Con sentenza n. 164/22 del 10.2.22 la Sezione Tredicesima del Tribunale Civile di Milano si è occupata di un caso di protratta morosità in un contratto di locazione commerciale.


In opposizione ad udienza di convalida per sfratto di morosità e a relativo decreto ingiuntivo, la società conduttrice di un immobile commerciale, pur riconoscendo la morosità, sosteneva di aver corrisposto la quasi totalità dei canoni per l’annualità 2020, nonostante l’avvento della pandemia da Covid-19, mentre, per l’annualità
2021, sosteneva che il pagamento dei canoni sarebbe stato concordemente sospeso in virtù della pendenza di trattative con un soggetto terzo che avrebbe dovuto subentrare nel rapporto di locazione con l’intimante.


Parte ricorrente chiedeva accertarsi la risoluzione del contratto, ex art. 1456 c.c., per inadempimento della controparte; invocava altresì la clausola risolutiva espressa, strumento contrattuale invalso nella prassi per predeterminare l’inadempimento considerato “non di scarsa importanza” ai fini della risoluzione del contratto, come, pertanto, strumento di presunzione processuale.


Il giudice ricordava che è pur vero è che il canone di buona fede oggettiva nell’esecuzione del contratto è uno strumento di interpretazione e integrazione del contratto, ove, come affermato da costante giurisprudenza, impone a ciascuna parte contraente l’obbligo di salvaguardare la sfera giuridica soggettiva sostanziale della controparte negoziale nei limiti di un apprezzabile sacrificio. Tale canone viene dunque altresì utilizzato come canone di valutazione del legittimo esercizio del potere unilaterale di risolvere il contratto e, anche in presenza di una clausola risolutiva espressa, vigerà un onere per il contraente non inadempiente di valutare la condotta di controparte in prospettiva collaborativa (Cass., 23 novembre 2015, n. 23868).


Si aggiungeva, inoltre, che la risoluzione di diritto del contratto conseguente all’applicazione di una clausola risolutiva espressa postula non soltanto la sussistenza, ma anche l’imputabilità dell’inadempimento, in quanto la pattuizione di tale modalità di scioglimento dal contratto, pur eliminando ogni necessità di indagine in ordine all’importanza dell’inadempimento, non incide, per converso, sugli altri principi regolatori dell’istituto della risoluzione, né, in particolare, configura un’ipotesi di responsabilità senza colpa.


Nel caso di specie, tuttavia, si era indubitabilmente verificato proprio l’evento dedotto dalle parti in condizione, ossia il ritardo nel pagamento di un canone, né il conduttore poteva invocare un proprio legittimo affidamento circa la tolleranza e acquiescenza del locatore circa tale ritardo.


Infatti, mentre per un lato il conduttore non aveva fornito prova in merito all’asserito accordo circa la sospensione del pagamento del canone in virtù delle trattative in corso con un terzo subentrante, la parte locatrice aveva pur sollecitato l’adempimento delle obbligazioni relative al contratto di locazione, comportamento evidentemente incompatibile con detto accordo di sospensione.


Inoltre, in punto di imputabilità dell’inadempimento di parte resistente, deve essere osservato che la morosità, rilevante ai sensi dell’art. 1456 c.c., si riferiva in particolare all’annualità 2021, dopo l’insorgenza della pandemia da Covid-19 e dopo la concessione della riduzione dei canoni da parte del locatore.