“La legittima difesa domiciliare: un falso mito da sfatare” 1. Premessa - 2. Presupposti applicativi - 3. Il “nuovo” terzo comma - 4. Natura giuridica - 5. Brevi riflessioni conclusive

Premessa Il 24 gennaio 2006 è stata portata a termine la riforma in materia di legittima difesa[1].
In particolare, è stato inserito un secondo comma all’interno del, già vigente, articolo 52 c.p. il quale statuisce che ‹‹nei casi previsti dall’articolo 614, co. 1 e 2, sussiste il rapporto di proporzione di cui al primo comma del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere:la propria o altrui incolumità; i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo di aggressione››. Così con introducendosi un nuovo articolo 52 bis c.p., destinato a disciplinare le ipotesi di legittima difesa nel proprio domicilio ovvero di difesa contro aggressioni armate o violazioni di domicilio. Il legislatore ha posto l’accento, sull’onda di reiterati episodi brutali e gravi fatti di sangue accorsi in epoca concomitante a quella di avvento della “nuova” legittima difesa, sulla necessità di garantire una maggiore e più efficace tutela del domicilio privato e, comunque, della sfera dei luoghi di abitazione e lavoro che subiscono il numero più rilevante di aggressioni. L’obbiettivo è stato quello, dunque, di sottrarre al giudice, in alcune ipotesi predeterminate ex lege, la valutazione della proporzione. Si è tentato, così, di evitare a coloro i quali hanno agito in un determinato contesto spaziale e con particolari mezzi, lunghi e defatiganti processi penali necessari all’accertamento dei mezzi e delle modalità del fatto. Significativa, a tal proposito, è la relazione della proposta di legge n° 1889, con la quale l’on. Rossi ha sostenuto che in presenza di ‹‹fatti di cronaca riguardanti violente aggressioni in abitazioni private o in pubblici esercizi a scopo di furto, è corrisposta nella prova dei fatti, una lacunosa applicazione della scriminante››[2]. La ratio fondante il prodotto della riforma del 2006 è, allora, quella di assicurare al singolo la possibilità di tutelare da sé, all’interno dei luoghi domiciliari o consimili, i propri beni minacciati da un’ingiusta aggressione, in tutti quei casi in cui l’autorità statuale non sia in grado di assicurarne direttamente la difesa[3]. Trattasi di una riforma che ha avuto lo scopo di permettere al soggetto aggredito di porre in essere reazioni che finora non erano consentite.  

Presupposti applicativi.
Volgendo, adesso, all’esame esegetico della scriminante in questione è bene precisare che la riforma ha lasciato inalterato il primo comma della norma in esame, ai sensi del quale: ‹‹non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di un offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa››. Piuttosto, alla norma appena citata il legislatore ha aggiunto altri due commi. Il secondo comma, precisamente, statuisce: ‹‹nei casi previsti dall’articolo 614, primo e secondo comma, sussiste il rapporto di proporzione di cui al primo comma del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere: la propria o altrui incolumità; o i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo di aggressione››. La presente disposizione così, oggi, prevede una presunzione proporzionalità[4] della condotta difensiva rispetto all’offesa subita, subordinandola però alla presenza di talune condizioni[5]. Quest’ultime sono, dunque, la previa comunicazione di una violazione di domicilio ex art. 614 c.p. da parte dell’aggressore[6]; la presenza legittima nel domicilio da parte dell’aggredito[7]; l’uso di un arma legittimamente detenuta o di un altro mezzo idoneo ai fini difensivi da parte dell’aggredito[8]; il fine di difendere la propria o altrui incolumità (lett. a), ovvero i beni propri o altrui (lett. b), purché, in questa seconda ipotesi, non vi sia desistenza e si sia pericolo di aggressione[9]. La causa di giustificazione de quo, dunque, presuppone che il soggetto che si introduce fraudolentemente nella dimora altrui agisca per insidiare l'altrui sfera domestica ovvero le persone che in essa si trovano[10], non consentendo, però un'indiscriminata reazione nei confronti dell’aggressore, ma presupponendo un pericolo attuale per l'incolumità fisica dell'aggredito o di altri (lett. a) ovvero i beni propri o altrui (lett. b)[11]. Per quanto concerne, allora, il primo dei presupposti applicativi, ossia il richiamo alla fattispecie descritta all’art. 614 c.p. e relativo al reato di violazione di domicilio, che rende applicabile la legittima difesa domiciliare solo previa violazione di domicilio da parte dell’aggressore, esso consiste in un primo limite di ordine spaziale e circoscrive l’applicazione del comma due ai soli casi rientranti nei luoghi di domicilio, di privata dimora e nelle relative appartenenze. Nella disciplina ivi rientrante sono da configurare anche tutti gli altri luoghi ove si svolga attività di vita privata diverse da quelle domestiche e da riscontrarsi nelle attività religiose, nelle attività di svago e in quelle lavorative o politiche, restandone invece esclusi i luoghi pubblici e i mezzi di trasporto, anche collettivi[12]. Secondo un orientamento a volte discusso ma anche seguito dalla Cassazione, vi rientrerebbero persino bar, studi professionali, saloni di banca e in genere tutti i negozi commerciali[13], con la conseguente enorme dilatazione dei luoghi ove diviene a prima vista possibile reagire oltre la normale proporzione[14].
