Il Tribunale di Ancona, Sez. Seconda, con sentenza n. 10/22 del 31/12/2021 – 04/01/2022, si occupa di una complessa vicenda risarcitoria conseguente alla risoluzione di un contratto di locazione ad uso commerciale.
Da un lato, i locatori chiedevano che i conduttori venissero dichiarati inadempienti al loro obbligo di rimettere in pristino stato l'immobile a suo tempo locatogli (e poi rilasciato), sul quale i conduttori avevano effettuato taluni lavori per renderlo più funzionale all'esercizio della propria attività. Lamentavano anche la debenza di somme per la sanatoria di abusi edilizi riferiti a quanto realizzato dai conduttori e per il minor incasso per la successiva locazione, asseritamente avvenuta per importo più basso del dovuto.

Le controparti si opponevano alle dette richieste, affermando che con apposita scrittura privata si erano accordati per il ripristino, a proprie spese, solo di talune opere fra quelle complessivamente effettuate all'inizio; respingevano l'addebito di aver commesso abusi edilizi (o meglio, delle loro conseguenze), poiché le relative opere erano avvenute con la supervisione dei locatori, che si erano poi personalmente assunti l'onere di presentare la SCIA per le medesime.
Oltre tutto, il ripristino di alcune opere non era neppure possibile, dato l'intervento di nuove normative che mettevano “fuori legge” il precedente stato dei luoghi.
Quanto poi al minor incasso nella successiva locazione, facevano notare che i propri lavori avevano migliorato l'immobile, nonché che la pigione chiesta era in linea coi valori di mercato in zona.


La decisione del Tribunale è abbastanza salomonica, rispetto ad un numero così elevato di contestazioni.
Non vi sono dubbi che le opere di ripristino riguardino solo alcune parti dell'immobile, come da richiamata scrittura privata, e che proprio l'esistenza di un apposito patto supera l'altrimenti automatico meccanismo secondo cui il conduttore normalmente dovrebbe ripristinare integralmente lo status quo ante.
Per altro verso, l'intervenuta impossibilità di effettuare alcuni ripristini non esenta da conseguenze i conduttori: infatti, la richiesta giudiziale attorea non è consistita nella esecuzione di un obbligo di fare in forma specifica, ma in un risarcimento per equivalente, ed è notorio che l’impossibilità che, ai sensi dell’art. 1256 c.c., estingue l’obbligazione è da intendere in senso assoluto ed obbiettivo e consiste nella sopravvenienza di una causa non imputabile al debitore che impedisce definitivamente l’adempimento.
Il che, alla stregua del principio secondo cui genus nunquam perit può, evidentemente verificarsi solo quando la prestazione abbia ad oggetto la consegna di una cosa determinata o di un genere limitato e non già quando si tratta di una somma di denaro, come nella specie.


Da ultimo, la liberazione del debitore (conduttore) per sopravvenuta impossibilità della sua prestazione può verificarsi, secondo la previsione degli artt. 1218 e 1256 c.c., solo se ed in quanto concorrano l’elemento obiettivo della impossibilità di eseguire la prestazione medesima, in sé considerata, e quello soggettivo dell’assenza di colpa da parte del debitore riguardo alla determinazione dell’evento che ha reso impossibile la prestazione: non serve a mandarlo esente da colpa l'intervento di un ordine od un divieto dell’autorità amministrativa sopravvenuto (c.d. factum principis), che sia ragionevolmente e facilmente prevedibile, secondo la comune diligenza all’atto della assunzione della obbligazione.
Ed infine, si condivide l'assunto di parte convenuta sul prezzo della nuova locazione, non così dissimile dal valore medio di mercato, per locali di analoga estensione ed ubicazione in base alla indagine di mercato condotta.