La legge del 3 ottobre 2001 n. 366 ed il successivo decreto legislativo del 11 aprile 2002 n. 61 hanno modificato il diritto penale societario riformando gli illeciti penali ed amministrativi presenti nel codice civile (artt. 2621 e segg.) e sostituendo il Titolo XI del libro V del codice civile (Disposizioni penali in materia di società e consorzi).

In particolare L'art. 11 della legge-delega, recante la "Disciplina degli illeciti penali e amministrativi riguardanti le società commerciali", indica i principi e i criteri direttivi a cui si ispira la riforma della disciplina penale delle società commerciali.

Va evidenziato che la normativa su indicata deve essere letta in coordinazione con la legge 29 settembre 2000 n. 300 e con il decreto legislativo 8 giugno 2001 n. 231, che hanno introdotto la responsabilità amministrativa degli enti per i reati commessi nel loro interesse o vantaggio dai propri apici o sottoposti.

L’art 11 lett. h infatti prescriveva di introdurre, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi contenuti nella legge 300/2001, una specifica disciplina della responsabilità amministrativa delle società in relazione alla commissione di taluno dei reati indicati nelle lettere a) e b) dello stesso articolo. Conseguentemente, con il D.lg. 61/2002 viene introdotto l’art 25-ter al d.lg. n. 231/2001, che elenca i reati societari da cui può derivare la responsabilità della società stessa.

Alcuni dei reati societari contemplati dal Codice Civile diventano dunque reati presupposti della responsabilità amministrativa degli enti.

L’ente potrà essere chiamato a rispondere se il reato è stato commesso nel suo interesse da parte di amministratori, direttori generali o liquidatori o da persone sottoposte alla vigilanza di questi ultimi, qualora il fatto non si sarebbe realizzato se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi inerenti alla loro carica.

Si noti al riguardo che l’art. 25 ter fa riferimento esclusivamente all’interesse dell’ente e non anche al vantaggio, a differenza di quanto stabilito in via generale dall’art. 5 del D.lg 231/2001.

Si è detto in dottrina ed in giurisprudenza che tale omissione non è altro che una svista del legislatore, che tuttavia, non esclude l’applicazione dei criteri generali fissati nel D.lg. 231. D’altra parte, invece, si è ritenuto che il legislatore abbia voluto riprodurre nel caso dei reati societari l’unico criterio veramente indispensabile al fine della responsabilità dell’ente, ossia l’interesse.  

Ciò in quanto in ogni caso il conseguimento di una vantaggio oggettivo da parte dell’ente in conseguenza del reato presupposto non comporta la responsabilità dell’ente in assenza di una finalizzazione soggettiva della condotta illecita tenuta dall’apice o dal sottoposto.
I reati che possono far scattare la responsabilità della società sono quelli di cui alle lettere a) e b) dell’art 11 citato, ossia:

  • False comunicazioni sociali (art. 2621 c.c.);
  • False comunicazioni sociali in danno dei soci o dei creditori (art. 2622, comma 1 e 3, c.c.);-
  • Falsità nelle relazioni o nelle comunicazioni delle società di revisione (art. 2624, comma 1 e 2, c.c.);
  • Impedito controllo (art. 2625, comma 2, c.c.);
  • Formazione fittizia del capitale (art. 2632 c.c.);
  • Indebita restituzione di conferimenti (art. 2626 c.c.);
  • Illegale ripartizione degli utili e delle riserve (art. 2627 c.c.);
  • Illecite operazioni sulle azioni o quote sociali o della società controllante (art. 2628 c.c.);
  • Operazioni in pregiudizio dei creditori (art. 2629 c.c.);
  • Indebita ripartizione dei beni sociali da parte dei liquidatori (art. 2633 c.c.);
  • Illecita influenza sull’assemblea (art. 2636 c.c.);
  • Aggiotaggio (art. 2637 c.c.);
  • Omessa comunicazione del conflitto d’interessi (art. 2629-bis c.c.) [Articolo aggiunto dalla L. 28 dicembre 2005, n. 262, art. 31];
  • Ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza (art. 2638, comma 1 e 2, c.c.).

Tali reati possono essere commessi solo da chi detiene un potere gestorio istituzionale nella società e da chi svolge compiti di certificazione a tutela di interessi generali.

Tra le ipotesi criminose contemplate dalla legge-delega 366/01 rientravano anche le figure dell’infedeltà patrimoniale e del comportamento infedele. L’infedeltà patrimoniale consiste nel fatto degli amministratori, direttori generali e liquidatori, i quali, in una situazione di conflitto di interessi, compiendo o concorrendo a deliberare atti di disposizione dei beni sociali al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, ovvero altro vantaggio, intenzionalmente cagionano un danno patrimoniale alla società. Il comportamento infedele è quello degli amministratori, direttori generali, sindaci, liquidatori e responsabili della revisione, i quali, a seguito della dazione o della promessa di utilità, compiono od omettono atti in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio.

Il legislatore delegato, tuttavia, non ha previsto la responsabilità dell’ente in relazione ai delitti di infedeltà patrimoniale e di comportamento infedele in quanto si tratta di condotte contrarie all’interesse della società, che arrecano o possono arrecare un danno alla stessa. Non potrebbero dunque ricorrere i presupposti richiesti dall’art. 5 (interesse o vantaggio della società) del D.lg. 231/01.

E’ importante ricordare che la riforma del diritto penale societario ha introdotto la procedibilità a querela di alcune fattispecie, quali il falso in bilancio con danno ai soci e ai creditori nelle società non quotate, l’impedito controllo con danno ai soci, le operazioni in pregiudizio dei creditori, l’indebita ripartizione dei beni sociali da parte dei liquidatori. Per altro se la querela non è presentata, non sarà possibile procedere neppure nei confronti dell’ente ai sensi del D.lg. 231/01.

Il giudice competente per i reati societari è il Tribunale in composizione collegiale, il quale quindi sarà anche il giudice naturale delle società coinvolte ai sensi dell’art. 36 del D.lg. 231/01.