Le Sezioni Unite nella sentenza in epigrafe sono chiamate a dirimere una questione di diritto avente ad oggetto la condotta di chi, dopo aver compiuto atti idonei diretti all'impossessamento della cosa altrui, non portati a compimento per fatti indipendenti dalla sua volontà, adoperi violenza o minaccia nei confronti di quanti cerchino di ostacolarlo, per assicurarsi l'impunità. Si discute se in tal caso sia configurabile il tentativo di rapina impropria ovvero il concorso tra il tentativo di furto con un reato di violenza o minaccia. Sulla suddetta questione si registrano due orientamenti giurisprudenziali contrastanti. Secondo l'orientamento ampiamente maggioritario della Cassazione ed anzi consolidato fino al 1999, tale condotta darebbe vita ad un ipotesi di rapina impropria. Tale impostazione si basa su una lettura logico-sistematica e non meramente letterale dell'art. 628, comma 2, c.p., che descrive la condotta tipica della rapina impropria e che permette di individuare quella che configura la forma tentata del reato in questione ogni qual volta l'azione tipica non si compia o l'evento non si verifichi, fattispecie che ricorre specificamente nell'ipotesi di colui che adopera violenza o minaccia per procurarsi l'impunità immediatamente dopo aver compiuto atti idonei, diretti in modo non equivoco a sottrarre la cosa mobile altrui, senza essere riuscito nell'intento a causa di fattori sopravvenuti estranei al suo volere. Il delitto di rapina, infatti, sia nella forma propria che in quella impropria, costituisce un tipico delitto di evento, suscettibile come tale di arrestarsi allo stadio del tentativo, qualora la sottrazione non si verifichi. Pertanto, allorché un tentativo di furto sfoci, come nel caso di specie, in violenza o minaccia finalizzate ad assicurarsi l'impunità, una valutazione sistematica impone di concludere che, anche in caso di mancato conseguimento della sottrazione del bene altrui, sia stata messa in atto una rapina impropria incompiuta e quindi un tentativo di rapina impropria. Sotto il profilo della ratio legis, si osserva che con le norme sulla rapina il legislatore ha voluto sanzionare con particolare rigore l'autore del reato contro il patrimonio che ricorra alla violenza o alla minaccia, sicché non è logico ritenere che il medesimo legislatore abbia voluto sottrarre ad uguale trattamento colui che pur sempre usando violenza o minaccia attenti al patrimonio altrui e non riesca nell'intento per cause estranee alla sua volontà.

L'orientamento minoritario, invece, aprendosi alle argomentazioni della dottrina maggioritaria, ritiene che in tal caso non sia ipotizzabile il tentativo di rapina aggravata, perché mancherebbe il presupposto dell'avvenuta sottrazione della cosa, dovendosi configurare, nel caso in cui l'agente, sorpreso prima di aver effettuato la sottrazione, usi violenza o minaccia al solo fine di fuggire o di procurarsi altrimenti l'impunità, un tentato furto in aggiunta ad altro autonomo reato che abbia come elemento costitutivo la violenza o la minaccia. Tale orientamento si basa in primo luogo e principalmente sull'elemento letterale, affermando che “il capoverso dell'art. 628 cod. pen. impone che la sottrazione della cosa preceda l'esplicazione di violenza o minaccia (..adopera violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione..) sicché l'agente, qualora - sorpreso prima di aver compiuto la sottrazione - usi violenza o minaccia al solo fine di fuggire o procurarsi altrimenti l'impunità, risponde non di tentata rapina ma di tentato furto, eventualmente in concorso con altro reato avente come elemento costitutivo la violenza o la minaccia. In definitiva, la mancanza di sottrazione della cosa impedisce che la violenza successiva possa assurgere anche solo al rango di atto idoneo diretto in modo non equivoco alla commissione di una rapina impropria.

Analizzati i due orientamenti giurisprudenziali le Sezioni Unite ritengono di non ravvisare argomentazioni idonee a superare il risalente e più volte ribadito, anche in tempi recenti, orientamento maggioritario. I giudici di legittimità, infatti, evidenziano che non è condivisibile la tesi secondo cui il tenore letterale del capoverso dell'art. 628 cod. pen. imporrebbe nel caso in esame di configurare il tentativo di furto con un reato di violenza o minaccia il reato, pena il principio di legalità e la violazione del divieto di analogia. Infatti, la formulazione della norma in esame ha una spiegazione logica ben precisa; il legislatore, con l'espressione "immediatamente dopo" intendeva stabilire il nesso temporale che deve intercorrere tra i segmenti dell'azione criminosa complessa, ma non anche definire le caratteristiche, consumate o tentate, di tali segmenti. In altri termini, nella formulazione della norma svolge un ruolo centrale la necessità di un collegamento logico-temporale tra le condotte di aggressione al patrimonio e di aggressione alla persona, attraverso una successione di immediatezza. È necessario e sufficiente che tra le due diverse attività concernenti il patrimonio e la persona intercorra un arco temporale tale da non interrompere il nesso di contestualità dell'azione complessiva posta in essere. Questo è il punto centrale e il solo indefettibile della norma incriminatrice del comma secondo dell'art. 628 cod. pen. che giustifica l'equiparazione del trattamento sanzionatorio tra la rapina propria e quella impropria, indipendentemente dall'essere quelle stesse condotte consumate o solo tentate. Inoltre, può osservarsi che il comma secondo dell'art. 628 cod. pen. fa riferimento alla sola sottrazione e non anche all'impossessamento, ciò che conduce a ritenere che il delitto di rapina impropria si possa perfezionare anche se il reo usi violenza dopo la mera apprensione del bene, senza il conseguimento, sia pure per un breve spazio temporale, della disponibilità autonoma dello stesso. Per la consumazione del delitto di rapina è, quindi, sufficiente che la cosa sia passata sotto l'esclusivo potere dell'agente, essendone stata la vittima spossessata materialmente, così perdendo di fatto i relativi poteri di custodia e di disposizione fisica. In considerazione della successione "invertita" delle due condotte di aggressione al patrimonio e alla persona che caratterizza la rapina impropria, il legislatore, al fine di mantenere equiparate le due fattispecie criminose del primo e del secondo comma dell'art. 628 cod. pen., non richiede il vero e proprio impossessamento della cosa da parte dell'agente, ritenendo sufficiente per la consumazione la sola sottrazione, così lasciando spazio per il tentativo ai soli atti idonei diretti in modo non equivoco a sottrarre la cosa altrui, atti che sono di tutta evidenza sussistenti nel caso di cui al presente procedimento. Ammessa, dunque, concettualmente la ipotizzabilità del tentativo con riferimento alla fase della sottrazione, ne deriva che la successiva violenza esercitata per procurarsi l'impunità, non resta avulsa dal modello legale prefigurato nell'art. 628 comma secondo, cod. pen., ma ad esso si coniuga a perfezione, dando così vita alla figura tentata di rapina impropria, senza alcuna illogica scansione del reato complesso in autonome figure di tentato furto e violenza o minaccia.

Sulla base di tali argomentazioni le SS. UU concludono affermando che: è configurabile il tentativo di rapina impropria (e non invece del concorso tra tentativo di furto e i reati di violenza o minaccia) nel caso in cui l'agente, dopo aver compiuto atti idonei all'impossessamento della res altrui, non portati a compimento per cause indipendenti dalla propria volontà, adoperi violenza o minaccia per assicurarsi l'impunità.