Il fenomeno dello spaccio di droga nei Paesi del Maghreb, soprattutto in Marocco ed in Tunisia, è sempre stato agli onori delle cronache, per la sua diffusione e per le notevoli implicazioni nei confronti dei cittadini italiani.
 
In Tunisia, in seguito alla Rivoluzione dei Gelsomini, s’è potuto assistere ad una forte recrudescenza dei casi d’arresto di connazionali per ragioni legate al traffico ed al possesso di droghe, anche leggere.
In questo Paese è più che altro l’uso delle sostanze a dover essere preso in considerazione, in quanto la produzione locale non arriva a quella del Marocco (è di quest’estate  il caso di alcuni concittadini arrestati per aver fumato hashish nel loro albergo).  Anche la sola detenzione o l’essere sorpresi in compagnia di persone che si conosce stiano facendo uso di droga,  rientrano tra le condotte punibili con pene non inferiori ad un anno di reclusione.
 
Le difficoltà maggiori incontrate dal detenuto italiano sono la comunicazione, in lingua araba o francese, con gli ufficiali di polizia e con gli organi inquirenti, la scarsa conoscenza delle norme penali del luogo, la condizione carceraria, ben più dura che nel nostro Paese e, non da ultimo, la scelta, la nomina e, la conseguente comunicazione con il difensore.
 
A riguardo di quest’ultimo punto è stato, più volte, notato che gli stessi avvocati nominati d’ufficio o consigliati da altri soggetti (ad esempio compagni di prigionia) sono generalmente poco motivati a concludere in breve tempo il procedimento oppure a darne pronta comunicazione all’Autorità consolare italiana.

A tale ultimo proposito, la Convenzione di Vienna del 1963 sulle relazioni consolari, garantisce al cittadino italiano il diritto di richiedere la protezione del proprio Consolato. Ciò permette che i funzionari dell’Autorità diplomatica italiana possano rendere visita al cittadino nel suo luogo di detenzione, comunicare lo stato di prigionia alla famiglia del detenuto e garantire assistenza medica e generi di sussistenza primaria (ove carenti e ove consentito dalla legge locale) ed, infine, promuovere l’estradizione in Italia (sempre che il Paese di detenzione aderisca alla Convenzione di Strasburgo del 1983 sul trasferimento dei detenuti o abbia sottoscritto accordi con il nostro Paese).

In ogni caso la protezione consolare non si può far carico delle spese legali del connazionale detenuto e assumersi gli oneri economici da questa derivanti, nemmeno a titolo di anticipo.
Dopo questa doverosa premessa sulla protezione consolare del cittadino italiano all’estero, tratteremo dei reati connessi alla droga in Tunisia.

La legislazione penale tunisina ha adottato un testo organico sui reati connessi al traffico, alla produzione ed al consumo di sostanze stupefacenti, con la legge n. 52 del 18 maggio 1992.

La normativa è estremamente severa, fino addirittura a prevedere un vero e proprio caso di responsabilità oggettiva, e rispecchia appieno quella che è la tendenza della maggior parte dei Paesi a maggioranza musulmana.

La pena più lieve (da sei mesi a tre anni di reclusione) è prevista all’art. 8 nel caso di frequentazione volontaria di un luogo ove si consumino stupefacenti; vale la pena notare che sono puniti per tale reato coloro che non hanno fatto uso di droga, ma che abbiano voluto trovarsi in compagnia di soggetti rei di consumo. Questa disposizione integra quindi una vera e propria figura di responsabilità oggettiva e sarebbe bene conoscerla, onde evitare di incorrere nella sanzione di cui si è parlato per condotte considerate, nel nostro Paese, prive di connotazioni penali.

Ai sensi dell’art. 4, della disposizione legale succitata, viene punto il consumatore ed il detentore anche di modiche quantità, che in Italia sarebbero assimilate all’uso personale, con la reclusione da uno a cinque anni e con una pena pecuniaria accessoria che varia dai 1.000 ai 3.000 DTN (da 500 a 1.500 € circa).

La produzione, la trasformazione o la coltivazione di sostanze stupefacenti sono contemplate, invece, al primo comma dell’articolo seguente, che le fa soggiacere ad una pena tra i sei ed i dieci anni di reclusione e ad un’ammenda da 5.000 a 10.000 DTN (2.500 a 5.000 € circa). Il capoverso di tale articolo prevede inoltre la ben più grave fattispecie di traffico, punito con la detenzione da dieci a venti anni  e con una pena pecuniaria da 20.000 a 100.000 DTN (10.000 a 50.000 € circa).

Il testo della norma passa poi alla previsione (art. 6), come reato a sé stante e non come aggravante generica, dell’associazione a delinquere (bande) ai fini di commettere i reati degli articoli precedenti; in questo caso la pena è della massima severità, contemplando una forbice di pena tra i venti anni di reclusione all’ergastolo ed una ammenda che va dai 100.000 al milione di DTN (50.000 a 500.000 €).

Quest’ultima disposizione è integrata dall’art. 7, che punisce la predisposizione di un luogo a stoccaggio, consumo, vendita, lavorazione, raffinazione di qualsiasi stupefacente con le stesse pene di cui all’art. 5 comma 2.

Sono previste, inoltre, aggravanti specifiche, che potrebbero muovere il giudice a comminare il massimo della pena edittale, prevista per i singoli reati. La prima riguarda il coinvolgimento, a qualsiasi titolo, di un minore nei reati di cui si è parlato; la seconda è l’aver commesso questi crimini in luoghi pubblici (moschee, hotel, caffè, giardini pubblici, porti ed aeroporti, stadi, ospedali e prigioni); il terzo caso è l’identificazione del reo in un pubblico ufficiale della Repubblica di Tunisia; l’ultimo è il caso di recidività dell’agente.

Le pene accessorie per i cittadini tunisini sono la possibilità per il giudice di disporre la pubblicazione della sentenza in quotidiani a diffusione nazionale, l’interdizione perpetua o temporanea da pubblici uffici, la decadenza dai diritti civili e politici, la revoca o il divieto di rilascio di documenti quali passaporto e porto d’armi.

Quelle previste, invece, per lo straniero sono l’espulsione dal territorio dello Stato, dopo aver scontato la pena in Tunisia, ed il divieto temporaneo o perpetuo di rientro nel Paese.

Certamente il legislatore tunisino si è imposto in modo duro ed autorevole nei confronti di quella che è stigmatizzata come vera e propria piaga sociale, nulla però in confronto alla ben più severa pena di morte per decapitazione, contemplata dall’ordinamento penale saudita per le fattispecie più gravi, correlate ai reati di droga ed alle ben più miti e tolleranti disposizioni italiane in merito.

Infine, si evidenzia l’eccentricità normativa prevista dall’art. 10 della succitata legge, infatti viene statuita una – possiamo definirla – esimente speciale  per tutti coloro che deferiscono i correi all’autorità giudiziaria o di polizia.

Pertanto, tutti i delatori, potranno “beneficiare” di tale esimente, solo nel caso in cui la delazione porti alla condanna dei correi, vedendo decadere ogni accusa nei loro confronti.  
Avv. Giorgio Bianco
Dott. Fabio Spina