Il regime delle incompatibilità nel pubblico impiego è disciplinato dal vigente art. 53 del DLgs n. 165/2001 il quale recita testualmente:   1. Resta ferma per tutti i dipendenti pubblici la disciplina delle incompatibilità dettata dagli articoli 60 e seguenti del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, salva la deroga prevista dall'articolo 23-bis del presente decreto, nonché, per i rapporti di lavoro a tempo parziale, dall' articolo 6, comma 2, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 17 marzo 1989, n. 117 e dall' articolo 1, commi 57 e seguenti della legge 23 dicembre 1996, n. 662. Restano ferme altresì le disposizioni di cui agli articoli 267, comma 1, 273, 274, 508 nonché 676 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, all'articolo 9, commi 1 e 2, della legge 23 dicembre 1992, n. 498, all'articolo 4, comma 7, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, ed ogni altra successiva modificazione ed integrazione della relativa disciplina.   2. Le pubbliche amministrazioni non possono conferire ai dipendenti incarichi, non compresi nei compiti e doveri di ufficio, che non siano espressamente previsti o disciplinati da legge o altre fonti normative, o che non siano espressamente autorizzati .   3. Ai fini previsti dal comma 2, con appositi regolamenti, da emanarsi ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono individuati gli incarichi consentiti e quelli vietati ai magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, nonché agli avvocati e procuratori dello Stato, sentiti, per le diverse magistrature, i rispettivi istituti.   4. Nel caso in cui i regolamenti di cui al comma 3 non siano emanati, l'attribuzione degli incarichi è consentita nei soli casi espressamente previsti dalla legge o da altre fonti normative.   5. In ogni caso, il conferimento operato direttamente dall'amministrazione, nonché l'autorizzazione all'esercizio di incarichi che provengano da amministrazione pubblica diversa da quella di appartenenza, ovvero da società o persone fisiche, che svolgano attività d'impresa o commerciale, sono disposti dai rispettivi organi competenti secondo criteri oggettivi e predeterminati, che tengano conto della specifica professionalità, tali da escludere casi di incompatibilità, sia di diritto che di fatto, nell'interesse del buon andamento della pubblica amministrazione.   6. I commi da 7 a 13 del presente articolo si applicano ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, compresi quelli di cui all'articolo 3, con esclusione dei dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale con prestazione lavorativa non superiore al cinquanta per cento di quella a tempo pieno, dei docenti universitari a tempo definito e delle altre categorie di dipendenti pubblici ai quali è consentito da disposizioni speciali lo svolgimento di attività libero-professionali. Gli incarichi retribuiti, di cui ai commi seguenti, sono tutti gli incarichi, anche occasionali, non compresi nei compiti e doveri di ufficio, per i quali è previsto, sotto qualsiasi forma, un compenso. Sono esclusi i compensi derivanti:   a) dalla collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili;   b) dalla utilizzazione economica da parte dell'autore o inventore di opere dell'ingegno e di invenzioni industriali;   c) dalla partecipazione a convegni e seminari;   d) da incarichi per i quali è corrisposto solo il rimborso delle spese documentate;   e) da incarichi per lo svolgimento dei quali il dipendente è posto in posizione di aspettativa, di comando o di fuori ruolo;   f) da incarichi conferiti dalle organizzazioni sindacali a dipendenti presso le stesse distaccati o in aspettativa non retribuita.   f-bis) da attivita' di formazione diretta ai dipendenti della pubblica amministrazione .   