La Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 120, comma 2, del Codice della strada, nella parte in cui, in caso di condanna per i reati in materia di stupefacenti, prevede che il prefetto debba obbligatoriamente disporre la revoca della patente (Corte Costituzionale, sentenza del 9 febbraio 2018, n. 22).
In particolare, la Corte ha ritenuto che l'automatismo della revoca della patente da parte dell'autorità amministrativa sia in contrasto con i principi di eguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza di cui all'articolo 3 della Costituzione.
La disposizione denunciata, infatti, si fonda sull'(erroneo) presupposto di una indifferenziata valutazione di sopravvenienza di una condizione ostativa al mantenimento del titolo di abilitazione alla guida, e ricollega, in via automatica, il medesimo effetto (ossia la revoca di quel titolo) ad una varietà di fattispecie.
Tali fattispecie, tuttavia, non sono sussumibili in termini di omogeneità, atteso che la condanna, cui la norma fa riferimento, può riguardare reati di diversa entità.
Inoltre, può ben accadere che la condanna intervenga molti anni dopo la commissione del reato.
Tale circostanza dovrebbe escludere alla radice la possibilità di ritenere automaticamente venuti meno i requisiti soggettivi per il mantenimento della patente, dovendosi piuttosto fare riferimento all'attualità.
Ulteriore profilo di irragionevolezza della disposizione in esame è poi ravvisabile nella contraddizione tra l'automatismo della revoca amministrativa e la discrezionalità della parallela misura del ritiro della patente di cui all'articolo 85 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990.
In pratica, in caso di condanna per i reati in materia di stupefacenti, il prefetto "deve" revocare la patente mentre il giudice penale "può" disporne il ritiro per un periodo non superiore a tre anni, dandone adeguata motivazione.
Ad avviso della Corte, tale differente operatività dei poteri attribuiti alle due autorità (amministrativa e penale), che pur si ricollegano al medesimo fatto-reato e, sul piano pratico, incidono in senso identicamente negativo sulla titolarità della patente, si pone in contrasto con i principi di uguaglianza e ragionevolezza di cui all'articolo 3 della Costituzione.
La Corte, pertanto, ha concluso dichiarando l'illegittimità costituzionale del comma 2 dell'articolo 120 del Codice della strada nella parte in cui dispone che il prefetto "provvede" − invece che "può provvedere" − alla revoca della patente di guida, in caso di sopravvenuta condanna del suo titolare per reati di cui agli articoli 73 e 74 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990, in materia di stupefacenti.