Anche a non voler considerare la particolare modalità di superamento degli esami “a distanza”, dato l’esiguo periodo d’esercizio della professione forense nello Stato membro d’origine (peraltro non documentato), pur nel rispetto del requisito formale (l’iscrizione nell’Albo) posto dalle norme comunitarie a garanzia dello stabilimento del professionista nei diversi Paesi dell’Unione Europea, non si versi nel caso, obiettivamente tutelato dalla Direttiva 98/5/CE, di un professionista di uno Stato membro che voglia trasferire l’esercizio della propria attività in altro Stato membro dell’Unione Europea; bensì in quello, concretante il sopra descritto abuso del diritto comunitario, in cui si rileva da un lato la circostanza oggettiva per la quale, nonostante il rispetto formale delle condizioni previste dalla normativa comunitaria, l’obiettivo perseguito dalla normativa stessa non è stato perseguito dalla normativa stessa non è stato perseguito e raggiunto; dall’altro, un elemento soggettivo, consistente nella volontà di ottenere un vantaggio (quello di esercitare la professione legale in Italia, senza il superamento di un esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio, prescritto dall’art. 33, co. 5, della Costruzione), attraverso un uso eterodosso della normativa comunitaria, mediante la creazione artificiosa delle condizioni necessarie per il suo ottenimento. Ne consegue che la domanda d’iscrizione non può essere accolta Consiglio Nazionale Forense decisione n. 50 del 15.03.2012


Consiglio Nazionale Forense decisione n. 50 del 15.03.2012

Con ricorso notificato in data 9 novembre 2011 al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di (….), il Dott. S.F. impugnava il silenzio formatosi in relazione alla sua domanda di iscrizione nella Sezione Speciale degli Avvocati stabiliti dell’Albo tenuto dal Consiglio dell’Ordine di (…), domanda depositata in data 6 ottobre 2011.
Il ricorrente, iscritto al Registro speciale dei Praticanti Avvocati del COA di (…) a far data dal 25 febbraio 2008, ammesso all’esercizio del patrocinio ex art. 8 r.d. 1578/1933 dal 15 aprile 2009, corredava la domanda di iscrizione alla sezione speciale dell’Albo di diversi documenti, comprovanti l’omologazione del titolo universitario italiano in Spagna, previo superamento di dieci esami integrativi presso l’Università di Cordoba, nonché dell’iscrizione presso l’”illustre Colegio de Abogados de Madrid” a far data dal 9 agosto 2011 e dell’iscrizione alla Mutualidas de la Abogacia, l’istituto previdenziale degli avvocati spagnoli.
Trascorsi più di trenta giorni dalla presentazione della domanda, a seguito di richieste d’informazione sullo stato del procedimento al COA rimaste senza riscontro, il ricorrente proponeva ricorso a questo Consiglio Nazionale, ai sensi dell’art. 6, co. 8 del D.Lgs. 96/2001, con il ministero di avvocato iscritto nell’Albo dei patrocinanti davanti alle Giurisdizioni Superiori, spiegando un unico mezzo di ricorso.
Diritto
1. il motivo di ricorsi è unico e si riferisce alla violazione dell’art. 6, commi 6 e 7, del D.Lgs 96/2001. Si afferma nel ricorso che, trattandosi di attività vincolata, ai COA non residuerebbe alcuno spazio discrezionale sulla valutazione dei requisiti di iscrizione; si afferma inoltre che il silenzio sull’istanza d’iscrizione, in presenza delle condizioni richieste dalla legge e in assenza di motivi di incompatibilità sarebbe fonte di un pregiudizio suscettibile di tutela risarcitoria. Il ricorrente chiede dunque che il Consiglio Nazionale Forense provveda nel merito sulla domanda di iscrizione nella Sezione Speciale degli Avvocati Stabiliti dell’Albo di (…).
Ritiene il Collegio che il ricorso non sia fondato e che, nel merito, la domanda d’iscrizione del ricorrente nella Sezione Speciale degli Avvocati Stabiliti dell’Albo di (…) non possa essere accolta.
L’esercizio permanente della professione d’avvocato in Italia da parte di un cittadino di uno Stato membro della CE in possesso di un titolo corrispondente a quello di avvocato, conseguito in altro Paese, è regolato dal Decreto Legislativo n. 96/2001, adottato in attuazione della direttiva 98/5/CE.