7. I dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall'amministrazione di appartenenza. Con riferimento ai professori universitari a tempo pieno, gli statuti o i regolamenti degli atenei disciplinano i criteri e le procedure per il rilascio dell'autorizzazione nei casi previsti dal presente decreto. In caso di inosservanza del divieto, salve le più gravi sanzioni e ferma restando la responsabilità disciplinare, il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato, a cura dell'erogante o, in difetto, del percettore, nel conto dell'entrata del bilancio dell'amministrazione di appartenenza del dipendente per essere destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti.   8. Le pubbliche amministrazioni non possono conferire incarichi retribuiti a dipendenti di altre amministrazioni pubbliche senza la previa autorizzazione dell'amministrazione di appartenenza dei dipendenti stessi. Salve le più gravi sanzioni, il conferimento dei predetti incarichi, senza la previa autorizzazione, costituisce in ogni caso infrazione disciplinare per il funzionario responsabile del procedimento; il relativo provvedimento è nullo di diritto. In tal caso l'importo previsto come corrispettivo dell'incarico, ove gravi su fondi in disponibilità dell'amministrazione conferente, è trasferito all'amministrazione di appartenenza del dipendente ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti.   9. Gli enti pubblici economici e i soggetti privati non possono conferire incarichi retribuiti a dipendenti pubblici senza la previa autorizzazione dell'amministrazione di appartenenza dei dipendenti stessi. In caso di inosservanza si applica la disposizione dell'articolo 6, comma 1, del decreto legge 28 marzo 1997, n. 79, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 1997, n. 140, e successive modificazioni ed integrazioni. All'accertamento delle violazioni e all'irrogazione delle sanzioni provvede il Ministero delle finanze, avvalendosi della Guardia di finanza, secondo le disposizioni della legge 24 novembre 1981, n. 689, e successive modificazioni ed integrazioni. Le somme riscosse sono acquisite alle entrate del Ministero delle finanze.   10. L'autorizzazione, di cui ai commi precedenti, deve essere richiesta all'amministrazione di appartenenza del dipendente dai soggetti pubblici o privati, che intendono conferire l'incarico; può, altresì, essere richiesta dal dipendente interessato. L'amministrazione di appartenenza deve pronunciarsi sulla richiesta di autorizzazione entro trenta giorni dalla ricezione della richiesta stessa. Per il personale che presta comunque servizio presso amministrazioni pubbliche diverse da quelle di appartenenza, l'autorizzazione è subordinata all'intesa tra le due amministrazioni. In tal caso il termine per provvedere è per l'amministrazione di appartenenza di 45 giorni e si prescinde dall'intesa se l'amministrazione presso la quale il dipendente presta servizio non si pronunzia entro 10 giorni dalla ricezione della richiesta di intesa da parte dell'amministrazione di appartenenza. Decorso il termine per provvedere, l'autorizzazione, se richiesta per incarichi da conferirsi da amministrazioni pubbliche, si intende accordata; in ogni altro caso, si intende definitivamente negata.   11. Entro il 30 aprile di ciascun anno, i soggetti pubblici o privati che erogano compensi a dipendenti pubblici per gli incarichi di cui al comma 6 sono tenuti a dare comunicazione all'amministrazione di appartenenza dei dipendenti stessi dei compensi erogati nell'anno precedente.   12. Entro il 30 giugno di ciascun anno, le amministrazioni pubbliche che conferiscono o autorizzano incarichi retribuiti ai propri dipendenti sono tenute a comunicare, in via telematica o su apposito supporto magnetico, al Dipartimento della funzione pubblica l'elenco degli incarichi conferiti o autorizzati ai dipendenti stessi nell'anno precedente, con l'indicazione dell'oggetto dell'incarico e del compenso lordo previsto o presunto. L'elenco è accompagnato da una relazione nella quale sono indicate le norme in applicazione delle quali gli incarichi sono stati conferiti o autorizzati, le ragioni del conferimento o dell'autorizzazione, i criteri di scelta dei dipendenti cui gli incarichi sono stati conferiti o autorizzati e la rispondenza dei medesimi ai principi di buon andamento dell'amministrazione, nonché le misure che si intendono adottare per il contenimento della spesa. Nello stesso termine e con le stesse modalità le amministrazioni che, nell'anno precedente, non hanno conferito o autorizzato incarichi ai propri dipendenti, anche se comandati o fuori ruolo, dichiarano di non aver conferito o autorizzato incarichi.   