Nel caso affrontato l’imputata è accusata del reato ex art. 628 c.p. c. 2 dopo essersi introdotta in un negozio di abbigliamento tentando di impossessarsi illegalmente di una maglietta. Essendovi la flagranza il titolare dell’esercizio commerciale dopo aver tentato invano di fermare l’imputata, ha chiamato i carabinieri esponendo regolare denuncia. Tuttavia al di là del fatto concreto da cui emerge la responsabilità penale dell’imputata e da cui si evince che essa abbia commesso il reato, ne è stato analizzato in modo accurato il comportamento e la capacità di intendere e di volere, tenendo conto anche dei suoi precedenti, richiedendo una perizia psichiatrica al Giudice della prima udienza per valutare il suo stato di salute mentale e psicofisica e si è ritenuto non sia possibile né procedere nel giudizio senza prima aver effettuato detta perizia psichiatrica dell’imputata né tantomeno successivamente condannarla in caso dovesse mancare il requisito dell’imputabilità, elemento essenziale affinché vi sia la presenza di un reato. Il medico psichiatra ha attestato che l’imputata è affetta da invalidità civile per ritardo mentale.
 
Il concetto di imputabilità è allo stesso tempo empirico e normativo ed in primis spetta alle scienze del comportamento umano individuare i presupposti empirici, in presenza dei quali è possibile valutare se l’essere umano sia in grado o meno di recepire il messaggio contenuto nella sanzione punitiva. Difatti questa ultima secondo la Costituzione italiana ha una funzione rieducativa e pertanto tende alla rieducazione del delinquente in modo da permettergli di capire l’errore commesso con il fine di ravvedersi e di non commettere più reati in futuro; mentre è, in secundis, di competenza del legislatore la fissazione delle condizioni di rilevanza giuridica dei dati forniti dalle scienze empirico-sociali e tale scelta legislativa implica pertanto valutazioni che trascendono gli aspetti strettamente scientifici del problema dell’imputabilità e che attengono più direttamente agli obiettivi di tutela perseguiti dal sistema penale. Se l’imputata non è stabile mentalmente è palese che la funzione rieducativa della pena non riuscirebbe ad assolvere al compito posto dal legislatore. L’art. 85 c.p. fissa i presupposti dell’imputabilità nella capacità di intendere e di volere. Tale duplice capacità deve sussistere al momento della commissione del fatto che costituisce reato e lo stesso legislatore puntualizza la disciplina dell’istituto attraverso il riferimento ad alcuni parametri legalmente predeterminati, ossia l’età del soggetto, e soprattutto, come nel caso di specie, l’assenza di infermità mentale ex art. 88 c.p. o altre condizioni capaci di incidere sull’autodeterminazione responsabile dell’agente, cause in ogni caso non tassative. Un’invalidità civile per ritardo mentale non permette all’imputata di intendere pienamente le conseguenze delle sue azioni. La psiche dell’uomo deve essere considerata una entità fondamentalmente unitaria, per cui le diverse sue funzioni si rapportano l’una all’altra influenzandosi vicendevolmente e per essere non imputabile il soggetto deve non possedere né la capacità di intendere né quella di volere. La prima può essere in ogni caso definita come l’attitudine ad orientarsi nel mondo esterno secondo una percezione non distorta della realtà, e quindi come quella capacità di comprendere il significato del proprio comportamento e di valutarne le possibili ripercussioni positive o negative sui terzi e pertanto essa può mancare anche in assenza di una vera e propria malattia mentale e soprattutto in tutte le ipotesi-limite di sviluppo cosi ritardato o deficitario da precludere al soggetto il potere di orientarsi nel rapporto col mondo esterno, mentre la capacità di volere consiste, invece, nel potere di controllare gli impulsi ad agire e di determinarsi secondo il motivo che appare più ragionevole o preferibile in base ad una concezione di valore, ossia l’attitudine a scegliere in modo consapevole tra motivi antagonistici, presupponendo pertanto necessariamente la capacità di intendere il significato dei propri atti (nihil volitum nisi praecognitum).  L’imputata affetta da infermità mentale pertanto non potrebbe essere condannata in quanto manca uno degli elementi essenziali per la responsabilità penale nella commissione di un reato.