All’art. 6 del decreto di prevede che il professionista che intenda esercitare la professione in Italia deve chiedere l’iscrizione nella Sezione Speciale dell’Albo degli Avvocati dedicata agli avvocati stabiliti, che gli consente l’esercizio professionale con il titolo acquisito nel Paese di origine, indicato nella lingua ufficiale dello Stato membro di origine. L’iscrizione è subordinata all’intervenuta e costante iscrizione dell’istante presso la competente organizzazione professionale dello Stato membro di origine. La domanda deve essere corredata dai documenti comprovanti la cittadinanza di uno Stato membro dell’Unione europea la residenza o il domicilio professionale l’iscrizione all’organizzazione professionale dello Stato membro d’origine in data non anteriore a tre mesi dalla data di presentazione. Ai sensi del comma 6, dell’art. 6, del citato decreto, il Consiglio dell’Ordine, entro trenta giorni dalla presentazione della domanda o dalla sua integrazione, “accertata la sussistenza della condizioni richieste, qualora non ostino motivi di incompatibilità, ordina l’iscrizione nella Sezione Speciale e ne dà comunicazione alla corrispondente autorità dello Stato membro di origine”. Il comma 7 prevede infine che il rigetto della domanda non possa essere pronunciato se non dopo avere sentito l’interessato, il quale, ove il Consiglio non abbia provveduto entro il termine previsto, può, entro dieci giorni dalla scadenza del termine, presentare ricorso al Consiglio Nazionale Forense.
La lettera della norma parrebbe delineare un ambito di discrezionalità nella deliberazione in capo al Consiglio dell’Ordine con riferimento alla valutazione della domanda di iscrizione tra gli avvocati stabiliti. Tuttavia, l’interpretazione dell’art. 6, comma 6, del d.lgs. 96/2001 non può non tener conto di quella delle corrispondenti previsioni della direttiva 98/5, della quale il decreto costituisce attuazione, che pongono stretti limiti alla discrezionalità del Consiglio dell’Ordine nella delibazione della domanda d’iscrizione.
Si deve ricordare, in proposito, che la Corte di Giustizia CE ha preso in considerazione la possibilità per lo Stato ospitante di porre ulteriori requisiti da cui far dipendere il diritto di un avvocato ad esercitare stabilmente le sue attività in altro Paese membro (C-506/09 Wilson, 19 settembre 2006).
In questo caso, il Paese ospitante aveva deciso di subordinare l’iscrizione alla Sezione Speciale dell’Albo degli Avvocati al superamento di una prova di conoscenza delle tre lingue in uso dinnanzi ai propri Giudici. La Corte di giustizia, adita in via pregiudiziale, aveva però statuito che “l’unico requisito cui deve essere subordinata l’iscrizione dell’interessato nello Stato membro ospitante, che gli consente di esercitare la sua attività in quest’ultimo Stato membro con il suo titolo professionale d’origine” è “la presentazione all’autorità competente dello Stato membro ospitante di un certificato di iscrizione presso l’autorità competente dello Stato membro (di provenienza)”.
Allo stesso modo, in un recente giudizio avente ad oggetto il rifiuto opposto da un Consiglio dell’Ordine ad una domanda di iscrizione nell’Albo Speciale per gli avvocati stabiliti, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato “l’illegittimità di ogni ostacolo frapposto, al di fuori delle previsioni della normativa comunitaria, al riconoscimento, nello Stato (ospitante), del titolo professionale ottenuto dal soggetto nello Stato (di origine)”
(Cass: SS.UU., 22 dicembre 2011, n. 28340),
si deve quindi ritenere che non sia legittimo che lo Stato membri, che accogli il professionista ad esercitare in modo permanente al proprio interno, in assenza di condizioni d’incompatibilità, ponga altre condizioni all’iscrizione che non siano quelle sopra ricordate (cittadinanza comunitaria, domicilio, iscrizione all’organizzazione professionale nello Stato d’origine)
2. Fatte queste premesse, si deve peraltro ricordare che la stessa direttiva 98/5/CE del Parlamento e del Consiglio, per essere fonte di diritto dell’Unione Europea c.d. derivato, deve essere a sua volta interpretata alla luce delle fonti che, in tale ordinamento, sono dotate di rango ad essa superiore; quale è, in particolare, il principio generale che pone il divieto de l c.d. aduso del diritto.
Il principio secondo cui “gli interessati non possono avvalersi abusivamente o fraudolentemente del diritto comunitario” è costante nella giurisprudenza della Corte di Giustizia e figura fra i principi generali dell’ordinamento dell’Unione: si tratta di quello che sanziona il comportamento di chi, pur nel rispetto formale delle condizioni poste dal diritto dell’Unione Europea, si ponga di ottenere un vantaggio derivante dalle nome comunitarie attraverso la creazione artificiosa delle condizioni necessarie per il suo ottenimento (fra le molte pronunce, si vedano: 21.2.2006, causa C-255/02, Halifax e a., Raccolta p I-1609, punti 68, 76,77; 12.9.2006, causa C-196/04, Cadbury Schweppes, , Raccolta, p. I-7995, punto 35; 23.10.2008, causa C-286/06 Commissione c. Spagna, Raccolta, p. I-8025, punto 69, 70; Avvocato Generale Trstenjak in causa C-118/09, Koller, punti 80-87; 14 dicembre 2000, causa c-110(99, Emsland Starke, Raccolta, pag. I-11569).)