13. Entro lo stesso termine di cui al comma 12 le amministrazioni di appartenenza sono tenute a comunicare al Dipartimento della funzione pubblica, in via telematica o su apposito supporto magnetico, per ciascuno dei propri dipendenti e distintamente per ogni incarico conferito o autorizzato, i compensi, relativi all'anno precedente, da esse erogati o della cui erogazione abbiano avuto comunicazione dai soggetti di cui al comma 11.   14. Al fine della verifica dell'applicazione delle norme di cui all'articolo 1, commi 123 e 127, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, e successive modificazioni e integrazioni, le amministrazioni pubbliche sono tenute a comunicare al Dipartimento della funzione pubblica, in via telematica o su supporto magnetico, entro il 30 giugno di ciascun anno, i compensi percepiti dai propri dipendenti anche per incarichi relativi a compiti e doveri d'ufficio; sono altresì tenute a comunicare semestralmente l'elenco dei collaboratori esterni e dei soggetti cui sono stati affidati incarichi di consulenza, con l'indicazione della ragione dell'incarico e dell'ammontare dei compensi corrisposti. Le amministrazioni rendono noti, mediante inserimento nelle proprie banche dati accessibili al pubblico per via telematica, gli elenchi dei propri consulenti indicando l'oggetto, la durata e il compenso dell'incarico. Entro il 31 dicembre di ciascun anno il Dipartimento della funzione pubblica trasmette alla Corte dei conti l'elenco delle amministrazioni che hanno omesso di effettuare la comunicazione, avente ad oggetto l'elenco dei collaboratori esterni e dei soggetti cui sono stati affidati incarichi di consulenza.   15. Le amministrazioni che omettono gli adempimenti di cui ai commi da 11 a 14 non possono conferire nuovi incarichi fino a quando non adempiono. I soggetti di cui al comma 9 che omettono le comunicazioni di cui al comma 11 incorrono nella sanzione di cui allo stesso comma 9.   16. Il Dipartimento della funzione pubblica, entro il 31 dicembre di ciascun anno, riferisce al Parlamento sui dati raccolti, adotta le relative misure di pubblicità e trasparenza e formula proposte per il contenimento della spesa per gli incarichi e per la razionalizzazione dei criteri di attribuzione degli incarichi stessi.   16-bis. La Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica, puo' disporre verifiche del rispetto della disciplina delle incompatibilita' di cui al presente articolo e di cui all'articolo 1, comma 56 e seguenti, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, per il tramite dell'Ispettorato per la funzione pubblica. A tale scopo quest'ultimo stipula apposite convenzioni coi servizi ispettivi delle diverse amministrazioni, avvalendosi, altresi', della Guardia di Finanza e collabora con il Ministero dell'economia e delle finanze al fine dell'accertamento della violazione di cui al comma 9 .     E’ evidente come ancora ad oggi assuma un rilievo centrale il principio dell’esclusività del rapporto di lavoro del pubblico dipendente, il quale ha, per la verità, radici antiche, legate ad un quadro normativo ispirato ad una concezione autoritativa del rapporto intercorrente tra amministrazione e pubblico dipendente.             Manifestazione più tipica di tale autoritatività era il dovere di fedeltà il quale si estrinsecava nel divieto dei pubblici dipendenti di costituire rapporti di lavoro con altri soggetti pubblici e/o privati, di svolgere attività industriali e commerciali, di assumere cariche in società costituite a fini di lucro, nonché, l’esercizio di attività professionali.   