Altro requisito, poi, impone che l’aggredito sia legittimamente presente all’interno dei luoghi di cui all’art. 614 c.p. Questa specificazione introduce il fatto che, della nuova previsione di proporzionalità presunta, potranno godere solamente quei soggetti che – a qualsiasi titolo – saranno legittimamente presenti nel domicilio o nel luogo di privata dimora ove l’aggressione avviene a seguito di violazione di domicilio ex art. 614 c.p.. Perché ciò avvenga non si richiede all’aggredito, o a colui che si attivi per la difesa altrui, di essere necessariamente il titolare dello ius excludendi, quindi di essere il proprietario ex art. 832 c.c. dell’abitazione o il beneficiario di un diritto di godimento o il titolare di un negozio, ma più semplicemente di essere legittimamente presente nel luogo violato, opzione che ricomprende perciò tutti coloro che non vi si siano introdotti con condotta caratterizzata dalle modalità descritte dall’art. 614 c.p.[15]. Si tratta di un limite soggettivo all’applicazione del comma, un limite di ordine personale che mira in primo luogo ad eliminare dall’ambito di utilizzo dell’esimente in questione l’aggressore stesso, il quale potrà – nei limiti cui la giurisprudenza ha sempre permesso l’ammissibilità della legittima difesa a chi abbia dato origine al pericolo – beneficiare della scriminante originale ex art. 52 primo comma[16].
E’ un limite che non sembra essere dettato da una vera funzione di utilità, quanto piuttosto dal fatto che, con esso, il legislatore abbia inteso dare meritevolezza a colui che difende la propria libertà e incolumità familiare e lavorativa, volendo sottolineare la giustizia e la legalità di tale nuova difesa allargata. La legittimità della presenza è soddisfatta, allora, quando chiunque sia presente – sotto l’autorizzazione di chi gode dello jus excludendi – anche se di nascosto dagli altri titolari[17]. Il secondo comma dell’art. 52 c.p. ha, altresì, introdotto il requisito della legittima detenzione dell’arma. Tale comma precisa, infatti, che la nuova previsione di proporzionalità presunta potrà operare solo quando l’aggredito utilizzi per la difesa un’arma che egli legittimamente detiene, oppure un altro mezzo idoneo, al fine di difendere. Si tratta di un requisito diretto a restringere il campo dei possibili utilizzatori di armi solamente a coloro ritenuti degni di una più meritata affidabilità[18], in quanto hanno adempiuto agli obblighi normativi imposti a chi intende detenere un’arma[19]. Il particolare tema trattato dal requisito in questione – che dispiega la sua efficacia su tutte le tipologie di armi il cui utilizzo è sottoposto ad autorizzazione – deve inoltre far richiamare l’attenzione sul fatto che esso ha disciplinato la possibilità di utilizzo del mezzo, ma non anche l’effetto che da tale uso deriva. Pertanto è da tenere in buon conto che il suo uso non è in alcun modo diretto ad una libertà di determinazione degli effetti, essendo questi sempre sottoposti ad un preciso vaglio di idoneità che il principale elemento della necessità esercita nella sua più ampia concezione di necessità-inevitabilità[20]. A seguito della menzione della legittimità dell’arma, infine, si dispone che la difesa coperta da presunzione di proporzionalità potrà essere attuata anche mediante qualunque altro mezzo idoneo. Ci si trova in tal caso di fronte ad una nozione di carattere residuale che ricomprende qualunque mezzo a disposizione, anche quelli altamente lesivi, come coltelli, bottiglie, fuoco, lanciando in tal modo un messaggio che svilisce il precedente tentativo di limitare l’applicabilità del nuovo comma solo a quelle persone che – avendo attuato tutte le misure previste per certe armi – si sono poste in una posizione di garanzia[21]. In ordine, poi, all’ipotesi contemplata dalla lettera a) del comma secondo in esame, è palese che il legislatore con l’espressione ″propria o altrui incolumità″ abbia inteso far riferimento sia alla vita sia all’integrità fisica dell’aggredito. Pertanto, ricorrendo un pericolo attuale per i beni appena indicati, il giudice sarà dispensato da ogni valutazione comparativa tra la gravità del danno minacciato e quello patito dall’aggressore, consistendo in questo una delle innovazioni più importanti introdotte dalla riforma. Ciò proprio al dichiarato scopo di rafforzare il diritto di autotutela in un privato domicilio o in un luogo ad esso equiparato, fermi restando i presupposti dell'attualità dell'offesa e della inevitabilità dell'uso dell'arma come mezzo di difesa della propria o dell'altrui incolumità[22]. Molto più problematica è, invece, la seconda ipotesi, contemplata sempre dal medesimo comma ma alla lettera b), in cui l’aggredito agisce per difendere i beni propri o altrui. Pertanto, posto che il legislatore abbia inteso