L’art. 45 del decreto legislativo 165/2001 espressamente prevede che il trattamento economico fondamentale ed accessorio è definito dai contratti collettivi.   "2. Le amministrazioni pubbliche garantiscono ai propri dipendenti di cui all'articolo 2, comma 2, parità di trattamento contrattuale e comunque trattamenti non inferiori a quelli previsti dai rispettivi contratti collettivi.   3. I contratti collettivi definiscono, secondo criteri obiettivi di misurazione, trattamenti economici accessori collegati:             a) alla produttività individuale;   b) alla produttività collettiva tenendo conto dell'apporto di ciascun dipendente;   c) all'effettivo svolgimento di attività particolarmente disagiate obiettivamente ovvero pericolose o dannose per la salute. Compete ai dirigenti la valutazione dell'apporto partecipativo di ciascun dipendente, nell'ambito di criteri obiettivi definiti dalla contrattazione collettiva.   4. I dirigenti sono responsabili dell'attribuzione dei trattamenti economici accessori.   5. Le funzioni ed i relativi trattamenti economici accessori del personale non diplomatico del Ministero degli affari esteri, per i servizi che si prestano all'estero presso le rappresentanze diplomatiche, gli uffici consolari e le istituzioni culturali e scolastiche, sono disciplinati, limitatamente al periodo di servizio ivi prestato, dalle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 18, e successive modificazioni ed integrazioni, nonché dalle altre pertinenti normative di settore del Ministero degli affari esteri.”   L’art. 2 comma 3 del decreto legislativo citato, dopo avere stabilito che l’attribuzione di trattamenti economici può avvenire esclusivamente mediante contratti collettivi e alle condizioni da essi previsti, mediante contratto individuale, contiene due ulteriori previsioni normative miranti ad assicurare che solo il contratto esplichi un ruolo in materia.   1) Con la prima di esse è stabilita la cessazione di efficacia delle disposizioni di legge, di regolamento o di atto amministrativo che attribuiscano incrementi non previsti dei contratti collettivi, a far data dall’entrata in vigore del relativo rinnovo contrattuale. 2) Con la seconda si incide sugli effetti incrementativi già verificatisi, dichiarando riassorbibili i trattamenti economici in godimento, e si attribuisce allo stesso contratto collettivo il compito di fissare le relative modalità e misure.   Per espressa previsione legislativa l’attribuzione dei trattamenti economici non può non essere nell’ottica del principio di parità di trattamento sancito dal comma 2 dell’art. 45 del citato decreto legislativo n. 165.   Ciò non esclude che nella distribuzione dei suddetti trattamenti si possano effettuare differenziazioni, agganciando emolumenti a criteri di misurazione collegati alla produttività individuale e collettiva, come pure alle specifiche caratteristiche della prestazione, in termini di disagio, pericolo o pregiudizio alla salute.   Infatti:     L'art. 74 del c.c.n.l. del comparto Università del 9 agosto 2000 - che limita la possibilità di avanzamento interno di qualifica dalla categoria C (ex VII) alla categoria D a coloro che sono stati assunti a seguito di concorso per la partecipazione al quale era richiesto il diploma di laurea - non si pone in contrasto con norme imperative, dovendosi escludere un contrasto con il principio di non discriminazione ex art. 45, d.lg. n. 165 del 2001, che non vieta ogni trattamento differenziato nei confronti delle singole categorie di lavoratori ma solo quelle in relazione a specifiche previsioni normative, né potendosi richiamare le indicazioni della sentenza n. 103 del 1989 della Corte cost., restando escluse dal sindacato del giudice le scelte compiute in sede di contrattazione collettiva in materia di classificazione professionale dei lavoratori (Cassazione civile, sez. lav., 19 giugno 2008, n. 16676).   