) consenta di risolvere il problema.

Né pare condivisibile quanto precisato al riguardo dal Ministero di Giustizia in risposta ad un’interrogazione parlamentare, e cioè che a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 9, comma 1, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, non si è venuto a creare alcun vuoto normativo. Infatti, l’art. 2233 c.c. stabilisce che il compenso, se non è convenuto dalle parti e non può essere determinato secondo le tariffe: a) viene determinato in base agli usi; b) in mancanza di usi è determinato dal giudice - sentito il parere dell’associazione professionale a cui il professionista appartiene - in misura adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione.

Alla luce di tali disposizioni, quindi, secondo l’interpretazione fornita dal Ministero, si potrebbe delineare, in ambito nazionale o distrettuale per le varie sedi di Corte d’Appello, un uso normativo fondato sulla spontanea applicazione dei criteri di liquidazione del compenso già previsti dalle tariffe abrogate, nella convinzione della loro persistente vincolatività, fino a quando non saranno adottati i decreti ministeriali previsti dall’articolo 9, comma 2, del decreto-legge.

In mancanza di usi normativi, il giudice potrà, comunque, liquidare il compenso in base al criterio residuale previsto dall’articolo 2233 del codice civile e, in tal caso, l’applicazione delle tariffe abrogate dal decreto legge n. 1 del 2012 potrebbe venire in rilievo come criterio equitativo per valutare l’adeguatezza del compenso all’importanza dell’opera e al decoro della professione.

A tal riguardo, tuttavia, va rilevato che la formazione di uso normativo richiede un requisito oggettivo (ripetizione costante nel tempo di un comportamento da parte di un numero indifferenziato di persone) e uno soggettivo (convinzione che quel dato comportamento sia vincolante  - opinio iuris ac necessitatis); ma, nel caso di specie, difetterebbero entrambi i requisiti atteso che  il decreto è stato approvato troppo di recente.

Una soluzione, allora, potrebbe essere la seguente: per la redazione e la successiva notifica dell’atto di precetto la parte può avvalersi di un legale e, conseguentemente, allegherà all’atto il preventivo richiesto allo stesso ai sensi dell’art. 9 c. 3 D.L. 1/12.

Tale soluzione appare in linea con lo spirito della nuova disposizione poiché il legislatore, disciplinando il preventivo, ha ritenuto che il professionista, nella determinazione della misura del compenso, deve adeguare la prestazione all’importanza dell’opera e questa“… va pattuita indicando per le singole prestazioni tutte le voci di costo, comprensive di spese, oneri e contributi;  e, in ogni caso, consente di ancorare ad un dato normativo una situazione che altrimenti sarebbe priva di riferimenti legislativi.

Essa, poi, non è escluso che possa pplicarsi anche in sede di procedimento monitorio, quale criterio di riferimento per il giudice, in attesa dell’emanazione del decreto ministeriale contenente i parametri.

In ogni caso, la liquidazione del giudice del monitorio non potrà indicare anche la spesa per l’eventuale atto di precetto. Al contrario, il preventivo, stante la lettera della norma, dovendo indicare le singole prestazioni potrà sin dall’inizio riportare le spese per l’atto di precetto e il procedimento esecutivo, seppur con l’indicazione che saranno dovute solo per le attività effettivamente svolte.