Norme di questo tipo erano contenute già nell’art. 241 del RD n. 383/1934, dettato per i dipendenti degli enti locali nonché nell’art. 60 e seguenti del DPR n. 3/57 relativo agli impiegati civili dello Stato.   L’art. 53 del DLgs n. 165/2001 conferma, dunque, in via generale, la disciplina già prevista per i dipendenti dello Stato dal T.U. 3/57 precisando, “resta ferma per tutti i pubblici dipendenti”. Allo stato, dunque, possono, in via generalizzata identificarsi come incompatibili con il rapporto di pubblico impiego e, dunque, vietati alla generalità dei pubblici dipendenti: - l’assunzione ad altro impiego alle dipendenze di enti pubblici o privati; - l’esercizio di attività commerciali o industriali; - l’assunzione di cariche in società costituite a fini di lucro; - l’esercizio di attività professionale.   Il principio di esclusività del rapporto di impiego del dipendente pubblico, affonda le proprie radici, in effetti, nelle norme contenute nella Carta Costituzionale e segnatamente nel principio di imparzialità, di buon andamento, di efficienza della p.a. (art. 97 Cost.), di fedeltà alla nazione (art. 98 Cost).   I vari ordinamenti hanno, tuttavia, previsto deroghe di vario tipo e per quanto riguarda i vari soggetti (personale docente delle università e delle scuole, i dipendenti del SSN, i magistrati e di avvocati di Stato, i lavoratori part-time interessati all’espletamento di attività professionali), e per quanto riguarda singole attività (partecipazioni a convegni, seminari, collaborazioni con giornali, riviste, enciclopedie, attività di formazione dirette ai dipendenti della pubblica amministrazione il cui espletamento non richiede autorizzazioni).       Con riferimento agli incarichi extragiudiziari, tra la disposizione di cui all'art. 16 del r.d. n. 12 del 1941, secondo cui i magistrati non possono accettare incarichi di qualsiasi specie senza l'autorizzazione del Consiglio superiore della magistratura, e quella - applicabile anche ai magistrati - contenuta nell'art. 53 del d.lg. n. 165 del 2001, in base alla quale i dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall'amministrazione di appartenenza (comma 7), non esiste un rapporto in termini di abrogazione della prima da parte della seconda, ma di coordinamento e integrazione, atteso che l'esistenza per i dipendenti pubblici di una previsione generale che consenta la possibilità di svolgimento di incarichi non retribuiti non esclude per i magistrati la potestà autorizzatoria dell'organo di autogoverno ai fini della verifica in concreto delle ragioni connesse al prestigio della magistratura e alla funzionalità dell'ufficio giudiziario (Cassazione civile, sez. un., 28 novembre 2007, n. 24669).   Nel rapporto d'impiego con le p.a. vige il principio generale per effetto del quale l'impiegato deve dedicare all'ufficio tutta la propria capacità lavorativa, intellettuale e materiale, con la conseguenza che sussiste incompatibilità tra l'impiego pubblico e l'esercizio di una libera professione (C.Conti reg. Emilia Romagna, sez. giurisd., 25 ottobre 2007, n. 818).   L'art. 53 comma 10, d.lg. n. 165 del 2001, che prevede che l'amministrazione di appartenenza deve pronunciarsi sulla richiesta di autorizzazione allo svolgimento di incarichi retribuiti entro trenta giorni dalla ricezione della richiesta stessa e che decorso il termine per provvedere, l'autorizzazione, se richiesta per incarichi da conferirsi da amministrazioni pubbliche, si intende accordata, mentre negli altri casi definitivamente negata, si applica ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1 comma 2, compresi quelli di cui all'art. 3, e quindi anche al personale della magistratura (T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 19 aprile 2007, n. 3453). L'art. 53, comma 7, d.lg. 