Accade spesso, per lo più nei contratti di locazione ad uso commerciale, che il canone di locazione pattuito sia “ballerino”. Non sia stabile. Non sia, in buona sostanza, il medesimo per ogni mensilità.
E’ il caso in cui si preveda, contrattualmente, un canone di locazione differenziato che possa aumentare o diminuire nel tempo, in base alle circostanza pattuite.
Si parla, in questi casi, di canoni c.d. “a scaletta”. Diciamo subito che, soprattutto nei contratti di locazione ad uso diverso da quello abitativo, la prassi di stabilire un canone (in genere) ridotto, per i primi anni del rapporto locatizio, è frequente. Tale sistema viene nella maggior parte dei casi scelto per far fronte alle spese iniziali che il conduttore che avvia un’attività è tenuto a sopportare oppure, ad esempio, ai lavori che si rendono necessari all’interno dell’immobile e che il conduttore decida di eseguire a sue spese. Non di rado, infatti, capita che l’immobile che viene concesso in locazione necessiti di lavori di ristrutturazione che il conduttore potrebbe decidere di affrontare, con spese a suo carico, magari chiedendo al locatore, per l’appunto, una modulazione crescente del canone di locazione. Il canone c.d. a scaletta.
La Suprema Corte di Cassazione, più volte, negli ultimi anni, è stata chiamata a pronunciarsi sulla liceità o meno delle clausole contrattuali che prevedano la pattuizione di un canone a scaletta.
Recentissimamente, segnaliamo la Sentenza n. 23986/2019, del 11.7.19 depositata il 26 settembre 2019 con cui la Corte Suprema di Cassazione ha confermato la legittimità della determinazione convenzionale di un canone di locazione in misura differenziato, a scaletta.
Un problema di mero accertamento della comune volontà dei contraenti (riservato come tale alla valutazione insindacabile del giudice di merito) e risolto consentendo la predeterminazione del canone in misura variabile, anche crescente di anno in anno, purché ciò avvenga in sede di conclusione del contratto e non per effetto di nuovi accordi stipulati nel corso del rapporto, in modo da non alterare l’equilibrio economico tra i contraenti.
A tale regola generale la Corte ha posto, come unica eccezione, l’ipotesi in cui le parti agiscano al solo scopo di neutralizzare gli effetti della svalutazione monetaria, essendo in tal caso onere del conduttore (che invoca l’eventuale nullità della clausola di determinazione del canone) provare l’effettivo intento delle parti.
In difetto di prova, la clausola di determinazione differenziata del canone per frazioni di tempo successive dovrà ritenersi valida.