In tema di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, il principio secondo il quale ai dipendenti pubblici deve essere garantita la parità di trattamento contrattuale, opera nell'ambito del sistema di inquadramento previsto dalla contrattazione collettiva, rispetto al quale lo svolgimento delle mansioni di fatto assume rilevanza soltanto nei limiti segnati dall'art. 52 d. lgs. n. 165 del 2001 (nella specie, la Corte ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso il diritto all'inquadramento superiore nonostante i ricorrenti assumessero che la mancata previsione di posizioni corrispondenti alle mansioni svolte nei profili esemplificativi della categoria di loro inquadramento - cat. C c.c.n.l. comparto regioni-autonomie locali - comportava una disparità di trattamento rispetto a lavoratori inquadrati in altre categorie del medesimo contratto collettivo) (Cassazione civile, sez. un., 23 aprile 2008, n. 10454). È antigiuridica la condotta di amministratori e dipendenti che, in contrasto con il principio di onnicomprensività della retribuzione dei dirigenti pubblici, hanno corrisposto i diritti di rogito al vice segretario comunale, così cagionando un danno patrimoniale all'ente locale di appartenenza (C.Conti reg. Veneto, sez. giurisd., 28 febbraio 2007, n. 139).   In base agli art. 2 e 45, d.lg. n. 165 del 2001 e ai Ccnl di comparto relativi al trattamento economico del personale pubblico privatizzato, il doveroso espletamento di compiti istituzionali, con maggiori o minori risultati o con maggiori o minori rischi professionali, può essere retribuito solo e soltanto con i tassativi trattamenti contrattuali ed ogni ulteriore riconoscimento "extra ordinem", o in applicazione non corretta di istituti legislativi o contrattuali a fronte dell'espletamento di ordinarie mansioni, configura una erogazione atipica e, come tale, foriera di danno erariale (C.Conti reg. Lombardia, sez. giurisd., 10 marzo 2006, n. 172).   L'azione proposta in sede di giurisdizione esclusiva ed avente ad oggetto l'accertamento del diritto a competenze retributive ben può rivolgersi avverso atti generali in quanto l'interesse collegato all'azione non è quello alla rimozione degli atti stessi bensì quello ad ottenere l'accertamento giudiziale di un diritto (Consiglio Stato a. plen., 13 ottobre 1998, n. 7).   Nel regime del pubblico impiego, l'effettuazione delle prestazioni lavorative di carattere straordinario deve essere preventivamente autorizzata in modo espresso dall'amministrazione, con l'indicazione dei nominativi dei dipendenti autorizzati e la specificazione del limite massimo fattibile di ore lavorative (nella fattispecie, la richiesta da parte del dipendente pubblico, di pagamento delle ore straordinarie concerneva il lavoro svolto per le attività connesse alle consultazioni elettorali) (Consiglio Stato, sez. V, 05 gennaio 2002, n. 43).     In relazione ad un rapporto di pubblico impiego, è configurabile una responsabilità extracontrattuale dell'ente datore di lavoro, e conseguentemente la giurisdizione ordinaria, solo per comportamenti collegati al rapporto di lavoro da un nesso di mera occasionalità ed integranti una violazione dei doveri che la p.a. ha nei confronti della generalità dei cittadini in virtù della clausola generale del "neminem laedere". Quando un lavoratore abbia ottenuto a seguito di giudizio la nomina a pubblico impiegato quale vincitore di un concorso, con effetti retroattivi, sia pure solo ai fini giuridici, un tale nesso di mera occasionalità deve escludersi - e conseguentemente deve affermarsi la giurisdizione amministrativa esclusiva - con riferimento non solo alla domanda di risarcimento dei danni inerenti al mancato percepimento della retribuzione prima dell'effettiva immissione in servizio, ma anche a quella avente ad oggetto il danno per la perdita di immagine e di professionalità (Cassazione civile, sez. un., 21 dicembre 2000, n. 1324).   