Commento a Cassazione civile, Sezione Lavoro, 04.02.2010 n. 2615


MASSIMA: La sanzione disciplinare del trasferimento del medico ospedaliero ad altro reparto non configura comportamento illegittimo del datore di lavoro, qualora sia funzionale al buon andamento del servizio pubblico. Inoltre, la censura in sede di legittimità di tale trasferimento non comporta la necessità di un riesame diretto degli atti, qualora il giudice di merito abbia basato la propria decisione riesaminando autonomamente il problema.


La fattispecie esaminata dalla Corte di Cassazione con la sentenza in commento è la seguente: un'infermiera professionale conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Lecce il proprio datore di lavoro - un'azienda ospedaliera del medesimo luogo - esponendo di aver svolto, presso il reparto di anatomia patologica, mansioni di organizzazione del personale paramedico, ausiliario e infiermieristico, di accettazione e di laboratorio, con compiti di segreteria,refertazione, controllo dei consumi ed ordinazione dei materiali.
La ricorrente affermava di aver più volte messo al corrente l'azienda della situazione di superlavoro in cui si trovava, fonte di logorio psichico-fisico e causa di una sindrome depressiva, che nel 1991 veniva ascritta a causa di servizio; che, a causa della sua segnalazione di irregolarità commesse da un Dottore del Reparto, veniva dapprima comminata la sanzione disciplinare della sospensione dal lavoro per otto giorni e, successivamente - in sede conciliativa - la sanzione più lieve della multa di quattro ore.
Tuttavia, l'infermiera veniva a trovarsi in una situazione lavorativa stressante ed ostile; per questi motivi, nell'anno 2000 chiedeva il trasferimento ad altro reparto ma, successivamente migliorata la situazione lavorativa, revocava la richiesta.
Nonostante la revoca, nel mese di ottobre dell'anno 2000 veniva trasferita presso un altro reparto, dove - sostanzialmente - veniva tenuta inattiva.
Pertanto, chiedeva la revoca del trasferimento, nonchè che venisse accertato e dichiarato che il comportamento dell'azienda costituiva violazione dell'art. 2087 c.c., configurava mobbing e le aveva cagionato un pregiudizio per la salute; pertanto, chiedceva la condanna della convenuta al risarcimento del danno conseguente.
La domanda veniva rigettata in primo grado e, successivamente, presso la Corte d'Appello di Lecce.
La Suprema Corte ha confermato la sentenza della Corte di Appello, secondo cui il trasferimento della ricorrente sarebbe stato "addirittura funzionale al buon andamento del servizio pubblico".
Secondo il parere degli ermellini, infatti, i Giudici di secondo grado hanno correttamente osservato che l'azienda ospedaliera convenuta non aveva assunto comportamenti vessatori o persecutori in danno della lavoratrice ma, al contrario - atteso che la sanzione disciplinare comminata nei confronti dell'infermiera poteva causare una situazione di conflitto che avrebbe turbato la funzionalità del reparto -, l'assegnazione ad un'altro reparto (lungi dall'essere configurata "mobbing") era da considerarsi "giustificata, e persino doverosa sotto il profilo del buon andamento del servizio pubblico".


Roma, 06.02.2010                                                 Avv. Daniela Conte