La difesa d’ufficio è un corollario del diritto inviolabile di difesa, garantito come tale dall’art. 24 della nostra Legge Fondamentale.

In particolare, essa ha trovato una sua collocazione sistematica nella Legge n. 60/2001 che ha inteso riconoscere dignità alla difesa d’ufficio, per troppo tempo considerata una difesa di serie B rispetto all’incarico fiduciario.

Inoltre non va dimenticato che spesso gli indagati e/o gli imputati ritengono che la difesa d’ufficio sia gratuita, creando, a mio avviso, un equivoco che lede certamente l’attività del difensore, il quale potrebbe sentirsi disincentivato ad impegnarsi nel processo penale sapendo che la sua parcella non verrà liquidata dai clienti.

Proprio al fine di scongiurare una simile eventualità, l’art. 31 delle norme di attuazione al codice di procedura penale stabilisce che, fermo restando quanto previsto in materia di gratuito patrocinio, l’attività del difensore d’ufficio viene in ogni caso retribuita.

Ciò comporta che, qualora sia richiesta l’assistenza del difensore d’ufficio, quest’ultimo è tenuto ad informare l’indagato e/o l’imputato della possibilità di richiedere l’ammissione al patrocinio a spese dello stato, ovviamente se sussistono tutti i requisiti (in primis la titolarità di un reddito annuo non superiore ad € 10.628,16, limite innalzato dal decreto del Ministero di Giustizia del 20/01/2009). 

Nel caso in cui l’assistito non possa ottenere tale beneficio, sarà tenuto a retribuire il difensore d’ufficio per l’attività prestata, in quanto l’obiettivo della Legge 60/2001 è garantire, per quanto possibile, l’uguaglianza tra la difesa fiduciaria e la difesa d’ufficio.

E’ bene precisare che il difensore d’ufficio, per ottenere l’iscrizione nelle apposite liste, deve essere in possesso secondo quanto stabilisce l’art. 29 delle norme di attuazione al codice di procedure penale:

a) di un’attestazione di idoneità rilasciata dal locale Consiglio dell’Ordine previa partecipazione ad appositi corsi di formazione;

b) di documentazione attestante l’esercizio dell’attività di avvocato penalista per almeno un biennio (nomina fiduciaria, verbali di udienza, ecc.).

Una volta conseguito l’inserimento nelle liste d’ufficio, al difensore verranno notificati gli atti relativi alle persone che non hanno inteso o voluto nominare un difensore di fiducia; mi preme precisare che tale incarico è obbligatorio e la sostituzione può avvenire esclusivamente per un giustificato motivo.

Il problema che nella pratica si presenta più frequentemente è quello relativo alla posizione di indagati/imputati irreperibili o latitanti, i quali non potendo materialmente (seppur per cause diverse tra loro) procedere ad una nomina fiduciaria, debbono essere assistiti da un difensore d’ufficio.

In merito alla questione dei c.d. “irreperibili”, una particolare tutela, a favore dei difensori d’ufficio, è prevista dall’art. 117 TU n. 115/2002 in base al quale gli onorari sono liquidati previa presentazione della nota-spese al Giudice procedente.

Ciò significa che, al termine del procedimento, il difensore d’ufficio della persona dichiarata irreperibile ai sensi dell’art. 159 c.p.p., potrà presentare apposita istanza di liquidazione con applicazione dei valori medi previsti dalla Tariffa penale.

Come previsto per il patrocinio a spese dello Stato, consiglio vivamente di allegare all’istanza i verbali di udienza nonché la sentenza, al fine di documentare compiutamente tutta l’attività professionale che è stata prestata nel procedimento penale.

Ciò vale solo per il difensore d’ufficio della persona nei cui confronti sia stato emesso il decreto di irreperibilità da parte del Pubblico Ministero o del Giudice in base alla normativa indicata nell’art. 159 c.p.p.; nella pratica però è frequente imbattersi negli “irreperibili” di fatto cioè tutti quei soggetti a cui non sia stato possibile effettuare la notifica nel luogo ove hanno eletto domicilio.

Sul punto la giurisprudenza è oscillante in quanto, a fronte di alcune pronunce che escludono l’equiparabilità tra irreperibilità di fatto e irreperibilità di diritto, ce ne sono altre che pongono l’accento sulla necessità di valutare caso per caso se e quando deve essere dichiarata l’irreperibilità al fine di giovarsi della disciplina prevista dall’art. 117 TU n. 115/2002 (Cass. pen., sez. IV, sentenza n. 4153 del 17/10/2007, Trib. Cagliari, ordinanza del 22/04/2008, Cass. pen., sez. IV, sentenza n. 43932 del 22/10/2008).

In ogni caso, il difensore d’ufficio, per ottenere il pagamento dei propri compensi da parte dell’Erario, ha l’onere di procedere ad una serie di accertamenti:

a) se l’imputato è di nazionalità italiana sarà necessario effettuare da un lato degli accertamenti anagrafici presso l’ultimo Comune di residenza o di domicilio, dall’altro degli accertamenti presso la Direzione dell’Amministrazione Penitenziaria per verificare che il prevenuto non sia detenuto;

b) se l’imputato è di nazionalità straniera sarà necessario da un lato effettuare degli accertamenti presso il Consolato competente che rilascerà informazioni (a patto che lo straniero sia in possesso di regolari documenti), dall’altro degli accertamenti presso la Direzione dell’Amministrazione Penitenziaria per verificare che il prevenuto non sia detenuto.

I risultati di quest’attività di intelligence ad opera del difensore d’ufficio andranno necessariamente allegati all’istanza di liquidazione da depositarsi presso la Cancelleria del Giudice che ha emesso la sentenza; in caso di rigetto dell’istanza (p.es. perché non è stata compiutamente identificata l’irreperibilità del soggetto), è sempre possibile presentare ricorso per Cassazione.

Un’altra questione ancora aperta riguarda invece la posizione del latitante che, ai sensi dell’art. 296 c.p.p., si è sottratto volontariamente all’esecuzione di una misura cautelare personale disposta nei suoi confronti.

Secondo un primo orientamento della Corte di Cassazione, al difensore d’ufficio del latitante è preclusa l’applicabilità della disciplina di cui all’art. 117 TU n. 115/2002, stante la differenza tra latitanza (condizione voluta dall’imputato per sfuggire ad un’eventuale cattura) ed irreperibilità (condizione non voluta ma che si verifica per impossibilità di rintracciare l’imputato).

In tempi recenti la Cassazione ha modificato la sua impostazione e, con la sentenza n. 13498 dell’08/06/2007, ha riconosciuto l’equiparazione tra irreperibilità dichiarata ai sensi dell’art. 159 c.p.p. e dichiarazione di latitanza in quanto entrambe presuppongono l’esito negativo delle ricerche effettuate dalla Polizia Giudiziaria.

A sommesso avviso di chi scrive, è una soluzione di buon senso che consente al difensore d’ufficio di ottenere il pagamento dei propri onorari e di vedere premiata la propria opera prestata nell’interesse di un soggetto che dimostra, il più delle volte, un vero e proprio disinteresse per l’esito del procedimento penale.

In conclusione, pare comunque necessario un intervento del legislatore che provveda a garantire, anche in tempi di crisi economica, una riforma della difesa d’ufficio e una sua parificazione con la normativa del gratuito patrocinio in materia di liquidazione di onorari.