In materia di dimissioni presentate dal lavoratore nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico una consolidata Giurisprudenza Amministrativa ha statuito la necessità di una presa d’atto da parte della p.a. debitamente portata a conoscenza dell’interessato il quale, pertanto, ben può revocare le dimissioni stesse fintantoché l’Amm.ne non ha formalmente preso atto delle medesime; in assenza di tale atto conclusivo le dimissioni possono essere revocate e dunque tamquam non esset.

E infatti:

“Sotto un primo aspetto, la Sezione ritiene decisivo osservare che la controversia all’esame, diversamente da tutti i precedenti giurisprudenziali sopra richiamati, si è svolta nel mutato quadro legislativo introdotto con la legge n. 15 dell’11 febbraio 2005, contenente le «Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi».

L’art. 21 – bis, della l. n. 241 del 1990, introdotto dall’art. 14, della nuova legge, avverte che «Il provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati acquista efficacia nei confronti di ciascun destinatario con la comunicazione allo stesso……..»

La norma, com’è palese, si propone di tutelare i destinatari di provvedimenti con effetti negativi, generalizzando l’obiettivo, che la rende prevalente rispetto ad ogni altra disposizione difforme, di ridurre le distanze tra l’amministrazione ed i soggetti coinvolti dall’agire amministrativo.

Per essa, si ricava la conferma per via legislativa dell’assunto fatto proprio dalla sentenza impugnata, per il quale la conoscenza del provvedimento ad effetti negativi sul destinatario, nella fattispecie in esame collegati all’accettazione delle dimissioni, è essenziale, e non può avvenire che attraverso la sua effettiva comunicazione.

Per tal via, nel procedimento segnato dagli atti qui in discussione, si verifica una significativa dequotazione del momento perfezionativo del provvedimento di accettazione delle dimissioni all’interno di una fattispecie a formazione progressiva, che inizia con la domanda del dipendente e si conclude con la comunicazione di esso.

Emerge anche la necessità che quest’ultima abbia un carattere formale, in ragione del quale non possono avere rilievo alcuno modalità conoscitive ritenute equivalenti ovvero soddisfatte per facta concludentia, quali, nella fattispecie in esame, sono tutte quelle evidenziate nell’atto d’appello.

Consegue, altresì, da quanto sopra argomentato, l’insussistenza della affermata cessazione del rapporto di lavoro tra la Corte dei Conti ed il consigliere C., pur correttamente prospettata da parte appellante come circostanza, in via di principio, incompatibile con l’esercizio del potere di revoca delle dimissioni”(cfr. tra le tante C.d.S. Sez. V  16.1.2008 n. 73).