La riforma del mercato del lavoro ed in particolare la nuova disciplina dei licenziamenti individuali

La recente legge n. 92 del 18 luglio 2012 ha rivisto vari aspetti del mercato del lavoro sia per quanto riguarda le modalità di accesso che di uscita. A parere di molti ciò avviene  in modo confuso e non organico, creando non solo difficoltà interpretative ma anche problemi applicativi non indifferenti.

La contrattazione in entrata. La legge tende a favorire le assunzioni a tempo indeterminato, pur riconfermando tutte le altre forme contrattuali, compreso, entro certi limiti, il contratto di associazione in partecipazione. Sostanziali modifiche si riscontrano invece nei contratti a termine. Infatti, la prima novità di tale istituto riguarda la possibilità di concludere un contratto a tempo determinato senza indicare la causa. In questo caso  solo il primo contratto può essere acausale e per un massimo di 12 mesi non prorogabile. Secondo aspetto estremamente importante di questa forma contrattuale riguarda il tempo che deve trascorrere tra un contratto e l’altro e cioè 60 giorni se la durata del contratto a termine non supera i 6 mesi e 90 giorni in caso che si superi tale limite.  Di fatto significa che il datore di lavoro al termine del contratto, se non assume a tempo indeterminato il lavoratore, difficilmente attenderà i termini previsti per il rinnovo. La legge, in buona sostanza, pone a carico del datore di lavoro una scelta necessaria a meno che questo periodo di interruzione venga coperto con contratti atipici al solo fine di eludere il disposto legislativo.

 La durata massima dei contratti a termine con il medesimo lavoratore non può comunque superare i 36 mesi (norma confermata)

Ultimo elemento nuovo riguarda la contribuzione previdenziale che nei contratti a termine aumenta con l’introduzione di un contributo aggiuntivo a carico del datore di lavoro.

In materia di dimissioni Al fine di evitare il fenomeno delle dimissioni in bianco è stato introdotto per tutti i lavoratori l’obbligo di conferma. Cioè il lavoratore dovrà procedere a confermare la propria volontà di cessare il rapporto di lavoro presso la DTL ovvero nei diversi modi previsti anche dai contratti collettivi. Altrettanto innovativa è la possibilità data al lavoratore di esercitare il diritto di ripensamento cioè revocare le dimissioni date. Ciò pone problemi anche di natura comportamentale, in quanto il datore di lavoro può aver sostituito il lavoratore che si è dimesso ma che poi ci ha ripensato, in questo caso si troverà con una eccedenza di personale e quindi potrà o licenziare il nuovo lavoratore, se ancora in prova, oppure attivare una forma di licenziamento per ragioni economiche. Appare chiaro che introdurre un diritto di ripensamento può porre dei problemi organizzativi non indifferenti.

I licenziamenti individuali La legge 92/2012 che trova applicazione a decorrere dal 18 luglio 2012,  impone che i licenziamenti avvengano in forma scritta e con l’obbligo di motivazione. Rimangono i 60 giorni per impugnare il licenziamento, ma si abbreviano i tempi per ricorrere al Tribunale del lavoro che passano da 270 a 180 giorni, questo termine si sospende se si attivano le procedure arbitrali.

Nell’ipotesi di ricorso al giudice, il licenziamento ritenuto illecito comporta effetti diversi in rapporto alla natura della nullità del provvedimento e precisamente:

A) Reintegrazione del posto di lavoro. I casi di reintegro del lavoratore nel posto di lavoro si possono riassumere nei seguenti casi: 1) Licenziamento della donna in gravidanza e sino al compimento di 1 anno del bambino. E’ salvo il caso di licenziamento lecito per giusta causa ovvero per cessazione attività aziendale. Le dimissioni della donna con figli di età inferiore a 3 anni vanno sempre confermate presso l’Ispettorato del Lavoro. 2) Licenziamento della donna che si sposa. Il divieto decorre dalla data delle pubblicazioni sino ad un anno successivo al matrimonio, sempre salvo che il licenziamento avvenga per giusta causa. Le dimissioni in questo periodo vanno confermate presso la DTL. 3) Licenziamento orale, cioè per mancanza della forma scritta.  4) Licenziamenti discriminatori (valgono anche per le aziende sotto i 15 dipendenti), si conferma l’art. 18 della legge 300/70. Chiaramente la motivazione formale sarà diversa da quella sostanziale, di fatto va valutato non il contenuto del provvedimento di licenziamento ma la sottostante volontà di discriminare il lavoratore per ragioni politiche, sindacali, razziali o sessuali. Anche se la normativa non lo prevede espressamente rientrano nei licenziamenti discriminatori anche quelli legati all’orientamento sessuale del lavoratore e a quelli per ritorsione. Spetta al lavoratore dimostrare la discriminazione anche se può essere sufficiente una prova indiziaria. Nel caso di licenziamento illecito per motivi discriminatori rimangono le tutele dell’art. 18 della legge 300 e precisamente il reintegro e il  risarcimento di 5 mensilità oltre le retribuzioni arretrate dal licenziamento al reintegro. Il lavoratore entro 30 giorni potrà richiedere in sostituzione del reintegro una indennità di 15 mensilità di retribuzione. 4) licenziamenti disciplinari ingiustificati in quanto sproporzionati rispetto all’inadempienza del lavoratore (punibili cioè con una sanzione conservativa). I provvedimenti disciplinari di cui all’art. 7 della legge 300/70, si basano su un principio di proporzionalità e pertanto se per quell’inadempienza il provvedimento espulsivo è illecito il lavoratore va reintegrato. Spetterà al  giudice verificare la sproporzionalità del provvedimento e quindi reintegrare il lavoratore espulso illecitamente dal posto di lavoro. Si tratta di una reintegra affievolita in quanto il massimo indennizzabile è di 12 mensilità e il giudice nella sentenza dovrà anche tener conto dell’eventuale ricollocamento lavorativo oppure delle proposte lavorative avute e non accettate. Nel caso in cui il licenziamento disciplinare si basi su fatti insussistenti il giudice procederà secondo le regole del vecchio art. 18 dello statuto dei lavoratori con reintegro del lavoratore e risarcimento uguale a quello previsto per i comportamenti discriminatori 5) licenziamento illecito motivato da inidoneità fisica per i lavoratori assunti ex legge 68/99 6) licenziamento illecito per superamento del limite di comporto 7) Nel caso di licenziamento per motivazioni economiche non sussistenti è facoltà del giudice reintegrare il lavoratore ovvero condannare il datore di lavoro al pagamento di una indennità risarcitoria onnicomprensiva tra un minimo di 12 mesi ad un massimo di 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

B) Risarcimento del lavoratore. Per esclusione le altre ipotesi di licenziamento illecito rientrano nella tutela obbligatoria quindi con risarcimento da 12 a 24 mesi di retribuzione. Nel caso di violazione della procedura disciplinare prevista dall’art. 7 della legge 300/70 al lavoratore spetta un’indennità tra 6 e 12 mensilità. Evidentemente se il lavoratore ritiene che il licenziamento sia illecito ed ingiustificato potrà, davanti al giudice, chiedere il reintegro. Lo stesso può avvenire quando nella lettera di licenziamento manca la motivazione. Il lavoratore ricorrendo al giudice, chiederà il reintegro per licenziamento illecito e non farà valere i vizi formali del provvedimento sanzionati solo con l’indennità. Con la legge 92/2012 per i licenziamenti di natura economica nelle strutture con più di 15 dipendenti, si deve seguire una specifica procedura simile a quella prevista per i licenziamenti collettivi (mobilità), con l’obbligo di attivare un tentativo di conciliazione dinanzi alla commissione provinciale di conciliazione prevista dall’art. 410 del c.p.c. Al termine della procedura conciliativa il datore di lavoro potrà comunicare formalmente al lavoratore il licenziamento. Solo la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento consentirà al giudice di reintegrare il lavoratore (ipotesi estremamente difficile) mentre in tutte le altre ipotesi in cui non sussiste un valido motivo di licenziamento il giudice liquiderà un indennizzo tra 12 e 24 mensilità. Si attribuisce cioè al giudice una facoltà di valutazione discrezionale non coerente con la certerzza del diritto. Appare del tutto chiaro che i licenziamenti economici saranno quelli sempre usati per allontanare un lavoratore indesiderato, indebolendo ulteriormente la capacità contrattuale della parte più debole del rapporto di lavoro.

Conclusioni Questa legge  nasce da una premessa del tutto fantasiosa e cioè che riducendo le tutele ai lavoratori si può incrementare l’occupazione. Qualsiasi economista sa che solo con la crescita economica cala la disoccupazione, mentre nei periodi di recezione, come l’attuale, avviene esattamente il contrario. L’unico risultato di questa legge fatta male e scritta peggio sarà quello di rendere più ricattabili i lavoratori  con effetti estremamente negativi non solo per la dignità del lavoratore stesso ma anche per la sua sicurezza sul posto di lavoro