Il decreto legislativo n. 276 del 10 settembre 2003 ha introdotto rilevanti modifiche alla disciplina del rapporto di lavoro a tempo parziale. Disciplina contenuta nel decreto legislativo n. 61 del 2000, così come modificato dal  decreto legislativo n. 100 del 2001. Le  modifiche introdotte sono volte a favorire il ricorso a questa tipologia contrattuale, che in tutti i Paesi europei ha dimostrato di fornire occasione di lavoro di qualità rispetto a prestazioni atipiche prive di tutele adeguate per i lavoratori, soprattutto per le fasce deboli altrimenti escluse dal mercato del lavoro (donne, giovani in cerca di prima occupazione e anziani). Tali modifiche sono attuate principalmente mediante una nuova regolamentazione degli strumenti di flessibilità del rapporto a tempo parziale, attraverso la valorizzazione del ruolo della autonomia collettiva e, in mancanza di questa, della autonomia individuale, fermo restando il rispetto di standard minimi di tutela del lavoratore secondo quanto previsto dalla direttiva 97/81/CE. Le modifiche introdotte dal decreto legislativo n. 276 del 2003 non si applicano ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche per espressa previsione dell'articolo 3, comma 1, della legge n. 30 del 2003, nonché in base all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 276 del 2003. Le modifiche introdotte alla disciplina del decreto legislativo n. 61 del 2000 trovano dunque applicazione esclusivamente per il settore privato. In base all'articolo 46, comma 1, lettera q), del decreto legislativo n. 276 del 2003, che ha abrogato l'articolo 7 del decreto legislativo n. 61 del 2000, la disciplina del rapporto di lavoro a tempo parziale è ora integralmente applicabile al settore agricolo. Nel tentativo di estendere il più possibile il raggio di azione del nuovo lavoro a tempo parziale è possibile stipulare detto contratto anche con riferimento ad ogni ipotesi di contratto a termine. E' lavoro a tempo parziale il contratto con orario inferiore a quello normale, come definito dalle norme di legge e contratto collettivo.  Più precisamente, il lavoro a tempo pieno è ora definito, attraverso il rinvio all'articolo 3, comma 1, del citato decreto legislativo n. 66 del 2003, come orario normale fissato in 40 ore settimanali ovvero il minor orario previsto dai contratti collettivi. Per quanto non esplicitamente richiamato deve intendersi come orario normale, ai sensi del comma 2 del citato articolo 3 del decreto legislativo n. 66 del 2003, anche quello stabilito dai contratti collettivi con riferimento alla durata media delle prestazioni lavorative per un periodo non superiore all'anno. E' richiesta la forma scritta ai soli fini della prova. Il contratto di lavoro a tempo parziale deve indicare puntualmente la durata della prestazione e la collocazione oraria della stessa con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all'anno. La mancanza di tali indicazioni non comporta, così come stabilito già dalla disciplina previgente, la nullità del contratto. In difetto di prova, relativamente alla stipulazione del contratto di lavoro come contratto a tempo parziale, il lavoratore potrà chiedere che il rapporto di lavoro sia dichiarato a tempo pieno dalla data in cui la mancanza della forma scritta sia giudizialmente accertata, fermo restando il diritto alla retribuzione per la prestazione effettivamente resa nel periodo anteriore. L'assenza di indicazioni puntuali, relativamente alla collocazione e alla durata della prestazione lavorativa nel contratto a tempo parziale, non comporta la nullità dello stesso. Nell'ipotesi di mancata o imprecisa indicazione della durata, il lavoratore potrà agire per far dichiarare che il rapporto di lavoro è a tempo pieno dalla data della sentenza. Rimane il diritto alla retribuzione per la prestazione effettivamente eseguita ma il lavoratore ha diritto ad un equo risarcimento per il periodo anteriore alla sentenza. Nell'ipotesi in cui manchi o sia indeterminata la definizione della collocazione oraria questa potrà essere definita in giudizio. All’interno del rapporto, è previsto altresì il lavoro supplementare, e cioè il lavoro reso oltre l'orario concordato nel contratto individuale entro il limite del tempo pieno. Si prevede espressamente che nel part-time di tipo orizzontale sia consentito il ricorso al lavoro supplementare e che il lavoro supplementare possa essere svolto in ogni ipotesi di contratto a tempo determinato.  Ciò non esclude che il lavoro supplementare possa ipotizzarsi anche nel lavoro a tempo parziale di tipo verticale o misto, tutte le volte che la prestazione pattuita ai sensi dell'articolo 2, comma 2, sia inferiore all'orario normale settimanale.  