riferirsi, con il termine beni, ai beni meramente patrimoniali, in questa ipotesi, a differenza della precedente, la presunzione di proporzionalità non opererà incondizionatamente, bensì alla duplice condizione che manchi la desistenza e sussista un pericolo di aggressione[23]. Circa il requisito della mancanza di desistenza, sebbene la norma paia piuttosto chiara, si sono instaurate doppie chiavi di lettura. Un primo orientamento, infatti, partendo da una lettura dei lavori preparatori al testo normativo sosteneva che il solo modo per attribuire un significato autonomo all’inciso ″quando non vi è desistenza″ è quello di intenderlo in chiave dinamica, nel contesto di un trapasso, per effetto della reazione difensiva, da una situazione originaria di aggressione ai soli beni patrimoniali ad un’aggressione all’incolumità fisica[24]. Si precisi, peraltro, che anche nel corso dei lavori preliminari, non mancò chi[25] avanzò la tesi secondo la quale il presente inciso andava inteso come un onere di avvertimento che incombeva sull’aggredito, il quale intendesse difendere i propri o altrui beni nel domicilio, e al quale era subordinata la liceità dell’azione difensiva. Siffatta elaborazione interpretativa, però, pare poco convincente, anche ad avviso di un certo filone dottrinario[26] e ciò in quanto con tale visione ermeneutica si finirebbe sostanzialmente col peggiorare la posizione della vittima di un’aggressione rispetto alla situazione normativa previgente, vincolandola ad una sorta di procedura cavalleresca. Altro orientamento, invece, ha sostenuto che la “non desistenza” vada intesa ad abundantiam, perché implicita nel pericolo di aggressione. Del resto, «se vi è attualità del pericolo, ciò implica che l’aggressore non abbia interrotta volontariamente la sua azione[27]». Ed invero, data la collocazione sistematica del “nuovo” istituto, la ratio normativa che lo sorregge, le ragioni politico-criminali che hanno spinto verso la sua introduzione nel panorama normativo e le sempre maggiori esigenze di repressione, pare indubbio che il requisito della non desistenza vada inteso in senso lato. A riprova dell’orientamento da ultimo citato, peraltro, è intervenuta la Suprema Corte di Cassazione sostenendo che  la mancata desistenza sia un requisito necessario della legittima difesa, ma implicito dell’attualità dell’offesa. Interpretazione, quest’ultima, peraltro autentica, che muove dalla considerazione secondo cui durante i lavori preparatori della suddetta novella, è stata esplicitamente accantonata la possibilità di inserire una clausola che contemplasse l’obbligo del soggetto aggredito di proporre un “invito a desistere” all’aggressore, derivandone che tale procedura non trovi fondamento[28]. In ordine, invece, al requisito della sussistenza del pericolo di aggressione, al quale è subordinata l’operatività della presunzione di proporzionalità per quel che concerne i beni patrimoniali, la norma omette di precisare se il pericolo in questione debba essere necessariamente riferito alla vita o all’incolumità delle persone presenti nel domicilio ovvero possa rivolgersi anche soltanto a beni patrimoniali[29]. Sul punto una pregevole interpretazione[30] ha sostenuto che molteplici sono gli argomenti di carattere sistematico che inducono a riferire il pericolo di aggressione ai beni di natura esclusivamente personale. Ciò in quanto, anzitutto, siffatta soluzione è l’unica in grado di attribuire un significato autonomo all’inciso in questione, tenendo in considerazione che la sussistenza di un effettivo ″pericolo di aggressione″ ai beni patrimoniali difesi è deducibile in modo autonomo dai requisiti di cui al comma uno; e in secondo luogo, in quanto, questa soluzione è quella che risponde maggiormente alla ratio legis[31]. Infine, questa lettura è l’unica in grado di consentire un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma, rendendola in suscettibile a censure d’incostituzionalità. Infatti, come unanimemente si riconosce, il diritto alla vita, pur non menzionato espressamente nella nostra Carta Costituzionale, è riconducibile all’area dei «diritti inviolabili dell’uomo» di cui all’art. 2 Cost. Il diritto alla vita è, anzi, situato al vertice degli stessi diritti fondamentali di cui all’art. 2, costituendo esso presupposto indefettibile ai fini del godimento di tutti gli altri diritti fondamentali. Quanto esposto, del resto, è suffragato dall’art. 27, co. 4, Cost., che ripudia la pena di morte indipendentemente dalla gravità del reato commesso[32], sicché, così come lo Stato non è legittimato a reprimere, anche i più efferati delitti, mediante la sottrazione del bene della vita al reo, a fortiori non è legittimato colui che intenda difendere la propria o l’altrui incolumità ovvero i beni propri o altrui.  