30 marzo 2001 n.165 a norma del quale il compenso dovuto al pubblico dipendente per incarichi non previamente autorizzati deve essere versato a cura dell'erogante o, in difetto, del percettore, all'amministrazione di appartenenza del dipendente, per essere destinato al fondo di produttività - non costituisce una norma prettamente sanzionatoria, né nei confronti del dipendente (sicché non deve necessariamente essere preceduta da contestazione) né nei confronti del soggetto utilizzatore (che è passibile di sanzione amministrativa ex art. 53 cit., 9 comma). Qualora il soggetto erogante abbia già integralmente corrisposto gli importi al prestatore, l'Amministrazione può rivalersi direttamente su quest'ultimo (Tribunale Milano, 28 dicembre 2006).   In tema di incarichi extragiudiziari dei magistrati, non può escludersi l'applicabilità dell'istituto del silenzio-assenso ex art. 53 comma 10 d.lg. n. 165 del 2001, nel caso in cui il magistrato abbia chiesto l'autorizzazione all'insegnamento presso una scuola di specializzazione delle professioni legali (T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 05 dicembre 2005, n. 12979).   È inquadrabile nell'attività istituzionale del pubblico dipendente, e non è, pertanto, configurabile come attività libero-professionale, lo svolgimento di un incarico rientrante nelle mansioni istituzionalmente espletate dallo stesso, destinato ad essere svolto durante il normale orario di lavoro, ed in luogo della ordinaria attività, nei locali dell'ente di appartenenza, e con gli strumenti dello stesso, a nulla rilevando in contrario il carattere "speciale" di detta attività, in quanto relativa ad un'area non rientrante nella competenza dell'articolazione territoriale dell'ente cui è addetto il dipendente. (Nella specie, la S.C., in applicazione del principio di cui alla massima, ha confermato la sentenza del giudice di seconde cure, che, in riforma della decisione di primo grado, aveva rigettato la domanda di due architetti dipendenti del Ministero per i beni culturali ed ambientali, in servizio presso la Soprintendenza per i beni ambientali ed architettonici di Napoli, i quali, avendo redatto, su incarico del direttore generale del Ministero, il piano territoriale paesistico del Taburno, nelle province di Caserta e Salerno, previo assenso del Soprintendente di Napoli, dato a condizione che l'incarico fosse espletato compatibilmente con le attività di ufficio, ne avevano inferito la natura professionale del predetto incarico, chiedendo, poi, giudizialmente, a seguito di rifiuto del Ministero, la liquidazione del compenso che ritenevano spettare loro. La S.C. ha ritenuto corretta la conclusione cui era pervenuta la Corte territoriale, secondo la quale la circostanza che il Ministero, come era risultato da una nota dello stesso, aveva disposto che detta attività dovesse svolgersi in alcuni giorni della settimana prestabiliti, nell'orario di lavoro, riservando le restanti giornate al lavoro ordinario, e che lo stesso Soprintendente avesse subordinato il proprio assenso alla condizione che l'incarico venisse espletato presso gli uffici della Soprintendenza al fine di non distogliere i dipendenti incaricati del progetto dall'attività ordinaria, e, ancora, la circostanza dell'avvalimento, da parte degli stessi, dei mezzi messi a disposizione da quell'ufficio, escludevano che fosse configurabile nella specie un'attività libero-professionale) (Cassazione civile , sez. I, 08 marzo 2005, n. 5052).   Legittimamente, ai sensi dell'art. 53, d.lg. n. 165 del 2001, l'amministrazione nega al proprio dipendente che sia agente della Polizia di Stato l'autorizzazione ad assumere l'incarico di componente del Comitato provinciale Inps, connotandosi il rapporto d'impiego per l'obbligo di immediata disponibilità a fronteggiare qualsiasi situazione di emergenza per l'ordine pubblico e di ottemperanza in qualsiasi momento agli ordini provenienti dai diretti superiori affatto incompatibile con lo svolgimento dell'attività extraistituzionale atteso il notevole impegno temporale, fisico e mentale che richiederebbe il suo assolvimento (T.A.R. Puglia Bari, sez. I, 19 ottobre 2004, n. 4617).   Appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario la controversia concernente l'autorizzazione all'assunzione di incarichi amministrativi presso enti o cariche sociali in società di diritto privato di cui all'art. 53 d.lg. n. 165 del 2001 (Consiglio Stato, sez. IV, 07 giugno 2004, n. 3618).   L'art. 241 comma 3 r.d. n. 383 del 1934 fissa un divieto assoluto di svolgere attività libero professionale (nella specie, di geometra) per i dipendenti pubblici, senza che, nel sistema previgente alla l. n. 554 del 1988, possa distinguersi tra prestazione di lavoro a tempo pieno ed a tempo parziale, e senza che la possibilità, pur prevista, in presenza di speciali motivi, di autorizzazioni prefettizie allo svolgimento di altre attività possa riguardare l'esercizio della libera professione. Nè la disciplina introdotta dalla citata l. n. 554 del 1988, regolante il rapporto "part time" per i dipendenti di enti pubblici, e dal d.P.C.M. n. 117 del 1989, attuativo della stessa, che rende possibile al dipendente a tempo parziale lo svolgimento di altra attività professionale, può, anche in considerazione degli elementi di rottura che essa apporta rispetto alla normativa previgente, influire sui rapporti perfezionatisi nella vigenza di quella. Le limitazioni previste dal citato arte. 241 comma 3 r.d. n. 383 del 1934 in ordine alle possibilità per i dipendenti pubblici di esercitare anche attività libero professionale manifestamente non si pongono in contrasto con gli art. 4 e 35 cost., trattandosi di attività liberamente scelta dal lavoratore e regolarmente retribuita, e conseguentemente non comportano violazione dell'art. 38 cost.; nè esse violano la libertà di iniziativa economica, essendo esse imposte dal legislatore quale garanzia per il buon andamento della p.a., e, quindi, a tutela di interessi generali (Cassazione civile, sez. lav., 04 novembre 2003, n. 16555).   Il divieto d'iscrizione all'albo professionale dei geometri che siano impiegati dello Stato o di altre p.a., posto dall'art. 7, r.d. 11 febbraio 1929 n. 274, opera, nei confronti dei dipendenti degli enti pubblici di cui all'art. 1 l. 20 marzo 1975 n. 70, solo quando l'ordinamento degli enti medesimi fissi una preclusione assoluta all'esercizio dell'attività professionale, onde tale divieto non riguarda i dipendenti di enti il cui ordinamento interno espressamente preveda, a causa del loro inquadramento nel ruolo professionale, l'assunzione di incarichi nell'ambito dei compiti istituzionali dell'ente (alla stregua dell'art. 15, comma 3 predetta l. n. 70 del 1975), o ai quali sia conferita di volta in volta espressa autorizzazione (art. 20, d.P.R. 6 ottobre 1979 n. 509), senza che possa in contrario argomentarsi dal disposto dall'art. 58 d.lg. 31 marzo 1998 n. 80, atteso che tale norma, pur sancendo, nel comma 1 per tutti i pubblici dipendenti la regola generale dell'incompatibilità di cui agli art. 60 ss. t.u. 10 gennaio 1957 n. 3, non ha, tuttavia, abrogato il predetto art. 15 l. n. 70 del 1975; peraltro, essendo, per quanto sopra detto, il conferimento d'incarichi professionali dei dipendenti degli enti pubblici di cui si tratta (nella specie, INPDAP) ammissibile solo in presenza di una disposizione regolamentare, il giudice investito della questione relativa al riconoscimento del diritto all'iscrizione nell'albo professionale non può prescindere dall'esame del regolamento organico del personale, che, costituendo un atto di competenza interna dell'ente, deve essere prodotto in giudizio dall'interessato (Cassazione civile, sez. II, 14 novembre 2001, n. 14169).   