L’istituto della riabilitazione, previsto dagli artt. 178-181 c.p., ha lo scopo di favorire il reinserimento del condannato all’interno della società civile; infatti, il reo che abbia scontato la sua pena e preso coscienza dei propri errori, merita di ottenere una seconda chanche, così come prevede l’articolo 27 della nostra Costituzione in tema di finalità rieducativa della pena.

La concessione della riabilitazione è comunque subordinata alla sussistenza di determinati requisiti tra i quali possiamo ricordare:

1) decorrenza di 3 anni dal giorno in cui la pena principale è stata eseguita o si sia estinta in altro modo;

2) il condannato deve aver dato prove effettive e costanti di buona condotta;

3) qualora si tratti di recidivi (cioè di coloro che, dopo aver subito una sentenza irrevocabile di condanna per un determinato reato, ne commettono un altro e dimostrano perciò una notevole capacità di ribellione all’ordinamento giuridico), il termine è aumentato ad 8 anni;

4) qualora si tratti di delinquenti abituali (soggetti che dimostrano una particolare abitudine a commettere reati), professionali (soggetti che vivono con i proventi dei reati), o per tendenza (soggetti che commettono un delitto doloso contro la vita e l’incolumità personale e rivelano un’inclinazione a delinquere nonché un’indole particolarmente malvagia), il termine è aumentato a 10 anni.

In primo luogo è da osservare come sia necessario che sia indispensabile la presenza di una sentenza di condanna passata in giudicata, con espiazione della pena da parte del reo, a seguito di eventuale emissione di ordine di carcerazione da parte del Pubblico Ministero.

In secondo luogo, l’art. 178 richiede il rispetto di determinati termini, utili per verificare il percorso di recupero sociale operato dal condannato; la relativa domanda è presentata al Tribunale di Sorveglianza, organo competente a giudicare sulle istanze di misure alternative alla detenzione nonché sull’applicazione delle misure di sicurezza.

All’istanza di riabilitazione è essenziale allegare sia la copia della sentenza di condanna divenuta definitiva sia la documentazione attestante l’avvenuto risarcimento della persona offesa dal reato, in quanto quest’ultimo requisito consente certamente di formulare una prognosi favorevole nei confronti del reo.

Nel caso in cui il condannato non abbia potuto adempiere alle obbligazioni civili perché economicamente indigente può richiedere al Tribunale di Sorveglianza, ai sensi dell’art. 76 TU n. 115/2002, l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

Il Tribunale di Sorveglianza, ai sensi dell’art. 683 c.p.p. e preso atto dei documenti presentati, avvierà un’istruttoria per accertare che sussistano, in capo al richiedente, tutti i requisiti richiamati dalla legge in materia di riabilitazione.

Un interessante problema è posto dal 4° comma dell’art. 178 c.p. laddove si prevede che, qualora sia stata concessa la sospensione condizionale della pena, il termine decorre dallo stesso momento dal quale decorre il termine di sospensione della pena.

A tal proposito, ricordiamo che la sospensione della pena ex art. 163 c.p., è concessa dal Giudice nel caso in cui, valutati i parametri indicati dall’art. 133 c.p., ritenga che il reo si asterrà in futuro dal commettere altri reati; di conseguenza, la pena resterà sospesa per 5 anni se la condanna riguarda un delitto e per 2 anni se la condanna riguarda una contravvenzione.

Dall’analisi delle norme sopracitate, si evince che, in caso di condanna a pena sospesa per un delitto (p.es. furto aggravato), il reo deve attendere il decorso del termine di 5 anni dal momento del passaggio in giudicato della sentenza affinché non abbia luogo l’esecuzione della pena.

Decorso questo primo termine, il reo dovrebbe attendere altri tre anni per richiedere la riabilitazione della pena e concludere così il percorso di reinserimento sociale espressamente richiamato dal nostro dettato costituzionale, in quanto l’istanza di riabilitazione non potrebbe essere presentata prima che siano decorsi i 5 anni della sospensione condizionale.

L’annoso problema è stato risolto di recente dalla Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 48 del 02/01/2009, ha ritenuto ammissibile presentare l’istanza entro il termine di tre anni dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna pronunciata nei confronti dell’imputato.

La Suprema Corte ha osservato come, una diversa interpretazione, determinerebbe una forte discriminazione tra chi ha beneficato della sospensione condizionale della pena rispetto a chi, per motivi prettamente utilitaristici, non abbia voluto usufruirne.

La lettura indicata sembra effettivamente, a sommesso avviso di chi scrive, la più rispondente alle finalità di rieducazione della pena richiamate dal nostro dettato costituzionale, da sempre molto attento a contemperare tra le esigenze di sicurezza e le esigenze di recupero sociale del condannato

Oltre alla riabilitazione per i maggiorenni, il R.D. 15 novembre 1938 n. 1802, prevede la possibilità che tale istituto possa essere concesso anche ai soggetti minorenni, ed ha lo scopo di consentire l’estinzione delle pene accessorie (p.es. interdizione dai pubblici uffici) e gli altri effetti della condanna (p.es. la recidiva).

In particolare si richiede la presenza di due condizioni:

a) il minore deve aver compiuto i 18 anni ma non deve avere superato i 25 anni;

b) il minore non deve essere stato sottoposto a pena o a misura di sicurezza (che sono mezzi idonei a prevenire e a contrastare efficacemente la diffusione della delinquenza minorile).

L’istituto della riabilitazione per i minori è attribuito alla competenza esclusiva del Tribunale per i minorenni, organo giudiziario istituito presso ogni sede di Corte D’Appello che si occupa dei procedimenti civili, amministrativi e penali relativi alle persone di età inferiore ai 18 anni.

Come abbiamo visto trattando della riabilitazione per i maggiorenni, anche in questo caso è necessaria un’istanza dell’interessato, il quale ha l’onere di dimostrare l’avvenuto recupero di quei valori sociali che sono stati lesi con la commissione del reato.

In relazione alla riabilitazione ordinaria, va invece precisato che il Tribunale di Sorveglianza, al termine di un’approfondita analisi decide sull’istanza con ordinanza motivata, impugnabile con ricorso per Cassazione secondo quanto dispone l’art. 606 c.p.p.

E’ bene sottolineare che, se la richiesta di riabilitazione viene rigettata per assenza del requisito della buona condotta, l’art. 683 c.p.p. prevede la possibilità di ripresentare l’istanza decorso il termine di due anni dal momento del passaggio in giudicato dell’ordinanza di rigetto.   

Il provvedimento del Tribunale con il quale viene concesso il beneficio della riabilitazione al reo viene annotata nella sentenza di condanna e nel casellario giudiziale affinché venga portato a conoscenza di terzi (quali i datori di lavoro) l’avvenuto reinserimento sociale del condannato.

Infine l’art. 180 c.p. stabilisce la revoca di diritto della riabilitazione nel caso in cui la persona che abbia ottenuto tale beneficio commetta entro sette anni un delitto non colposo (doloso o preterintenzionale), con conseguente condanna ad una pena per un tempo pari e/o superiore a due anni.