Il “nuovo” terzo comma.
Il terzo comma, originariamente non previsto nel testo licenziato dalla Commissione Giustizia del Senato, e introdotto in sede di discussione in aula, in accoglimento di un emendamento del Sen. Bobbio[33], aggiunge: ‹‹la disposizione di cui al secondo comma si applica anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all’interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale››. Il Sen. Bobbio motivò la propria iniziativa nei seguenti termini: «Questa è una norma che fonda uno dei suoi punti di riferimento al richiamo dei casi previsti dall’art. 614 c.p. (Violazione di domicilio). Fino ad oggi la giurisprudenza, per costante lettura della norma, ha incluso nel concetto di domicilio, di cui all’art. 614, anche i luoghi dove si esercitano attività commerciali, professionali e imprenditoriali. Ebbene, mettendo insieme le due cose, nel momento in cui il Parlamento avrà approvato il testo normativo che prevede la possibilità che vi sia legittima difesa, ed in proporzione, anche quando ci si trovi a doversi difendere all’interno del luogo di cui all’art. 614 c.p., è facile prevedere che la giurisprudenza si affretterà ad espungere dal concetto di domicilio proprio quei luoghi che non sono direttamente ed espressamente sussumibili in questa nozione. Ci troviamo allora come Parlamento, e da qui l’emendamento, di fronte ad una necessità[34]», ossia quella di specificare in sede normativa che possano essere assimilati al concetto di domicilio anche quei luoghi che, pur non essendo da considerarsi come tali, assumano comunque medesima dignità. Il legislatore del 2006 nel formulare il terzo comma ha esteso la citata presunzione di proporzione della condotta difensiva, in presenza di tutte le condizioni descritte dal secondo comma, anche alle ipotesi in cui il fatto sia avvenuto all’interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale, ulteriore rispetto ai luoghi indicati dall’art. 614 c.p..        

Natura giuridica
Fin da subito, data la sua collocazione sistematica, in dottrina e in giurisprudenza si è ampiamente dibattuto sulla natura, speciale o autonoma, della scriminante, modificata nel senso che s’è detto, rispetto a quanto originariamente previsto al primo comma. La non menzione dei requisiti dell’attualità del pericolo e del carattere di necessità della difesa ha alimentato differenti ipotesi interpretative. Per una parte della dottrina[35], l’art. 52, secondo e terzo comma, c.p., avrebbe introdotto una ipotesi di legittima difesa caratterizzata dalla speciale riconsiderazione del requisito della proporzione nel contesto in cui avviene l’aggressione, senza, però, perdere la dipendenza strutturale e funzionale dall’ipotesi generale. L’elemento differenziale tra ipotesi speciale e fattispecie generale, secondo tale ricostruzione, infatti, verrebbe individuato nella disciplina del rapporto di proporzione. I commi 2 e 3 dell’art. 52 c.p., si argomenta, prevedono, del resto, la presunzione assoluta di proporzionalità tra pericolo di offesa e reazione difensiva, allo scopo di evitare che colui il quale abbia reagito all’aggressione perpetrata nel suo domicilio possa essere eventualmente chiamato a rispondere di fatto doloso o, nella migliore delle ipotesi, di eccesso colposo, per aver cagionato intenzionalmente all’aggressore, a causa di un errore di valutazione, un danno superiore al pericolo subito[36]. Ulteriore elemento di specialità viene, altresì, ravvisato nell’elemento soggettivo, ossia il “fine di difendere”. In altri termini, questa tesi ritiene che la novità legislativa de qua consista nel peculiare rapporto di proporzione, dalla cui valutazione il giudice è dispensato, stante la presunzione juris et de jure inserita nella stessa. Questa opzione interpretativa ha il merito di privilegiare, tra le varie interpretazioni possibili, quella che più si avvicina al dettato costituzionale. Invero, si tratta di una lettura in chiave contenitiva, volta ad eludere il rischio di interpretazioni ambigue e fuorvianti della lettera della norma. Ma, proprio la struttura sui generis della fattispecie, nonché la previsione di alcuni significativi requisiti di liceità speciale, induce a ritenere che al riferimento normativo al esso di proporzionalità vada attribuito un significato diverso. E’ noto, infatti, che la valutazione della proporzione non può circoscriversi alla comparazione, né dei mezzi usati, né dei beni in conflitto, ma implica un giudizio sia qualitativo che quantitativo e relativistico, che tiene conto di tutta la complessità della vicenda aggressiva e difensiva[37]. Peraltro, aderendo a tale primo orientamento, ai fini della configurabilità del “nuovo” istituto, dovranno sussistere (oltre ai requisiti di cui ai commi 2 e 3 dell’art. 52 c.p.) anche i requisiti di cui al comma 1, con la conseguenza che il giudice dovrà sempre accertare la sussistenza del pericolo attuale, dell’offesa ingiusta e della inevitabilità della reazione difensiva. Così contravvenendo alla ratio normativa.