Non è consentita l'iscrizione ad un albo professionale (nella specie, dei geometri) al dipendente di una amministrazione statale (nella specie, Ministero dei lavori pubblici), in ragione del combinato disposto degli art. 7 comma 1 r.d. n. 274 del 1929 (a norma del quale l'iscrizione all'albo professionale non è consentita ai dipendenti delle amministrazioni dello Stato e degli enti pubblici non economici allorquando i rispettivi ordinamenti prevedano un divieto assoluto all'esercizio della professione) e 60 t.u. n. 3 del 1957 (che espressamente sancisce, per l'impiegato dello Stato, il divieto di esercizio di qualsiasi professione), non spiegando, all'uopo, alcuna influenza la eventuale autorizzazione all'iscrizione rilasciata al dipendente dall'amministrazione di appartenenza ex art. 4, comma 4, del citato r.d. n. 274 del 1929 (norma applicabile alla sola ipotesi della inesistenza di un esplicito divieto all'esercizio della professione), e senza che, ancora, la compatibilità tra l'esercizio della attività professionale ed il rapporto di pubblico impiego possa implicitamente desumersi dalla normativa sulla Cassa nazionale di previdenza ed assistenza (l. n. 773 del 1982, art. 22, sostituito dall'art. 1, comma 14, della l. n. 236 del 1990), che ha esclusivo riguardo al trattamento previdenziale dei soggetti titolari di un rapporto di pubblico impiego e, nel contempo, dediti (legittimamente) allo svolgimento di attività professionale privata (Cassazione civile, sez. un., 03 aprile 1998, n. 3467).   L'incompatibilità tra la qualità di impiegato comunale e l'esercizio di qualunque professione - prevista dall'art. 241, comma 3 r.d. 3 marzo 1934 n. 383, t.u. della legge comunale e provinciale, applicabile anche dopo l'entrata in vigore della l. 8 giugno 1990 n. 142, sull'ordinamento delle autonomie locali - non è venuta meno per effetto dell'art. 5 sexies d.l. 3 aprile 1995 n. 101 (conv. con modificazioni nella l. 2 giugno 1995 n. 216) anche se per effetto di questa ultima disposizione non può più essere negata l'iscrizione all'albo professionale dei detti dipendenti. (Nella specie il Consiglio nazionale dei periti industriali aveva negato l'iscrizione all'albo di un dipendente comunale in considerazione della sua qualità; la S.C. ha cassato tale statuizione enunciando il principio riassunto in massima ed evidenziando, altresì, che ancorché l'iscrizione all'albo professionale, richiesta dal menzionato art. 5 sexies, possa dar luogo all'abusivo svolgimento di attività libero-professionale da parte di dipendenti pubblici, l'abuso stesso attiene a una fase non solo eventuale ma anche successiva alla iscrizione all'albo e, una volta accertato, darà luogo alla applicazione delle sanzioni previste dalla legge) (Cassazione civile, sez. un., 02 aprile 1998, n. 3386). Rientra nell'ambito della giurisdizione del giudice ordinario, così come definita dall'art. 63 d.lg. 30 marzo 2001 n. 165 del 2001, una controversia volta all'annullamento del diniego opposto dalla p.a. di appartenenza alla richiesta di svolgere un incarico extraistituzionale formulata da un dipendente. Ogni atto dell'amministrazione volto ad assicurare il rispetto della disciplina in tema di incompatibilità con lo "status" di pubblico dipendente si configura come diretto a regolare il singolo rapporto di lavoro del dipendente interessato e dunque come atto di gestione del rapporto medesimo che rientra nella competenza del giudice ordinario ai sensi dell'art. 63 d.lg. n. 165 del 2001. Il regime delle incompatibilità, previsto per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni dagli articoli 60 del t.u. 10 gennaio 1957 n. 3 e 53 d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165, rinviene la propria ratio nella opportunità di evitare le disfunzioni e gli inconvenienti che deriverebbero all’amministrazione dal fatto che il proprio personale, anche rivestendo cariche sociali presso società di diritto privato, si dedichi ad attività imprenditoriali, caratterizzate da un nesso inscindibile tra lavoro, rischio e profitto, nonché sull’eminente considerazione in termini di esclusività dell’apporto professionale dell’impiegato pubblico; ne consegue che il rispetto della disciplina in tema di incompatibilità con lo status di pubblico dipendente si configura come diretto a regolare il singolo rapporto di lavoro del dipendente interessato e, dunque, come atto di gestione del rapporto medesimo ex art. 2 d.lgs. n. 164 che, quando riguardi personale “privatizzato”, rientra nella competenza giurisdizionale del giudice ordinario, prevista, per tali rapporti di lavoro, dall’art. 63 el d.lgs. n. 165 del 2001 (Consiglio Stato , sez. IV, 07 giugno 2004, n. 3618).       