La controversia con la quale un soggetto, essendo stato assunto con decorrenza da una certa data soltanto a seguito dell'annullamento da parte del giudice amministrativo del provvedimento comunale che lo collocava al terzo posto nella graduatoria di un concorso a due posti di bidella, proponga contro il comune, lamentando la tardività dell'assunzione, domanda di risarcimento dei danni commisurati all'importo della differenza fra le retribuzioni perdute nel periodo antecedente l'assunzione tardiva e l'aliunde perceptum, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, alla stregua del criterio del cosiddetto "petitum" sostanziale, cioè della "causa petendi" della domanda (costituita dall'intrinseca natura della posizione soggettiva dedotta in giudizio, siccome individuata dal giudice e determinata in relazione alla sostanziale protezione ad essa accordata in astratto dal diritto positivo). Infatti, l'oggetto della detta controversia non è una situazione giuridica nascente da un rapporto di impiego già in atto, ma si fonda sull'assenza della sua tempestiva costituzione, restando in tal modo estraneo alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, già esistente in materia di pubblico impiego, nella quale ricadevano le sole controversie inerenti a rapporti di impiego già costituiti. Ne consegue che nella specie la questione della natura della situazione soggettiva fatta valere dal suddetto soggetto, che si assume lesa dal comportamento del comune e riguardo alla quale si assume verificato il danno lamentato, non vertendosi in ipotesi di giurisdizione esclusiva (rispetto alla quale soltanto la questione della natura della situazione assume rilievo ai fini dell'individuazione della giurisdizione, essendo strumentale all'identificazione della materia a quella giurisdizione devoluta), attiene esclusivamente al merito della vicenda giurisdizionale, competendo, in generale, al giudice ordinario adito con una controversia avente ad oggetto una pretesa risarcitoria accertare se la situazione giuridica soggettiva fatta valere sia tale da determinare l'insorgere di un'obbligazione risarcitoria. (Le Sezioni Unite hanno, inoltre, rimarcato che l'eventuale qualificazione della posizione dell'attore come interesse legittimo, non avrebbe potuto comportare di per sè la non configurabilità del diritto al risarcimento, sottolineando comunque che, pur accolta l'idea di tale non configurabilità, non se ne sarebbe potuto inferire ragione per la declinatoria della giurisdizione del giudice ordinario) (Cassazione civile, sez. un., 19 novembre 1999, n. 799).   L'art. 2126 c.c. legittima il prestatore di lavoro ad agire in giudizio per conseguire il corrispettivo indicato nell'atto costitutivo del rapporto nullo, ma non gli dà titolo a percepire una retribuzione superiore a quella pattuita, commisurata a quella spettante ai dipendenti di ruolo che svolgano analoghe funzioni (Cons.giust.amm. Sicilia , sez. giurisd., 15 gennaio 2002, n. 5). Dal riconoscimento dell'esistenza giuridica di un rapporto d'impiego nullo deriva, ai sensi dell'art. 2126 c.c., il diritto a percepire gli emolumenti rientranti nella normale retribuzione spettante ai dipendenti che svolgono le stesse mansioni, ma non anche quelli che non hanno carattere fisso e predeterminato, ma sono legati ad esigenze e situazioni contingenti e variabili nel tempo (Consiglio Stato, sez. V, 21 maggio 1999, n. 591).   L'art. 2126 c.c., relativo alla "prestazione di lavoro di fatto", vale a dire al lavoratore assunto con titolo invalido, sebbene sancisca il diritto alla retribuzione per il periodo in cui il rapporto ha avuto attuazione, non comporta tuttavia che la posizione del lavoratore invalidamente assunto debba essere automaticamente assimilata a quella dei pubblici dipendenti assunti regolarmente, salvo che la retribuzione corrisposta ed accettata sia inferiore al minimo della sufficienza (Cons.giust.amm. Sicilia , sez. giurisd., 07 aprile 1999, n. 142).   La domanda con cui il lavoratore dipendente di un ente pubblico non economico chieda la condanna di alcuni funzionari dell'ente stesso al risarcimento dei danni economici e morali, che deriverebbero da un loro comportamento arrogante, arbitrario e volutamente pretestuoso di rifiuto di un'indennità spettante all'interessato, appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario, in quanto fondata sulla deduzione di un fatto illecito extracontrattuale e proposta tra privati; nè a ciò osta la proposizione della domanda anche nei confronti dell'ente pubblico sotto il profilo della responsabilità solidale dello stesso, non essendo comunque ricollegabile il risarcimento richiesto al rapporto di pubblico impiego ed attenendo al merito l'effettiva riferibilità all'ente dei comportamenti dei funzionari (Cassazione civile , sez. un., 10 marzo 1999, n. 113).     