Per altro orientamento[38], la fattispecie de quo rappresenterebbe una scriminante propria che, rispetto all’ipotesi di cui al comma uno, se ne differenzia per effetto della irrilevanza del requisito della proporzione. Rectius, doppiamente propria: in primo luogo, perché è riferita a un ristretto gruppo di soggetti; e in secondo luogo, perché gli stessi sono qualificati in quanto legittimamente presenti in uno dei luoghi indicati e detentori legittimi di arma. Si tratta di due requisiti restrittivi che trovano spiegazione nella ratio alla base della riforma: attribuire meritevolezza alla vittima che reagisce. Secondo tale interpretazione si tratterebbe di un riconoscimento a priori di una facoltà legittima in capo al soggetto presente in determinati luoghi e detentore di arma, sempre che si verifichino le condizioni date. L’eterogeneità e l’autonomia della nuova scriminante, infatti, sono attestate sia dal tenore dell’art. 1, legge n. 59 del 2006, incentrata esclusivamente sul diritto all’autotutela in un privato domicilio, sia dal tenore della scriminante prevista all’art. 31/3 del Progetto di Riforma del codice penale elaborato dalla Commissione Nordico, ove si legge: «è scriminato il fatto di chi fa uso di armi perché è costretto dalla necessità di difendere l’inviolabilità del domicilio contro un’intrusione ingiusta, violenta, clandestina e tale da destare ragionevolmente timore per l’incolumità o la libertà delle persone presenti nel domicilio[39]». Del resto, tale scriminante risponde all’esigenza di tutelare l’inviolabilità del domicilio e facultizza l’uso delle armi al fine di difendere i beni fondamentali della persona.  Aderendo, piuttosto, a tale ultimo orientamento, ai fini della sua configurabilità, non dovranno necessariamente sussistere anche i requisiti di cui al comma 1, ciò in quanto la seconda ipotesi, essendo autonoma, per la sua configurazione, basterà il verificarsi delle sole condizioni previste al novellistico comma secondo. Il giudice, quindi, non dovrà necessariamente accertare, di volta in volta, la sussistenza del pericolo attuale, dell’offesa ingiusta e della inevitabilità della reazione difensiva. Sul punto, a fugare ogni dubbio, è intervenuta la Suprema Corte di Cassazione la quale, ben presto, ha preso posizione in ordine alla natura giuridica della cd. legittima difesa domiciliare di cui all’art. 52 commi 2 e 3 c.p., schierandosi a favore dell’orientamento secondo cui si avrebbe a che fare con un’ipotesi speciale di legittima difesa e non con una scriminante autonoma[40]. Affermando così che il legislatore, non avendo fatto menzione dei requisiti dell’offesa ingiusta e della inevitabilità della reazione difensiva, evidentemente abbia inteso l’applicabilità della scriminante della “legittima difesa domiciliare” solo al ricorrere dei requisiti della qualità dei luoghi (ossia quelli indicati all’art. 614 c.p.); della legittima detenzione dell’arma o di altro mezzo idoneo al fine di difendere, dell’assenza di desistenza da parte dell’aggressore e quello del pericolo di aggressione[41], presupponendo così al ricorrere di essi l’esistenza del requisito della proporzionalità tra l’offesa e la difesa, e distogliendo dalle attribuzioni del giudice un vaglio, di volta in volta, sulla presenza di tale ultimo elemento. Sicché può ben argomentarsi che modifiche apportate dalla legge 13 febbraio 2006, n. 59 all’art. 52 c.p., hanno riguardato solo il concetto di proporzionalità, fermi restando i presupposti dell’attualità dell’offesa e della inevitabilità dell’uso delle armi come mezzo di difesa della propria o dell’altrui incolumità; di conseguenza, la reazione a difesa dei beni è legittima solo quando non vi sia desistenza ed anzi sussista un pericolo attuale per l’incolumità fisica dell’aggredito o di altri[42].  
