di Lucia Izzo - Integra il reato di "maltrattamenti in famiglia" la condotta di colui che assume comportamenti di violenza e percosse nei confronti della ex convivente.Lo ha precisato la Corte di Cassazione, sezione IV penale, nella sentenza n. 31595/2017 (qui sotto allegata), dando seguito a un orientamento che via via sembra consolidarsi in sede di legittimità (per approfondimenti: Maltrattamenti: c'è reato anche nella famiglia "di fatto").    La vicendaNel caso esaminato la Corte d'Appello aveva condannato l'imputato, assolto in primo grado per insussistenza del fatto, alla pena per il reato di maltrattamenti in famiglia commesso in danno alla sua ex convivente.L'imputato nel suo ricorso afferma che il rapporto di convivenza era cessato da tempo, ricorrendo tra i due solo relazioni lavorative. Sarebbe dunque mancato, secondo la difesa, il rapporto che avrebbe giustificato il reato.Inoltre, l'uomo precisa che vi sarebbero state solo accese discussioni e violenze reciproche e nessuna abitualità del comportamento abusante poteva desumersi alla pluralità di denunce della donna, alcune definite con remissione di querela e altre con decisione di altri giudici. Reato di maltrattamenti in famiglia anche tra conviventiIn realtà il ricorso è infondato. In effetti, conferma la Cassazione, la giurisprudenza ritiene condizione di fatto essenziale per la verificazione del delitto di maltrattamenti in famiglia la sussistenza di una situazione giuridica, derivante dal vincolo matrimoniale, o di fatto, che provochi l'affidamento reciproco e la presenza di vincoli di assistenza, protezione e solidarietà tra le parti.    Tuttavia, come confermano precedenti pronunce della Corte, la situazione di convivenza, protratta per congruo periodo di tempo, o pregressa, nell'ipotesi di coniugi separati, è condizione idonea a giustificare l'accertamento del reato, per la persistenza dei vincoli di solidarietà che ne conseguono (per approfondimenti: Cassazione: reato di maltrattamenti in famiglia anche tra ex conviventi) La novella del 1 ottobre 2012 n. 172, in base all'orientamento di Cassazione, ha parzialmente riformato l'art. 572 c.p. cambiando la rubrica da maltrattamenti in famiglia in maltrattamenti contro familiari e conviventi, e precisando che soggetto passivo del reato non è soltanto una persona della famiglia, ma una persona della famiglia o comunque convivente. Il legislatore ha dunque riconosciuto valore sociale della convivenza, come modello idoneo a costituire una di quelle formazioni sociali che l'ordinamento costituzionale si impegna a riconoscere e garantire, e ha inteso assicurare tutela penale non solo ai componenti della famiglia legale, ma anche ai membri delle unioni di fatto fondate sulla convivenza La sentenza impugnata si è uniformata a tale orientamento e, sulla base delle dichiarazioni rese, ha ritenuto comprovato il rapporto di convivenza tra imputato e persona offesa anche dopo la cessazione della coabitazione sotto lo stesso tetto: i due, infatti, avevano continuato la loro relazione sentimentale, frequentandosi nel comune ambito di lavoro e presso le rispettive abitazioni. La Corte ha ritenuto, altresì, comprovata un'abituale condotta di maltrattamenti posta in essere dall'imputato stante i numerosi referti medici prodotti dalla persona offesa, attestanti le lesioni da questa subite. Pertanto, il comportamento aggressivo e violento dell'imputato, lungi dal risolversi in occasionali scatti d'ira, causati dalla gelosia, era improntato alla sopraffazione, offesa e umiliazione della compagna che ne aveva riportato, oltre alle lesioni di volta in volta cagionatele, uno status psicologico caratterizzato da paura e terrore continui, ansia e senso di impotenza, stati psicologici tipici della vittima del reato in esame. Il ricorso va dunque respinto. Cass., IV sez. pen., sent. n. 31595/2017