Si può disporre solamente dei diritti di cui si è titolari, tuttavia il trasferimento del marchio può divenire legittimo nei casi stabiliti dalla legge. L'art. 2573 c.c., che disciplina il trasferimento del marchio, va integrato con l'art. 15 l. marchi, entrambi modificati dal d.lgs. 4.12.1992, n. 480.
Il d.lgs. 4.12.1992, n. 480 ha eliminato i vincoli al trasferimento del marchio previsti dalla previgente disciplina e riguardanti l'obbligo che la cessione fosse accompagnata dal trasferimento dell'azienda o di un suo ramo e che la cessione fosse avvenuta solo a titolo esclusivo.
Trasferimento e licenza del marchio non identificano tipi contrattuali, ma schemi attributivi che si differenziano solo perché il secondo implica il mantenimento in capo al disponente (licenziante) della titolarità del diritto concesso in godimento temporaneo (esclusivo o non) ad altri (licenziatario). L'art. 15 l. marchi in tema di trasferimento si applica a tutte le vicende contrattuali e non che possono determinare il definitivo passaggio della titolarità del diritto di marchio da un soggetto all'altro. La disciplina delle licenze si applica ai contratti con cui il titolare costituisce un diritto di godimento temporaneo in favore di terzi, qualunque ne sia la causa di scambio.
Con la riforma della legge marchi il marchio può essere trasferito per la totalità o per una parte dei prodotti o servizi per i quali è stato registrato, con la conseguenza che potranno coesistere marchi identici per prodotti diversi. L'unico limite è costituito dal fatto che dal trasferimento o dalla concessione in licenza del marchio non deve derivare inganno per i consumatori.
L'attuale normativa, secondo un recente orientamento dottrinale, consente al titolare del marchio di sfruttare tutte le sue potenzialità, cedendolo anche per settori in cui egli, non avendo svolto alcuna attività imprenditoriale, non ha nulla da trasmettere al cessionario, neppure sul piano delle mere conoscenze.
Secondo la giurisprudenza formatasi nel sistema normativo previgente, la presunzione di trasferimento del marchio unitamente all'azienda prevista dall'art. 2573, 2° co., non opera quando l'azienda sia cessata, non essendo quindi configurabile alcun trasferimento d'azienda (C. 4036/95); si ha invece valido trasferimento del marchio, anche in assenza di una contestuale cessione dell'azienda o suo ramo, allorché il cedente non abbia mai fatto uso di quel marchio per il fatto di non aver mai fabbricato o messo in commercio i prodotti da esso contrassegnati (C. 9404/87).
Dalla nullità del marchio ex art. 22 l. marchi discende la nullità del contratto con cui lo stesso viene trasferito, per l'originaria mancanza dell'oggetto (T. Milano 28.9.95) e l'onere di provare la nullità della cessione del marchio incombe al terzo che l'afferma (C. 2578/95).
Per quanto riguarda la forma della cessione si ritiene che il trasferimento del marchio non richieda forme speciali e sia opponibile dal cessionario a terzi pretesi contraffattori anche in assenza di trascrizione (T. Perugia 24.7.95).
Non viola l'art. 2573 e 15 l. marchi la cessione, oltrechè dell'uso esclusivo del marchio, del diritto di fabbricare e vendere in esclusiva il corrispondente prodotto, nonché dei particolari elementi eventualmente indispensabili per la realizzazione del prodotto medesimo(C. 1424/00).
Ma fino a quando si può considerare in vita un marchio?
L’uso e non la notorietà, o la capacità distintiva, a mantenere in vita un marchio.
Più volte - ricordano i giudici (da ultimo sentenza n. 7970/17 che ha deciso la decadenza del marchio Lambretta per non uso)- la Cassazione ha ricordato come l’utilizzazione del marchio d’impresa, onde evitare la decadenza per uso non triennale, possa avere anche un carattere discontinuo o locale, possa cioè essere mantenuto in vita anche da terzi, purchè non in contrasto con il titolare, ma sempre con l’obiettivo di perseguire effettività e presenza sul mercato.