Retribuzione assicurata in caso di disposizioni delle autorità. Per le quarantene è prevista la malattia. In caso di mancata presentazione per "timore" di contagio, può scattare il licenziamento. 
Nello specifico, si prevede quanto segue.
A casa per l'ordinanza: stipendio pagato
Come ricorda un approfondimento della Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro, nel caso in cui i lavoratori non possano uscire di casa per una decisione della Pubblica autorità, la norma prevede la casistica della "impossibilità a recarsi al lavoro per cause indipendenti dalla volontà del lavoratore" che rimarrà dunque a casa ma con la retribuzione pagata. Un caso a sé è rappresentato dallo smart working, che in via normale prevede almeno un accordo siglato fra azienda e lavoratore (non necessariamente a livello sindacale) e una comunicazione obbligatoria depositata dal datore di lavoro sul portale istituzionale del Ministero del Lavoro. Con il decreto di Palazzo Chigi del 23 febbraio, però, anche questo preventivo accordo scritto non risulta più necessario.
Attività sospesa
Un trattamento simile dei lavoratori è previsto dai Consulenti qualora si verificasse il divieto d'accesso a un comune o aria geografica, con sospensione delle attività lavorative per le imprese oppure la sospensione dello svolgimento delle attività lavorative per i lavoratori residenti nel comune o nell'area interessata, anche ove le stesse si svolgano fuori dal comune interessato dallo stop. Anche in questo caso, dunque, "è di tutta evidenza l'assoluta indipendenza della impossibilità della prestazione lavorativa dalla volontà del lavoratore, essendo l'azienda stessa impedita dal provvedimento dell'autorità pubblica allo svolgimento della normale attività produttiva". Quindi resta in piedi "il diritto alla retribuzione pur in assenza dello svolgimento della prestazione", con possibile protezione della Cig annunciata dal Ministero del Lavoro.Quarantena obbligatoria: scatta la malattia
Qualora i lavoratori con sintomi da coronavirus siano tenuti in osservazione, dovendo rinunciare al lavoro, bisogna rifarsi al Contratto collettivo di lavoro. Ma per gli esperti si tratta di un evento "assimilabile a tutti i casi di ricovero per altre patologie o interventi. Non c'è dubbio che il lavoratore che non può essere presente sul luogo di lavoro in conseguenza dell'applicazione della misura della quarantena con sorveglianza attiva, perché ritenuto dall'autorità sanitaria (o comunque pubblica) ricompreso fra gli individui che hanno avuto contatti stretti con casi confermati di malattia infettiva diffusa, è da considerarsi sottoposto a trattamento latu sensu sanitario e, pertanto, la sua assenza dovrà essere disciplinata secondo le previsioni, di legge e contrattuali, che riguardano l'assenza per malattia, con le conseguenti tutele per la salute e la garanzia del posto di lavoro".
Se invece i lavoratori si mettessero in quarantena volontaria (isolamento a casa, senza sintomi ma con controllo attivo da parte delle autorità, dopo esser stati a contatto con le zone interessate) rientrerebbero nella casistica del "comportamento di oggettiva prudenza, rispondente alle prescrizioni della normativa d'urgenza, e disciplinato conseguentemente come per le astensioni dalla prestazione lavorativa obbligate dal provvedimento amministrativo".
 La "paura" non viene tutelata: rischio licenziamento
L'ultimo caso affrontato è quello dei lavoratori che rifiutassero di andare al loro posto in assenza di indicazioni in tal senso dalle Autorità. "Un'assenza determinata dal semplice 'timore' di essere contagiati, senza che ricorra alcuno dei requisiti riconducibili alle fattispecie previste, non consente dunque di riconoscere la giustificazione della decisione e la legittimità del rifiuto della prestazione. In tal caso si realizza l'assenza ingiustificata dal luogo di lavoro, situazione da cui possono scaturire provvedimenti disciplinari che possono portare anche al licenziamento".