SANZIONI     Un cenno merita poi, il regime sanzionatorio conseguente alla violazione delle norme in materia di incompatibilità.   A tal proposito vanno considerati, innanzitutto, gli effetti nei confronti del dipendente, distinguendo l’ipotesi di incompatibilità “assoluta” da quella della incompatibilità “relativa”, rimuovibile, cioè, attraverso il previsto procedimento autorizzatorio.   Nel primo caso, è prevista la decadenza del dipendente dal rapporto, decadenza che si produce “di diritto” quando si verifichi cumulo di impieghi pubblici ovvero, negli altri casi, quando la cessazione della situazione di incompatibilità non avvenga nel termine di 15 giorni dalla diffida dell’amministrazione datoriale a cessare dalla situazione incompatibile.   Nella diversa ipotesi di incompatibilità “relativa”, l’assunzione di incarichi retribuiti senza la previa autorizzazione assoggetta il dipendente, salvo più gravi sanzioni, a responsabilità disciplinare che, in casi estremi, consente all’Amministrazione datoriale di determinarsi nel senso del recesso dal rapporto (ovvero della decadenza, se trattasi di dipendenti appartenenti alle categorie non contrattualizzate).   Sotto il profilo economico il dipendente è poi privato del compenso dell’incarico privo di autorizzazione.   Effetti sanzionatori subiscono anche i soggetti pubblici e privati che abbiano conferito l’incarico senza autorizzazione: nel primo caso, oltre alla responsabilità disciplinare ed, eventualmente, erariale del responsabile del procedimento, è disposto il trasferimento del compenso, che non sia stato già corrisposto al dipendente, all’Amministrazione di appartenenza dello stesso. Se si tratta invece di privati, a questi è comminata una sanzione pecuniaria amministrativa pari al doppio del compenso corrisposto.   È legittima la risoluzione del rapporto di lavoro disposta dall'amministrazione allorché il dipendente abbia dichiarato l'inesistenza di situazioni di incompatibilità con il rapporto di lavoro alle dipendenze della p.a. in base all'art. 508 d.lg. n. 297 del 1994 o all'art. 53 d.lg. n. 165 del 2001, essendo l'effetto risolutorio del rapporto di lavoro previsto per tale ipotesi tanto dalla fonte legislativa (art. 1 comma 61 l. n. 662 del 1996) quanto da quella contrattuale, posto che nel contratto individuale di lavoro in essere tra le parti era espressamente previsto che la non veridicità del contenuto delle dichiarazioni avrebbe comportato l'immediata risoluzione del rapporto di lavoro. Il contratto di servizio civile, pur non costituente lavoro pubblico, concretizza una situazione di incompatibilità, trattandosi di rapporto a titolo oneroso con un impegno di orario. (Nel caso, il dirigente scolastico aveva disposto la risoluzione di un rapporto di lavoro a termine con un collaboratore scolastico) (Tribunale Parma, sez. lav., 09 aprile 2008).     L'istituto della decadenza dal rapporto di impiego, come disciplinato dagli art. 60 ss. d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3, è applicabile ai dipendenti di cui all'art. 2, commi 2 e 3, d.lg. 30 marzo 2001 n. 165, in forza dell'espressa previsione contenuta nell'art. 53, comma 1, dello stesso decreto, e, siccome attiene alla materia delle incompatibilità, è estraneo all'ambito delle sanzioni e della responsabilità disciplinare di cui all'art. 55 dello stesso testo normativo (Cassazione civile, sez. lav., 19 gennaio 2006, n. 967).