Di recente la Corte di Cassazione ha esaminato la possibilità di effettuare il controllo, da parte del datore di lavoro, attraverso un’indagine retrospettiva di carattere informatico sull’utilizzo del computer in dotazione a un dipendente, da cui si era riscontrato un impiego del bene aziendale per finalità extra lavorative. Veniva di fatto accertato l'impiego del computer per fini personali del lavoratore (finalità extralavorative) intento a giocare al gioco “Free-Cell”, nel quale era stato sorpreso dal direttore tecnico e con avvio mirato della verifica informatica ex post, giunta in base ad autorizzazione scritta del lavoratore.
Secondo la Suprema Corte la raccolta dei dati è avvenuta regolarmente, in quanto il datore non ha controllato l’adempimento delle prestazioni di lavoro, ma ha inteso tutelare un bene aziendale, del tutto estraneo al contratto di lavoro.
La Cassazione inoltre afferma che il giudice deve bilanciare l’esigenza del datore di lavoro di protezione degli interessi e dei beni aziendali con la tutela della riservatezza e della dignità del lavoratore, essendo richiesta una informazione al dipendente del possibile controllo delle sue comunicazioni.
Di conseguenza, se i dati personali relativi alla navigazione in internet o alla posta elettronica, sono estratti al fine di tutelare un bene aziendale (beni immobili, mobili, brevetti, marchi, segni distintivi ecc.), gli stessi possono essere utilizzati legittimamente in una procedura disciplinare che di fatto non si colloca in contrasto con la normativa dei controlli a distanza dell’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori (legge n. 300/70).
L'addebito disciplinare contestato al lavoratore attiene alla violazione dei suoi doveri fondamentali di diligenza nello svolgimento dei propri compiti (Cass. 8 giugno 2001, n. 7819), senza necessità di un'espressa previsione nel codice disciplinare (Cass. 29 agosto 2014, n. 18462), riguardando una situazione direttamente prevista dalla legge, quale in particolare l'obbligo di diligenza a norma dell'art. 2104 c.c.(Cass. 21 luglio 2004, n. 13526; Cass. 25 marzo 2005, n. 6466).
Ne consegue, ad avviso della Corte, che i dati raccolti in un’indagine sull’utilizzo del computer da parte del dipendente possono essere validamente posti a fondamento di un licenziamento disciplinare.
Pertanto per quanto sopra, la Cassazione sezione Lavoro Civile con l’ordinanza n. 13266 del 28 maggio 2018 ha respinto il ricorso proposto dal dipendente, legittimando il licenziamento per giustificato motivo soggettivo irrogatogli dal datore di lavoro, con regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza.