Il diritto penale societario rappresenta il nucleo del diritto penale commerciale.

Nell’ultimo decennio la materia è stata interessata da numerosi interventi di riforma, che hanno notevolmente modificato l’assetto previgente.

In particolare si è avuta una prima significativa riforma nel 2002, quando furono modificati i reati societari previsti nel Codice Civile; successivamente nel 2005, per dare seguito ad una direttiva comunitaria in materia di diritto penale dei mercati finanziari. In tale occasione furono introdotte nuove fattispecie di reato, tra cui la manipolazione dei mercati finanziari; fu anche modificata la figura dell’insider trading per la quale sono state previste sanzioni molto severe.

La riforma del diritto penale d’impresa è stata poi completata con l’introduzione della nuova normativa sul risparmio sempre nel 2005, la quale tocca sia gli aspetti civilistici sia gli aspetti penalistici, con lo scopo di tutelare i risparmiatori dagli abusi.

In questa sede in particolare si vogliono approfondire alcuni aspetti della riforma del diritto penale societario introdotti con la legge delega del 3 ottobre 2001 e con il successivo D.lg. 61/2002.

La legge delega manifesta l’esigenza di ammodernare e razionalizzare la disciplina previgente conformandola ai principi di tassatività, offensività e determinatezza.

Tali esigenze divennero particolarmente forti negli anni di tangentopoli, quando emersero fatti di corruzione e concussione.

Al riguardo vi è da dire che tali reati sono difficili da scoprire in quanto per ovvie ragioni sia il corrotto che il corruttore hanno interesse a mantenere il silenzio. Si pensò pertanto di utilizzare le fattispecie dei reati societari ed in particolar modo del falso in bilancio, così da penetrare meglio nella vita delle società e scoprire le riserve occulte destinate ad alimentare il fenomeno corruttivo.

Per tale ragione la giurisprudenza fece largo uso del falso in bilancio, anche in ragione del fatto che la norma in questione si presentava in termini molto vaghi che consentivano un’interpretazione estensiva della stessa.

Conseguentemente il legislatore è intervenuto nel 2002 per fare chiarezza e delimitare con precisione l’ambito di applicazione della disciplina dei reati societari.

I tratti essenziali della nuova normativa riguardano la patrimonializzazione e la privatizzazione della tutela.

In altre parole nei nuovi reati societari il bene giuridico protetto non è più la semplice trasparenza societaria e la fede pubblica, bensì il patrimonio di alcuni soggetti (la società, i soci ed i creditori).

Questo assunto è di notevole rilevanza in quanto ha portato alla depenalizzazione del falso in bilancio e più in generale delle false comunicazioni sociali nei casi in cui il danno cagionato sia irrilevante in rapporto al patrimonio della società.

Scompaiono dunque i precedenti reati costruiti come fattispecie di pericolo astratto o presunto per lasciare il posto a nuove fattispecie di danno o di pericolo concreto.

Altra conseguenza della patrimonializzazione e privatizzazione della tutela è stata l’introduzione della procedibilità a querela per i reati di danno, quale ad esempio il falso in bilancio, nell’ipotesi prevista dall’art. 2622 c.c., salvo che si tratti di società quotate.

In secondo luogo si è data importanza alle condotte riparatorie, le quali, se poste in essere prima dell’approvazione del bilancio, estinguono il reato.

La novità principale, tuttavia, è costituita dall’introduzione delle cd. soglie di punibilità.

Il legislatore ha escluso la punibilità se la falsità non determina una alterazione significativa dalla realtà patrimoniale ed economica della società. Oltre a questa soglia di carattere qualitativo, sono state previste anche soglie quantitative in termini percentuali. Per cui, con riferimento al reato di false comunicazioni sociali, questo non è configurabile se:

- le falsità od omissioni determinano una variazione del risultato economico di esercizio, al lordo delle imposte, non superiore al 5% o una variazione del patrimonio netto non superiore all'1%;
- il reato è conseguenza di valutazioni estimative che, singolarmente considerate, differiscono in misura non superiore al 10% da quella corretta.

Al di sotto delle suddette soglie, dunque, il reato non si configura e si applicherà solo una sanzione amministrativa.

Vi è da dire che le soglie sono molto elevate ed è quindi difficile nella pratica che si verifichi un superamento delle stesse. Per questo motivo si è detto – impropriamente - che il reato di falso in bilancio è stato “abrogato”.

Di particolare rilievo è poi il riconoscimento delle figure di fatto.

All’interno di una società infatti si verifica spesso che le funzioni di amministrazione e gestione vengano svolte da chi non riveste formalmente la qualifica di amministratore.

Il legislatore ha infatti previsto che responsabili dei reati in questione potranno essere: Amministratori, Sindaci, Direttori Generali, Revisori dei Conti (appartenenti a società di revisione dei bilanci), Liquidatori nonché tutti coloro che, pur non avendo la "formale qualifica", si comportino come se fossero tali

Al riguardo è di fondamentale importanza l’art. 2639 del Codice Civile che sancisce inequivocabilmente l’equiparazione tra chi riveste la qualifica formale e chi esercita in concreto le corrispondenti funzioni. Testualmente l’art. 2639 c.c. (Estensione delle qualifiche soggettive) recita:

“Per i reati previsti dal presente titolo al soggetto formalmente investito della qualifica o titolare della funzione prevista dalla legge civile è equiparato sia chi è tenuto a svolgere la stessa funzione, diversamente qualificata, sia chi esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione. Fuori dei casi di applicazione delle norme riguardanti i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, le disposizioni sanzionatorie relative agli amministratori si applicano anche a coloro che sono legalmente incaricati dall'autorità giudiziaria o dall'autorità pubblica di vigilanza di amministrare la società o i beni dalla stessa posseduti o gestiti per conto di terzi”.

Con l’introduzione delle figure di fatto il legislatore non ha fatto altro se non recepire una giurisprudenza ormai consolidata, per la quale i destinatari delle norme penali societarie devono essere individuati sulla base delle concrete funzioni esercitate, non dovendosi cioè rapportare alle mere qualifiche formali ovvero alla rilevanza degli atti posti in essere nell'adempimento della qualifica ricoperta.

Si ritiene che l’equiparazione tra i soggetti di diritto ed i soggetti di fatto sia valida sia in materia di reati societari che in materia di reati fallimentari, anche se l’art 2639 c.c. non fa riferimento alla legge fallimentare.

La Corte di Cassazione ha ritenuto infatti che la nuova formulazione dell'art. 2639 c.c. non esclude una analoga responsabilità in materia fallimentare, atteso il consolidato orientamento giurisprudenziale in materia di punibilità dell'amministratore di fatto per i reati fallimentari.

Con la riforma in questione viene introdotto, inoltre, il concetto di responsabilità amministrativa delle società, derivante dal reato commesso da suoi rappresentanti. Da tale responsabilità deriva una sanzione pecuniaria di entità variabile, anche commisurata alle condizioni economiche dell’ente.

Ad ultimo si precisa che la nuova disciplina, essendo più favorevole della previgente, si applicherà anche ai reati commessi prima del 16.04.2002, purchè non sia stata pronunciata una sentenza passata in giudicato, sulla base del principio del favor rei.

Per i procedimenti in corso varranno i nuovi presupposti di procedibilità e di punibilità.