Nel lavoro a tempo parziale di tipo orizzontale, la regolamentazione del lavoro supplementare rimane affidata ai contratti collettivi. Alla autonomia collettiva è conseguentemente rimessa l'individuazione del numero massimo di ore di lavoro supplementare effettuabili, le causali nonché le conseguenze del superamento dei limiti massimi consentiti. In presenza della regolamentazione collettiva non è necessario, in base alla esplicita previsione di legge, il consenso al lavoro supplementare da parte del lavoratore. L'eventuale rifiuto non può in ogni caso integrare un giustificato motivo di licenziamento, ma può acquisire rilevanza disciplinare. Nel lavoro a tempo parziale di tipo verticale o misto è ammesso il ricorso al lavoro straordinario. E' possibile il ricorso al lavoro straordinario anche nella ipotesi in cui il rapporto a tempo parziale sia stipulato a termine. Il lavoro straordinario è disciplinato dalle regole vigenti, legali e contrattuali, per i lavoratori a tempo pieno. Sarà possibile il ricorso al lavoro straordinario solo ove il tempo pieno settimanale sia stato raggiunto. In caso contrario, la variazione in aumento dell'orario potrà essere gestita mediante il ricorso a clausole elastiche ovvero mediante il ricorso al lavoro supplementare. Nel contratto di lavoro a tempo parziale deve essere inserita una puntuale regolamentazione della collocazione oraria della prestazione con riferimento al giorno, alla settimana al mese o all'anno. Il datore di lavoro non può modificare unilateralmente la collocazione della prestazione lavorativa rispetto a quella contrattualmente stabilita. Le parti del contratto individuale hanno la facoltà di stipulare un patto, in forma scritta, avente ad oggetto una clausola  flessibile. Il patto può essere stipulato anche quando il rapporto di lavoro a tempo parziale è stipulato a termine. Il patto può essere stipulato contestualmente o successivamente all'assunzione. Nella stipulazione di detto patto il lavoratore può chiedere di farsi assistere da un rappresentante sindacale in azienda da lui indicato. La regolamentazione del lavoro flessibile è demandata all'autonomia collettiva che individua le condizioni e le modalità di esercizio del potere unilaterale del datore di lavoro di variare  la collocazione temporale della prestazione. La disciplina legale prevede in favore del lavoratore un preavviso di due giorni lavorativi. Le parti, anche del contratto individuale, possono stabilire una diversa misura del preavviso ma non eliminarlo completamente. In caso di lavoro flessibile il lavoratore ha inoltre diritto a specifiche compensazioni. La determinazione della forma e della misura di tali compensazioni è rinviata alla autonomia collettiva. In mancanza di una regolamentazione per via collettiva le parti possono, comunque accordarsi per lo svolgimento di lavoro flessibile ma devono regolamentarne condizioni e modalità, nonché stabilire le forme e la misura della compensazione. Il rifiuto del prestatore di lavoro di stipulare la clausola flessibile non costituisce in ogni caso, e cioè anche indipendentemente dal fatto che esista o meno regolamentazione collettiva della materia, giustificato motivo di licenziamento.  L'articolo 46 del decreto legislativo n. 276 del 2003 ha introdotto, limitatamente al part-time verticale e misto, la facoltà per le parti del contratto di lavoro di stipulare una clausola elastica relativa cioè alla variazione in aumento della prestazione lavorativa. Tale clausola si differenzia dalla clausola flessibile perché non concerne dunque, semplicemente, la collocazione del monte ore concordato ma attiene invece alla possibilità – vietata dalla normativa previgente – di ampliare il numero di ore concordato. La clausola elastica determina un incremento definitivo della quantità della prestazione, a differenza dello straordinario o del supplementare ove si verifica un aumento temporaneo della prestazione, riferito ad ogni singola giornata nella quale viene richiesta una prestazione aggiuntiva. Tale incremento può ovviamente essere delimitato nel tempo e potrebbe anche essere solo eventuale. Datore di lavoro e lavoratore possono accordarsi per trasformare il rapporto da tempo pieno a tempo parziale o viceversa. Il rifiuto da parte del lavoratore di trasformare il rapporto non integra in nessun caso un giustificato motivo di licenziamento. L'accordo con cui le parti stabiliscono la trasformazione del rapporto da tempo pieno a tempo parziale deve essere stipulato in forma scritta e deve essere convalidato davanti alla Direzione Provinciale del Lavoro competente per territorio. Nell' ipotesi di trasformazione a tempo pieno di un rapporto a tempo parziale, così come nell'ipotesi di aumento o diminuzione definitivi della durata della prestazione dedotta nel contratto, non sono previsti obblighi di forma né di convalida in sede amministrativa. Il decreto legislativo n 276 del 2003, valorizzando il ruolo del contratto di lavoro a tempo parziale come strumento per contemperare le esigenze di competitività delle imprese con le istanze di tutela del lavoratore, introduce anche una disciplina promozionale a favore dei lavoratori affetti da patologie oncologiche. L'articolo 46, comma 1, lettera t), del decreto ha infatti aggiunto al decreto legislativo n. 61 del 2000 l'articolo 12 bis, tipizzando una ipotesi speciale di trasformazione del rapporto in favore di lavoratori affetti da patologie oncologiche, per i quali residui una ridotta capacità lavorativa, anche a causa degli effetti invalidanti di terapie salvavita, accertata da una commissione medica istituita presso l'azienda unità sanitaria locale territorialmente competente, si prevede infatti il diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in lavoro a tempo parziale verticale o orizzontale. La norma prevede, inoltre, che, a fronte della richiesta del lavoratore, il rapporto di lavoro a tempo parziale debba nuovamente essere trasformato in rapporto di lavoro a tempo pieno.