Sussiste l'interesse del pubblico dipendente, pur se attualmente in servizio, ad accertare l'esatta misura del trattamento di fine rapporto, in tutti i casi in cui esista un obiettivo contrasto tra costui e la sua p.a. datrice di lavoro in ordine ai relativi criteri di liquidazione, a causa di una determinazione da quest'ultima assunta al riguardo, a nulla rilevando che l'esigibilità della somma spettante a tale titolo sia differita alla cessazione dall'impiego (Consiglio Stato , sez. V, 30 giugno 1998, n. 981).   Poiché il diritto alla pensione - da intendersi come il diritto avente ad oggetto il trattamento pensionistico e come tale distinto da quello ai singoli ratei - trovando il proprio fondamento nella rilevanza degli interessi che ne sono a base e che ricevono tutela dall'art. 38 cost., deve essere considerato alla stregua di un bene primario, come tale non soggetto a prescrizione nè ad atti di disposizione, e poiché di fronte ad un medesimo fatto che integri, contemporaneamente, la violazione di diritti soggettivi primari spettanti alla persona offesa indipendentemente dalla esistenza di un preesistente rapporto giuridico e la violazione di diritti derivanti a una delle parti da un contratto validamente concluso o comunque da un rapporto giuridico già venuto in essere può ipotizzarsi sia l'esistenza della responsabilità extracontrattuale che di quella contrattuale a carico dell'agente, l'azione risarcitoria per la lesione del diritto al trattamento di quiescenza promossa nei confronti della p.a. da parte di un soggetto che sia legato alla stessa da un rapporto di pubblico impiego, attribuita in ipotesi alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, deve essere qualificata come extracontrattuale, sia nel caso in cui l'attore ponga a fondamento della propria domanda, in modo espresso, la c.d. responsabilità aquiliana, sia qualora non emerga una precisa e chiara scelta del danneggiato in favore della responsabilità contrattuale, sia comunque nel caso in cui la lesione del diritto del lavoratore non sia correlata a poteri della p.a. che si estrinsecano in atti amministrativi di cui si contesti la legittimità, ma venga dedotto un "quid pluris" rispetto al provvedimento amministrativo e ai suoi effetti indiretti, naturali ed inevitabili, sufficiente ad integrare un'attività illecita della p.a. (Nella specie, in relazione alla domanda proposta da un dipendente di un Comune, che, sulla base delle informazioni fornite dall'ente in ordine alla sua anzianità lavorativa, aveva rassegnato le dimissioni, conseguendo il trattamento di quiescenza provvisorio, poi revocato dal Ministero del tesoro per carenza del requisito dell'anzianità utile per conseguire il trattamento di pensione, e che, deducendo sia la negligenza dell'ente, che aveva agito al di fuori dei canoni della diligenza che deve richiedersi al datore di lavoro, sia la violazione delle norme contenute negli art. 2043 e 2049 c.c., aveva chiesto la condanna del Comune al pagamento delle somme trattenute sullo stipendio e sulla pensione e al risarcimento del danno, le Sezioni Unite hanno dichiarato la giurisdizione del giudice ordinario) (Cassazione civile, sez. un., 10 giugno 2003, n. 9219).   In tema di crediti di lavoro, la possibilità di rinuncia (espressa o tacita) alla prescrizione contemplata dall'art. 2937 c.c. è preclusa, per l'amministrazione, dall'art. 3 r.d.l. 19 gennaio 1939 n. 295, convertito nella l. 2 giugno 1939 n. 739, e prima ancora dai principi di contabilità pubblica che escludono tale potere dispositivo; ne consegue che, una volta maturato il termine di prescrizione, l'amministrazione ha l'obbligo di farla valere senza che sussista alcuna discrezionalità di avvalersi o meno della stessa (Consiglio Stato , sez. IV, 30 dicembre 2003, n. 9129).