Internet e i social network sono entrati sempre più a far arte della nostra vita, con effetti, purtroppo non sempre positivi, anche perché spesso le persone non hanno la percezione di quanto alcune azioni compiute attraverso uno schermo e utilizzando una tastiera possano essere penalmente rilevanti.
Il primo esempio che si può fare è quello dell’insulto pubblicato sulla bacheca facebook di un’altra persona; in questo caso, infatti, l’autore del post può essere perseguito per il reato di diffamazione, che consiste nell’offendere l’altrui reputazione utilizzando strumenti con i quali l’offesa viene comunicata non solo al destinatario, ma anche ad altre persone.
Nei casi meno gravi la pena prevista dal codice per il reato di diffamazione può arrivare ad una multa di € 1.032,00 o ad un anno di reclusione. Ma il codice prevede delle aggravanti, vale a dire delle circostanze particolari che rendono la condotta punita particolarmente grave e, di conseguenza, anche le pene possono essere più importanti. Ad esempio, tornando al caso del post su facebook, la pena potrebbe arrivare, teoricamente, fino a tre anni di reclusione.
Si tratta, nella maggior parte dei casi, di reati minori che, però, “sporcano” la “fedina penale” delle persone.
Ma esistono anche casi in cui la condotta rientra in ipotesi di reato più gravi.
Ad esempio, nel caso in cui insulti e minacce siano reiterati nel tempo, è possibile essere sottoposti a processo per il reato di atti persecutori (il famoso stalking).
Ma non bisogna dimenticare che se la vittima dovesse arrivare a suicidarsi, possibilità assolutamente realistica, come recenti casi di cronaca hanno dimostrato, si rischia di essere considerati direttamente responsabili per quella morte. In tali ipotesi, la pena prevista è la stessa dell’omicidio colposo (quindi reclusione da 6 mesi fino a 5 anni) ma aumentata.
In molti casi, però, gli utenti della rete possono essere non solo autori di reato, ma anche vittime.
Si pensi, per iniziare, ai casi di trattamento illecito dei dati personali o di furto di identità.
Questo tipo di reati viene generalmente commesso utilizzando, ad esempio, credenziali già conosciute relative al profilo di altre persone; oppure creando un vero e proprio profilo falso sui social network, per poi pubblicare del materiale (foto, messaggi, commenti, ecc) all’insaputa della vittima.
Si tratta di condotte poste in essere, a volte, con leggerezza, magari per scherzo o per vendetta, ad esempio da parte di un ex partner, ma che possono essere punite, anche in questo caso, con la reclusione.
Senza contare i casi in cui i social network e i mezzi di comunicazione telematici in generale, grazie all’anonimato garantito, entro certi limiti, dalla rete, vengono utilizzati per offendere e minacciare altre persone.
Spesso questo tipo di condotte vedono coinvolti, sia come, autori, sia come vittime, i più giovani, in quanto principali fruitori della rete e dei social network. Ormai da diversi anni si parla, per esempio, di cyberbullismo, vale a dire il bullismo, bene o male sempre esistito, commesso in rete, ma sempre con il risultato di prevaricare e vittimizzare un compagno di classe o di scuola. Una grande e importante differenza tra i due fenomeni può essere individuata nella maggiore pervasività del cyberbullismo, poiché la vittima può essere raggiunta dagli insulti e dalle minacce non solo all’interno delle mura scolastiche, ma in ogni momento della giornata, rendendola maggiormente vulnerabile.
L’attualità del fenomeno è tale che a maggio del 2017 è stata approvata una legge ad hoc (legge n. 71/2017) contenente disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo.
Nel caso in cui ci si renda conto che il proprio figlio è vittima di cyberbullismo, si può e si deve intervenire.
Come previsto dalla legge appena richiamata, gli step che è possibile seguire sono diversi.
In primo luogo si può chiedere al titolare del trattamento o al gestore del sito o del social media (facebook, instagram, ecc) di rimuovere, oscurare o bloccare alcuni dei contenuti relativi al proprio figlio.
In secondo luogo, nel caso in cui tale richiesta non dovesse essere eseguita o non sia possibile, per qualche motivo, procedere in quella direzione, è possibile chiedere l’intervento del Garante per la protezione dei dati personali, attraverso una segnalazione o un reclamo, sempre al fine di ottenere che alcuni dei contenuti pubblicati vengano rimossi.
E’ bene precisare che ad attivarsi, in realtà, può essere direttamente il minore purché abbia compiuto i 14 anni.
Nel caso in cui, però, le condotte proseguano nonostante l’intervento del gestore o del Garante esistono altri strumenti per tutelarsi.
Fino a quando non sia stata presentata una denuncia o una querela è possibile agire in sede amministrativa, rivolgendosi al Questore e chiedendo che proceda con un formale ammonimento; vale a dire che l’autore delle condotte viene convocato, insieme ad uno dei genitori, davanti al Questore o a un suo delegato, che lo invita interrompere qualunque azione penalmente rilevante e spiega con chiarezza quali sono le conseguenze cui si rischia di incorrere.
Se neanche questo tipo di intervento dovesse essere sufficiente, si potrà agire in sede penale, depositando una querela presso l’Autorità competente.
Infine, è bene evidenziare il ruolo importante dei docenti in queste vicende.
Innanzitutto, la recente legge ha previsto che il dirigente scolastico deve informare tempestivamente i genitori dei minori coinvolti e attivare “adeguate azioni di carattere educativo”. Inoltre, i regolamenti scolastici dovranno prevedere sanzioni disciplinari specifiche per fronteggiare i casi di cyberbullismo.
A ciò deve aggiungersi che i docenti, in quanto pubblici ufficiali, hanno il dovere di denunciare all’Autorità i reati di cui vengano a conoscenza nell’esercizio o a causa delle sue funzioni, purché si tratti di reati perseguibili d’ufficio. In caso di omessa denuncia, si commette un reato, punito con una pena modesta (multa da € 30 a € 516), ma che comporterebbe comunque una “macchia” sulla fedina penale del condannato.