Al lavoratore viene comunicato il licenziamento: che fare quando si vuole contestare la decisione del datore di lavoro che appare illegittima ?
Di recente la Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza 19 gennaio - 17 maggio 2017 n. 12352 è intervenuta per ribadire la tempistica con cui il lavoratore deve prima impugnare il suo licenziamento e poi proporre l'eventuale ricorso al Tribunale in funzione di Giudice del Lavoro affinchè l'impugnazione non perda di efficacia, la decisione in questione merita di essere divulgata per l’interesse generale che da sempre connota la fattispecie del licenziamento nel rapporto di lavoro.

Due sono i termini di decadenza per il lavoratore a seguito della riforma introdotta dal legislatore con la legge 183 del 2010 e successive modifiche.
Non di rado è capitato a chi scrive che il lavoratore, pur avendo impugnato nei termini il licenziamento comminato dal datore di lavoro, abbia poi lasciato passare il tempo senza proporre il ricorso e, presentatosi a studio, si sia sentito dire che era decaduto dall'azione.
In questi casi il ricorso ove proposto, a seguito di eccezione della controparte sarebbe stato dichiarato inammissibile essendo stato depositato nella cancelleria del Tribunale oltre il termine di legge, rendendo vana l'azione giudiziale che gli avrebbe forse permesso di ottenere la reintegra o il risarcimento del danno.
La Corte, tornando al decisum in questione, ha ricordato che l'art. 6, comma 1, L. n. 604/66 e l’art.32, comma 1, L. n. 183/10, prevedono che "il licenziamento deve essere impugnato entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione (in forma scritta)".
L’art. 6, comma 2 stabilisce poi che l’impugnazione non è efficace se non è seguita, entro il successivo termine di 180 giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale.
Attenzione, ecco il punto fondamentale da ricordare per coloro che hanno subito un licenziamento.
Secondo i giudici della sezione lavoro non si può ritenere che il secondo termine di decadenza diretto ad una maggiore certezza dei rapporti giuridici tra lavoratore e datore di lavoro debba decorrere dalla scadenza del 60°giorno dalla comunicazione del licenziamento anche qualora il lavoratore abbia provveduto, liberamente, ad impugnarlo senza attendere il 60° giorno dalla comunicazione del recesso.
Ricordo che gli attuali 180 giorni per depositare il ricorso giudiziale decorrono dalla data effettiva dell'impugnazione del licenziamento anche se la stessa è intervenuta prima della scadenza del sessantesimo giorno utile per impugnarlo.
La Cassazione lavoro, sentenza n. 20068/2015, aveva precisato anni fa che “il termine di decadenza di cui alla L. n. 604 del 1966, art. 6, comma 2, come da ultimo modificato dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 38, decorre dalla trasmissione dell’atto scritto di impugnazione del licenziamento di cui al primo comma e non dalla data di perfezionamento dell’impugnazione per effetto della sua ricezione da parte del datore di lavoro”.

Per completezza va detto che qualora prima dello scadere dei 180 giorni venga proposto il tentativo di conciliazione o la richiesta di arbitrato ove previsto, in caso di rifiuto o di mancato accordo con il datore di lavoro, entro i sessanta giorni dalla data del verbale negativo il lavoratore dovrà depositare il ricorso dinanzi il Tribunale competente, sempre a pena di inammissibilità, abbreviandosi o allungandosi di fatto il termine per adire il Giudice.

Pertanto dopo aver impugnato il licenziamento il lavoratore, che non abbia concluso un accordo bonario di composizione della lite con il suo ex datore, farà bene ad attivarsi in tempi brevi per avviare la procedura giudiziale allo scopo di collaborare con il suo difensore per istruire la causa, decisiva è infatti l'acquisizione della documentazione probatoria e la verifica dei potenziali testimoni per il buon fine del giudizio.

Luigi De Valeri O. Avvocati di Roma
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