Quattro minorenni, tutti compagni di scuola dello stesso istituto professionale campano, avevano preso di mira un compagno di classe, diventato vittima di una lunga serie di ripetute aggressioni non solo verbali, ma anche fisiche, in alcuni casi addirittura filmate con i loro smartphone per poi essere pubblicate on line.
La persona offesa ha, infatti, dichiarato di essere stato non solo picchiato con calci e pugni, ma anche costantemente deriso e offeso per il modo in cui portava i capelli o il modo in cui si comportava.
Tutti comportamenti tipici del così detto “bullismo”, termine ormai diffusamente utilizzato per indicare, appunto, quei comportamenti violenti e vessatori tipici anche degli ambienti scolastici.
Tuttavia, non esiste una figura di reato specifica per questo tipo di violenza, perciò èsemrep stato necessario far rientrare le varie condotte violente all’interno di altre ipotesi di reato previste dalla legge, come quella delle lesioni, delle minacce, dell’estorisione o delle molestie.
Ma nel caso dei quattro ragazzi campani, le cose sono andate diversamente, perché quelle stesse condotte sono state giuridicamente inquadrate in modo differente e i quattro coetanei sono stati condannati per stalking (atti persecutori ex art. 612 bis c.p.).
Perché questo reato possa ritenersi configurato, è utile ricordarlo, è necessaria la sussistenza di diversi elementi:
  1. condotte reiterate”: minacce o molestie devono essere ripetute nel tempo;
  2. un perdurante e grave stato di ansia o di paura” o “un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto”: le conseguenze a livello psicologico insorte nella vittima devono essere non solo durature, ma anche fondate, dunque non devono essere una conseguenza di una particolare sensibilità o debolezza della vittima;
  3. le condotte devono essere tali da “costringere la vittima ad alterare le proprie abitudini di vita”, essendo richiesto un cambiamento, più o meno importante, nelle abitudini della vittima (ad esempio essere costretti a cambiare numero di telefono o a interrompere alcune delle proprie attività sociali).
A bene vedere, tutti questi elementi possono essere caratteristici proprio degli episodi di bullismo e, con la sentenza n. 28623 pubblicata il 27.04.2017dalla Corte di Cassazione, V sezione penale, si è preso atto di ciò, condannando gli imputati alla pena finale di 10 mesi di reclusione.
Una condanna così importante è stata possibile perché si trattava di minori di età compresa tra i 14 e i 17 anni, dunque imputabili se si dimostra l’effettiva capacità di intendere e volere. Al di sotto dei 14 anni, invece, non si è mai imputabili, salva la possibilità, nel caso in cui il ragazzo sia ritenuto socialmente pericoloso, di applicare delle misure di sicurezza.
Ma la recente sentenza si mostra interessante anche per altri aspetti.
In primo luogo, ha ribadito come le dichiarazioni della persona offesa, seppur prive di altri elementi probatori, possono essere ritenute dal Giudice ugualmente credibili ed essere poste da sole a fondamento di una pronuncia di condanna.
Nel caso esaminato dalla Suprema Corte, il ragazzo “bullizzato” ha continuato a frequentare la scuola; mancavano prove documentali, come denunce alle Autorità o certificati medici, riferibili all’intero periodo di tempo durante il quale ha subito le varie aggressioni; né gli insegnanti, né gli altri compagni di classe si sarebbero resi conto di quanto stava accadendo; eppure, nessuno di questi elementi è stato ritenuto idoneo a intaccare la credibilità soggettiva e l’attendibilità del denunciante.
Viceversa, sono stati valorizzati altri elementi, come una narrazione dei fatti coerente e lineare, seppur priva dell’indicazione precisa della collocazione temporale dei singoli episodi; gli elementi sintomatici, nonché le dichiarazioni e i comportamenti tenuti dalla vittima, da cui secondo i Giudici è stato possibile ritenere provato il grave e perdurante stato di ansia e paura.
D’altro canto, tale ultimo elemento, secondo la Corte Costituzionale, può essere accertato anche attraverso «un'accurata osservazione di segni e indizi comportamentali, desumibili dal confronto tra la situazione pregressa e quella conseguente alle condotte dell'agente, che denotino una apprezzabile destabilizzazione della serenità e dell'equilibrio psicologico della vittima” (sentenza n. 172/2014 del 11.06.2014 della Corte Costituzionale).
Un aspetto che, invece, è rimasto ai margini di questo procedimento penale è quello del ruolo degli insegnanti, in relazione al quale si legge solo che la Corte d’Appello di Napoli si era già confrontata, nel decidere in secondo grado, con il “clima di connivenza e l’insipienza di quanti, dovendo vigilare sul funzionamento dell’istituzione, non si accorsero di nulla”.
Ai sensi dell’art. 2048 del codice civile, i “precettori” sono responsabili “del danno cagionato dal fatto illecito dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza” e “sono liberati dalla responsabilità soltanto se provano di non aver potuto impedire il fatto”.
Si tratta, dunque, di una responsabilità solo civile, ma “aggravata”, vale a dire una responsabilità da cui è difficile liberarsi, dal momento che a tal fine è necessario fornire la prova di aver adottato tutte le misure preventive o, in generale, di aver fatto tutto ciò che era nelle loro possibilità per evitare l’evento dannoso.
Da un punto di vista penalistico, tuttavia, non si deve dimenticare che gli insegnanti sono considerati pubblici ufficiali e, pertanto, in caso non provvedano a denunciare o denuncino tardivamente all’Autorità competente un reato procedibile d’ufficio di cui abbiano avuto notizia nell’esercizio delle loro funzioni, rischiano una multa da 30€ a 516€ ai sensi dell’art. 361 c.p..
Dunque, considerato che è ormai evidente come il bullismo sia un reato, è importante che ogni episodio di violenza fisica o psicologica posto in essere dagli studenti all’interno delle scuole  venga portato all’attenzione delle Autorità, nella speranza che le situazioni simili a quelle di cui si è recentemente occupata la Corte di Cassazione diventino sempre più rare.