Accade sempre più di frequente che il soggetto titolare di somme di denaro sia costretto a recuperare forzatamente il proprio credito nei confronti del debitore che scegliere di non adempiere spontaneamente.  A fronte di un comportamento non collaborativo del soggetto debitore, il creditore può sottoporre lo stesso a più pignoramenti.
Proporre più azioni esecutive nei confronti del medesimo soggetto per far valere uno stesso credito, è concesso dal nostro ordinamento ed è dunque uno strumento lecito; l’art. 483 c.p.c., prevede infatti la possibilità di valersi cumulativamente di più mezzi di espropriazione forzata.
Tuttavia, ci sono dei casi in cui, anche se il creditore con un unico pignoramento potrebbe ritenere soddisfatto il proprio interesse, pone in essere ugualmente più azioni esecutive. In tali circostanze, il debitore oppresso dal peso di più azioni esecutive, può decidere di esperire due distinte azioni.
La prima è riconosciuta allo stesso dall’articolo sopra citato (art. 483 c.p.c.) e prevede la possibilità per il soggetto debitore di opporsi, proponendo istanza al Giudice per limitare l’espropriazione ad un solo mezzo, scelto dal creditore o dal giudice stesso. L’opposizione al cumulo è un rimedio speciale, che si differenzia dalle opposizioni esecutive: non può, infatti, essere ricondotta all’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., non avendo ad oggetto la contestazione dell’an del credito, e neppure può essere inquadrata nell’opposizione agli atti esecutivi ex art 617 c.p.c., non riguardando profili di legittimità degli atti esecutivi. Proprio la diversità ontologica rispetto alle opposizioni esecutive permette di escludere che l’istanza ex art. 483 c.p.c. sia soggetta a termini di decadenza, trattandosi di rimedio endoprocessuale, che può quindi essere attivato in qualunque momento della procedura (Sez. 3, Sentenza n. 1639 del 29/04/1977).
La seconda azione esperibile dal debitore, è quella indicata dall’art 496 c.p.c. relativa alla riduzione del pignoramento. Questo istituto consente al debitore di chiedere la riduzione di quanto gli sia stato pignorato, quando esso risulti sproporzionato rispetto al credito preteso dal creditore procedente. Ciò significa che “il valore dei beni pignorati” deve essere “ superiore all’importo delle spese e dei crediti” per cui si procede (art. 496 c.p.c.). Nel sistema processuale vigente non esiste nessun principio attraverso il quale si possa qualificare come illecita la richiesta di pignoramento da chiunque provenga e comunque sia stata posta in essere, poiché in presenza di discrezionalità del giudice, quale prevista dall’art. 496 c.p.c., in materia di riduzione, anche d’ufficio, del pignoramento, è da escludere qualsiasi forma di illegittimità o invalidità del pignoramento (Cass. civ., sez. III, 17 ottobre 1994, n. 8464). Il tema della “sproporzione” tra valore dei beni materialmente pignorati e valore effettivo dei crediti si intreccia con quanto stabilito dall’art. 96, comma 2, c.p.c. in ordine alla responsabilità processuale aggravata, che genera in capo al debitore il diritto di chiedere il risarcimento dei danni qualora sia accertata l’inesistenza del diritto per cui è stata (tra le altre) iniziata o compiuta l’esecuzione forzata. La giurisprudenza di legittimità, in passato, ha esteso il concetto di “inesistenza del credito” (che è fonte di responsabilità aggravata) anche alla fattispecie in cui sussista una grande sproporzione tra il valore dei beni pignorati e i crediti effettivi. Ciò ha destato non poche perplessità tenuto conto che l’art. 2740 c.c. stabilisce il principio generale per cui il debitore risponde con l’intero patrimonio dei debiti contratti e che l’ordinamento appresta delle misure specifiche in favore del debitore proprio per “mitigare” l’eventuale “sproporzione” tra valore dei beni materialmente pignorati e valore effettivo dei crediti: non ultima l’istanza di riduzione del pignoramento; e, soprattutto, in tal senso la Suprema Corte ha chiarito che la responsabilità processuale aggravata può essere configurata solo nel caso in cui il diritto per il quale si è proceduto sia risultato inesistente.
Come visto, dunque, l’ordinamento giuridico riconosce al creditore la possibilità di soddisfare le proprie pretese, senza che ciò giustifichi misure eccessive ed oppressive in danno al debitore; a quest’ultimo infatti sono riconosciuti numerosi strumenti per tutelarsi contro il creditore che decida di agire abusando delle proprie ragioni.
A cura dell’Avv. Vanessa Bellucci
Studio Legale FBO
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