Nel caso di pubblicazione di messaggi diffamatori all’interno di una community presente su un sito Internet si configura la responsabilità a livello concorsuale del gestore del sito qualora lo stesso pur essendo a conoscenza del contenuto diffamatorio del messaggio ne continui a consentire la permanenza sul sito senza provvedere all’immediata rimozione.
Ancora protagonista la Rete ed in particolare la responsabilità dei gestori di community nella sentenza della Corte di Cassazione, V sez. penale, 14 luglio - 27 dicembre 2016, n. 54946. In particolare, nel caso di specie, viene impugnata dinanzi al giudice di legittimità la sentenza della Corte di Appello di Bergamo che ha ritenuto responsabile di concorso nel reato di diffamazione ai danni del presidente della Lega Nazionale Dilettanti del Federazione Italiana Gioco Calcio, il gestore di un sito internet a seguito della pubblicazione sulla community del sito, di un commento di un utente che descriveva la parte offesa «emerito farabutto» e «pregiudicato doc» allegando il certificato penale.
La Suprema Corte ritiene fondate le argomentazioni della Corte Territoriale a sostegno della responsabilità del gestore del sito in quando risulta decisiva, nel caso di specie, la ricezione, sulla casella di posta elettronica del gestore del sito di una missiva con la quale lo stesso autore del commento trasmetteva il certificato penale. Tale circostanza non considerata affatto in primo grado, consente di rivedere la posizione del gestore del sito e considerarlo responsabile per aver mantenuto consapevolmente l'articolo sul sito, consentendo che lo stesso esercitasse l'efficacia diffamatoria oggetto di contestazione, fino a quando veniva eseguito il sequestro preventivo del sito.
La Suprema Corte, quindi, valuta la responsabilità del gestore non tanto per l’omesso controllo riguardo la natura dei messaggi presenti sulla community, ma per l’evidente malafede dell’imputato che pur essendo stato avvisato dallo stesso autore circa il contenuto diffamatorio del messaggio non provvedeva immediatamente alla rimozione dello stesso.
In effetti il gestore del sito risponde di diffamazione quando ricorre, sotto il profilo soggettivo, una responsabilità concorsuale, commissiva ovvero omissiva, di tipo morale, la cui prova deve essere rigorosamente fornita. Difatti, in sede penale non è possibile ritenere che le offese degli utenti debbano darsi per condivise dal dominus della community solo in quanto da questi approvate, in modo specifico (nel caso in cui abbia predisposto un sistema di filtri) ovvero in modo generico ed incondizionato (nel caso in cui non l’abbia predisposto). Affinché l’elemento soggettivo del reato ex articolo 595 codice penale possa ritenersi sussistente, è necessario che il gestore, come nel caso di specie, abbia scientemente omesso di cancellare, anche a posteriori, le frasi diffamatorie. Ove, invece, egli si sia prontamente attivato in senso emendativo, allora la sua condotta non assumerà connotati illeciti.