     
Brevi riflessioni conclusive
Così esaminato l’istituto della legittima difesa domiciliare, è bene porre alcune finali conclusioni per fare un pò di chiarezza. La legittima difesa così, da ultimo, novellata, infatti, è stata in più occasioni, anche di recente, motivo di dibattito non solo tra i tecnici – nonché presumibilmente esperti conoscitori della materia – ma anche tra i componenti dell’opinione pubblica: ossia il popolo. Il progetto di riforma, venuto a materializzarsi nel 2006, infatti, nasce proprio per far fronte all’esigenza del popolo affinché questo, con una apposita licenza di uccidere, potesse meglio tutelare ciò che per natura viene ritenuto il bene inviolabile per antonomasia: il “privato domicilio”. Come fin troppe volte è accaduto allora il legislatore, cacciatore per eccellenza di consensi popolari, ha dato vita ad una riforma che solo apparentemente potesse garantire le istanze proveniente dal popolo, così consegnando nella mani degli elettori una apparente licenza d’uccidere. Spiacente, però, deludere le aspettative di chi “con lupara e coppola presidia l’uscio di casa nell’attesa di un malvivente da lasciar secco”. La legittima difesa speciale o allargata, o per meglio comprendere, domiciliare non è affatto una facoltà attribuita, da legislatore, al cittadino medio di rispondere indiscriminatamente a chi si accinga presso un privato domicilio, o consimili, con l’intenzione di depredare. Certamente trattasi di una forma di autotula maggiormente pregante rispetto a quella conosciuta fino al lontano 2006, ma che non legittima chiunque a reagire in qualunque contesto con il “fuoco”. Vi sono, infatti, piaccia o non piaccia, taluni presupposti normativi il cui rispetto si palesa come indefettibile. Non ci si sorprenda, allora, se il vicino di casa venga condannato per omicidio allorquando, dopo aver visto fuggire dal proprio balcone di casa il ladro, abbia sferrato un colpo d’arma da fuoco. Come già accennato, infatti, la legittima difesa domiciliare consiste in una forma speciale di legittima difesa tout court la cui applicazione è succedanea all’applicazione della legittima difesa di cui al comma uno e condizionata al ricorrere di tutti i requisiti previsti dal comma secondo e dal comma terzo. Da tali premesse ne deriva, dunque, che allorquando difetti anche uno solo dei requisiti previsti dalla “novella”, è necessario che ricorrano tutti i requisiti previsti dal comma uno, finanche la proporzione tra offesa e difesa[43]. In particolare occorre che l’aggressore si introduca fraudolentemente – ossia senza il consenso di chi abbia la facoltà di escluderne la presenza - presso un altrui domicilio, che l’aggredito vi si trovi legittimamente – ossia che abbia il diritto di escludere la presenza dell’aggressore – che l’arma utilizzata per l’autotutela sia legittimamente detenuta – ossia che nel luogo di suo utilizzo si trovi un’arma la cui detenzione rispetti i limiti legali imposti – e che l’aggredito abbia reagito al fine di difendere la propria o altrui incolumità, ovvero i beni propri o altrui. In ordine a tale ultima circostanza il legislatore ha imposto, peraltro, due ulteriori requisiti: ossia, che l’aggressore non abbia desistito e sussista un pericolo di aggressione. Allorquando, dunque, manchi anche uno solo dei requisiti appena citati occorrerà valutare se la condotta difensiva dell’aggredito possa rientrare all’interno di quella tipizzata dal legislatore al co. 1 dell’art. 52 c.p. Dovendosi così valutare, a questo punto, se ricorra l’ulteriore requisito della proporzione tra offesa e difesa di cui al comma uno dell’art. 52 c.p.. Tornando, infatti, all’esempio, brutale ma quanto mai vero, del vicino di casa condannato per omicidio allorquando, dopo aver visto fuggire dal proprio balcone di casa il ladro, che abbia sferrato un colpo d’arma da fuoco, va chiarito che allorquando taluno, ormai in fuga, abbia consumato un furto presso una abitazione, venga colpito dal titolare dell’immobile da un colpo di arma da fuoco è, indiscutibilmente, vittima di omicidio e la condotta posta in essere dal titolare dell’immobile non è scriminata affatto all’art. 52 co. 2 c.p. in quanto viene a mancare proprio il requisito del pericolo di aggressione, non potendosi applicare la presunzione – relativa – di proposizione tra offesa e difesa. L’aggressione, infatti, si è ormai consumata e il titolare dell’immobile ha, ben altri rimedi, sulla cui efficacia potrà discutersi magari in altra sede, volti a tutelare i propri interessi, consistenti proprio nella proposizione di denuncia-querela presso le competenti autorità di pubblica sicurezza o di polizia giudiziaria. Il medesimo vicino di casa, altresì, non potrà affatto beneficiare neppure della legittima difesa di cui al co. 1 dell’art. 52 c.p. in quanto è venuto a mancare il requisito della proposizione tra offesa e difesa. Corre l’obbligo di precisare, ancora, che non ci si sorprenda se l’aggressore, a seguito della risposta armata, venga sottoposto ad indagini, e, possibilmente, a giudizio. Si ricordi, infatti, che la sola autorità che sia in grado, oltre che legittimata, ad una valutazione del rispetto dei limiti e dei requisiti previsti dalla norma in esame è quella giudiziaria il cui vaglio si esplica solo e soltanto attraverso la macchina processuale.     ********************************* [1] Legge 13 febbraio 2006, n. 59, recante “Modifica all’art. 52 del codice penale in materia di diritto all’autotutela in un privato domicilio”, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, Serie Generale, 2 marzo 2006, n. 51. [2] R. Geraci, diritto all’autotuela in un privato domicilio, legittima difesa o 'licenza di uccidere'?, in www.penale.it, diritto,  procedura e pratica penale, 2006; [3] R. Geraci, diritto all’autotuela in un privato domicilio, cit.; [4] Cfr. Cass. Pen. 10 novembre 2004, n. 45407, in www.italgiure.it, Rv. 230392: il requisito della proporzione fra offesa e difesa richiederebbe un confronto valutativo, effettuato con giudizio 'ex ante', sia fra i mezzi usati e quelli a disposizione dell'aggredito che fra i beni giuridici in conflitto. Sicché tale requisito verrebbe meno nel caso di conflitto fra beni eterogenei, allorchè la consistenza dell'interesse leso (la vita o l'incolumità della persona) sia enormemente più rilevante , sul piano della gerarchia dei valori costituzionali, di quello difeso (il patrimonio), ed il danno inflitto (morte o lesione personale) abbia un'intensità di gran lunga superiore a quella del danno minacciato (sottrazione della cosa); [5] Cass. Pen. 7 ottobre 2014, n. 50909, in www.italgiure.it, Rv. 26149; [6] Pertanto non si procederà all’applicazione del secondo comma, ma delle regole generali del primo comma, allorché l’aggressore sia legittimamente entrato nel domicilio altrui e non espressamente invitato ad allontanarvisi da parte del titolare dello jus excludendi, né si sia ivi trattenuto clandestinamente o con l’inganno. [7] Ciò preclude all’autore stesso della violazione di domicilio di giovarsi della disposizione in esame. [8] G. Finadaca – E. Musco, Diritto penale, Pt. gen., Bologna, IV ed. aggiornata, 2004, p. 263 e A. Cadoppi, La legittima difesa domiciliare (c.d. ″sproporzionata″ o ″allargata″): Molto fumo e poco arrosto, in Dir. pen. e proc.,2006, p. 440; G. Marinucci – E. Dolcini, Manuale di diritto penale, II ed., 2004, p. 169. Il nuovo secondo comma dell’art. 52 c.p., relativamente all’uso dell’arma o di un altro mezzo idoneo, non specifica quale debba essere questo uso. Le conclusioni che al riguardo potrebbero trarsi sono essenzialmente due: o per la legge qualsiasi atto è ammissibile, a prescindere dalle conseguenze per l’aggressore; ovvero si considera legittimo solo quell’uso conforme a necessità, ossia l’uso che, a parità di idoneità produce il minimo danno all’offensore. A favore di questa seconda opzione interpretativa militano molteplici argomentazioni. In primis, il legislatore del 2006 non ha eliminato il requisito della necessità; in secundis, l’autorizzazione all’uso dell’arma non appare decisiva dal momento che esistono norme, come l’art. 53 c.p., le quali autorizzano l’uso delle armi prescindendo dal requisito della proporzione. Infine, ed è questo a mio parere l’argomento più decisivo, quando un legislatore ha voluto permettere la legittima difesa ″ad ogni costo″ lo ha fatto (si pensi all’art. 36, comma 5, del codice di New York, ove è disposto che «l’uso di armi o altri mezzi … per evitare un’indebita intrusione violenta in un luogo abitato o in altri edifici, non sarà considerato eccesso di difesa necessaria né darà luogo a responsabilità penale, quale che sia la gravità del danno causato all’offensore»).   [9] F. Vviganò, Sulla nuova legittima difesa, in Riv. it. dir. proc. pen., I, 2006, p. 207: poiché il nuovo secondo comma dell’art. 52 c.p. è formulato in termini soggettivi, sarà compito del giudice accertare la sussistenza in capo all’agente di uno specifico animus defendendi. Tale requisito non si sostituisce a quelli posti dal primo comma, aggiungendosi ad essi. Corollario di ciò è che ala finalità difensiva dovrà necessariamente corrispondere sul piano oggettivo una situazione di pericolo reale, oltre che attuale (ovviamente non neutralizzabile in altro modo), per i beni giuridici lla cui salvaguardia l’azione difensiva è diretta.; [10] Cass. Pen. 2 luglio 2014, n. 35709, in www.italgiure.it, Rv. 260316; [11] Cass. Pen. 14 novembre 2013, n. 691, in www.italgiure.it, Rv. 257884; [12] cfr. sul punto Cass. Pen. 14 marzo 2013, n. 19375, in www.italgiure.it, Rv. 255894 per cui in tema di legittima difesa, la presunzione di proporzionalità a favore della reazione di difesa in luoghi di domicilio o ad esso equiparabili, prevista dal comma secondo dell'art. 52 c.p., come modificato dalla l. n. 59 del 2006, non opera con riguardo a condotte compiute nell'abitacolo di una autovettura, trattandosi di spazio privo dei requisiti minimi necessari per potervi soggiornare per un apprezzabile periodo di tempo e nel quale non si compiono atti caratteristici della vita domestica. (Fattispecie nella quale l'imputato, che dall'autovettura aveva colpito mortalmente alcuni aggressori con un'arma da fuoco, è stato ritenuto responsabile del reato di omicidio colposo plurimo per aver ecceduto i limiti della legittima difesa); [13] Cass. pen., sez. VI, 10.1.1985, Bassi, in Giust. pen., 1986, II, c. 34; [14] P. Pisa. La legittima difesa tra Far West  ed Europa, in Diritto penale e processo, 2004, II, p. 798. [15] A. Gargani, Il diritto di autotutela in un privato domicilio (l. 13 febbraio 2006, n° 59), in Studium Iuris, 2006, 969; [16] F. Mantovani, Legittima difesa comune e legittima difesa speciale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2006, fasc. II, 53; [17] G. Flora, Brevi riflessioni sulla recente modifica dell’art. 52 c.p.: il messaggio mass mediatico e il “vero” significato della norma, in Riv. it. dir. proc. pen., 2006, 1372; [18] F. Viganò F., Sulla “nuova” legittima difesa, cit., nota a pagina 200, nota a pagina 206; [19] Per non incorrere in assurde situazioni di divieto di uso dell’arma sotto il beneficio della riforma per chi non è il legittimo e legale detentore, è bene intendere tale elemento nella sua più ampia concezione oggettiva, cioè come legittimazione indipendente dalla formale intestazione ma risultante solamente dalla legittima presenza in loco, con conseguente irrilevanza se ad usare l’arma è il detentore legale oppure altra persona ivi legittimamente presente, come ad esempio un familiare. Pubblicità [20] M. Zanuccoli, L’evoluzione normativa e giurisprudenziale della legittima difesa: La legge 13 febbraio 2006, n° 59 e prospettive di riforma, in www.diritto2000.it; [21] C. A. Zaina, La nuova legittima difesa, Rimini, 2006, 270 ss; [22] Cass. Pen. 27 maggio 2010, n. 23221, in www.italgiure.it, Rv. 247571; [23] R. Geraci, diritto all’autotuela in un privato domicilio, cit.; [24] A. Cadoppi, la legittima difesa domiciliare, cit., p. 440; [25] Intervento del Sen. Calvi nella seduta del 6 luglio 2005; [26] G. Finadaca – E. Musco, Diritto penale, cit., p. 889; [27] G. Finadaca – E. Musco, Diritto penale, cit., p. 890; F. Vviganò, Sulla nuova legittima difesa, cit., p. 214; [28] Da ultimo: Cass. Pen., 3 luglio 2014, n. 28802, in www.giurisprudenzapenale.com;; [29] R. Geraci, diritto all’autotuela in un privato domicilio, cit.; [30] G. Finadaca – E. Musco, Diritto penale, cit., p. 889; [31] R. Geraci, diritto all’autotuela in un privato domicilio, cit.; [32] R. Geraci, diritto all’autotuela in un privato domicilio, cit.; [33] Cfr. il verbale della seduta del 6 luglio 2005, nel quale il provvedimento fu approvato in via definitiva dal Senato; [34] Intervento del Sen. Bobbio nella seduta del 6 luglio 2005; Pubblicità [35] A. Cadoppi, la legittima difesa domiciliare, cit., p. 436 e F. Viganò, sulla nuova legittima difesa, cit., p. 190; [36] F. Palazzo, Corso di diritto penale, IIª ed., 2006, Torino, p. 407. [37] R. Geraci, diritto all’autotuela in un privato domicilio, cit.; [38] R. Garofoli, Tracce penale, Roma, 2011, p. 366; [39] T. Padovani, Un’introduzione al Progetto di parte generale della Commissione Nordico, in Cass. pen., I, 2005, p. 2852; [40] Da ultimo: Cass. Pen., 3 luglio 2014, n. 28802, cit.; [41] Cfr. Cass. Pen. 08 marzo 2007, n. 16677, rv. 236502 e Cass. Pen.  27 maggio 2010, n. 23221, rv. 247571 in www.giurisprudenzapenale.com; [42] Cass. Pen. 21 febbraio 2007, n. 12466 in www.giurisprudenzapenale.com, rv. 236217; [43] La quale consiste non nel bilanciamento tra i mezzi utilizzati al fine di porre in essere l’autotutela ma nel bilanciamento tra i beni giuridici lesi. Sicché in presenza del pericolo di aggressione avverso a beni di carattere materiale non sussiste il requisito della proporzione allorquando l’aggredito risponda ledendo l’integrità fisica o il bene vita dell’aggressore.