Dalla giurisprudenza citata risulta che uno Studio membro “ha il diritto di adottare misure volte ad impedire che, grazie alle possibilità offerta dal Trattato, taluni dei suoi cittadini tentino di sottrarsi all’impero delle leggi nazionali, e che gli interessati non possono avvalersi abusivamente o fraudolentemente del diritto comunitario”. Tra tali misure figura, innanzitutto, il potere degli Stati di verificare la sussistenza di ipotesi di abuso del diritto.
Nella sentenza Emsland Starke, la Corte ha precisato che, per accertare l’esistenza di comportamenti abusivi, occorre la compresenza di due elementi; da un lato, di “un insieme di circostanze oggettive dalle quali risulti che, nonostante il rispetto formale delle condizioni previste dalla normativa comunitaria, l’obiettivo perseguito dalla detta normativa non è stato raggiunto”; dall’altro, di “un elemento soggettivo che consiste nella volontà di ottenere un vantaggio derivante dalla normativa comunitaria mediante la creazione artificiosa delle condizioni necessarie per il suo ottenimento.”
Posto che lo scopo delle direttiva 98/5/CE è, a norma del suo art. 1, primo comma, !di facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato… in uno Stato membro diverso da quello nel quale è stata acquisita la qualifica professionale” e non quello di regolare “l’accesso alla professione di avvocato” in detto Stato membro (considerando no. 7) l’affermazione della sussistenza di una discrezionalità in capo ai Consigli dell’Ordine nella valutazione della domanda d’iscrizione nella Sezione Speciale dell’Albo riservata agli avvocati stabiliti, anche in ordine alla sussistenza di pratiche abusive, pur non essendo specificamente richiamato dalla direttiva 98/5/CE, appare dunque conforme dalla citata giurisprudenza della Corte di Giustizia in materia di abuso del diritto.
3. questo detto, per venire al merito del presente giudizio, risulta dai documenti prodotti a sostegno dell’istanza che il ricorrente, dopo aver conseguito presso l’Università di Cordoba il Diploma di “Esperto di Diritto Spagnolo per giuristi italiani” nella modalità “a distanza” e l’omologazione della laurea in Giurisprudenza conseguita in Italia all’omologo titolo universitario spagnolo di laureato in legge, ha conseguito l’iscrizione nell’Albo tenuto presso l’”illustre Colegio de Abogados de Madrid” a far data dal 9 agosto 2011; e che lo stesso, meno di due mesi dopo, in data 6 ottobre 2011, ha presentato la domanda di iscrizione nella Sezione Speciale degli Avvocati stabiliti dell’Albo tenuto dal Consiglio dell’Ordine di (….). ora, pare a questo Collegio che, anche a non voler considerare la particolare modalità di superamento degli esami “a distanza”, dato l’esiguo periodo d’esercizio della professione forense nello Stato membro d’origine (peraltro non documentato), pur nel rispetto del requisito formale (l’iscrizione nell’Albo) posto dalle norme comunitarie a garanzia dello stabilimento del professionista nei diversi Paesi dell’Unione Europea, non si versi nel caso, obiettivamente tutelato dalla Direttiva 98/5/CE, di un professionista di uno Stato membro che voglia trasferire l’esercizio della propria attività in altro Stato membro dell’Unione Europea; bensì in quello, concretante il sopra descritto abuso del diritto comunitario, in cui si rileva da un lato la circostanza oggettiva per la quale, nonostante il rispetto formale delle condizioni previste dalla normativa comunitaria, l’obiettivo perseguito dalla normativa stessa non è stato perseguito dalla normativa stessa non è stato perseguito e raggiunto; dall’altro, un elemento soggettivo, consistente nella volontà di ottenere un vantaggio (quello di esercitare la professione legale in Italia, senza il superamento di un esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio, prescritto dall’art. 33, co. 5, della Costruzione), attraverso un uso eterodosso della normativa comunitaria, mediante la creazione artificiosa delle condizioni necessarie per il suo ottenimento. Ne consegue che la domanda d’iscrizione non può essere accolta.
p.q.m
il Consiglio Nazionale Forense, riunitosi in Camera di Consiglio;
visti gli artt. 50 e 54 del R.D.L. 27.11.1933, n. 1578 e gli artt. 59 e segg. Del R.D. 22.1.1934, n.37
respinge il ricorso.