Il Coronavirus e il divieto dei licenziamenti dei lavoratori per due mesi
L’art. 46 del decreto Cura Italia dispone, dal 17 marzo 2020 al 16 maggio 2020, il blocco per l’avvio delle procedure di riduzione collettiva del personale, nonché dei licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo intimati dai datori di lavoro a prescindere dal numero dei dipendentiivi compreso il licenziamento per motivi economici.
L’art. 46 del decreto-legge n. 18/2020 recante misure urgenti per contrastare l’emergenza Coronavirus - Covid-19 prevede la sospensione termini di impugnazione dei licenziamenti stabilendo che:“A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto l’avvio delle procedure di cui agli articoli 4, 5 e 24, della legge 23 luglio 1991, n. 223 è precluso per 60 giorni e nel medesimo periodo sono sospese le procedure pendenti avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020. Sino alla scadenza del suddetto termine, il datore di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti, non può recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’articolo 3, della legge 15 luglio 1966, n. 604″.
L’obiettivo del Decreto, in linea con le disposizioni emanate nei giorni precedenti, è indurre le parti a ridurre gli spostamenti. Per far ciò occorre che datori di lavoro e lavoratori, siano concordi nel far ricorso, ogni qualvolta sia possibile, agli ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro, come la cassa integrazione, oppure allo “smart-working”, alle ferie anticipate ecc..
Dal 17 marzo 2020 (data di entrata in vigore del D. L. n. 18/2020) e fino al 16 maggio 2020 la preclusione alla apertura della procedura ha effetto:
Sui licenziamenti collettivi:
  • sull’art. 4 della legge n. 223/1991 che riguarda le imprese, le quali, al termine del periodo di integrazione salariale straordinaria, non sono in grado di assicurare la ripresa piena dell’attività e nemmeno di ricorrere a misure alternative;
  • sull’art. 24 della legge n. 223/1991 che concerne le imprese che “occupino più di quindici dipendenti e che, in conseguenza di una riduzione o di una trasformazione di attività, intendano effettuare almeno 5 licenziamenti nell’arco di 120 giorni, in ciascuna unità produttiva, o in più unità produttive nell’ambito del territorio della stessa provincia. Tali disposizioni si applicano per tutti i licenziamenti che, nello stesso arco di tempo e nello stesso ambito, siano comunque riconducibili alla medesima riduzione o trasformazione”;
Le procedure ai sensi dell’art. 4 e 5 della Legge n. 23 del 1991 sono le ex procedure di mobilità, ora precluse per 60 giorni. Ne deriva che il datore di lavoro dovrà attendere la scadenza del suddetto termine, ovvero lo spirare dei 60 giorni, per aprire una procedura per cessazione di attività. 
Sui licenziamenti individuali:
L’ultima parte dell’art. 46 è dedicata al blocco per 60 giorni, a partire dal 17.03.20 dei licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo intimati dai datori di lavoro a prescindere dal numero dei dipendenti. La norma prevede inoltre che “Sino alla scadenza del suddetto termine (sempre i 60 giorni dell’entrata in vigore del Decreto Legge per emergenza Coronavirus Covid-19), il datore di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti, non può recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’articolo 3, della legge 15 luglio 1966, n. 604″.
Ai sensi dell’art. 3 della legge n. 604/1966 sono dunque sospesi i licenziamenti intimati per ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento della stessa.
Non sono compresi nel decreto e pertanto possono essere intimati senza dover aspettare i 60 giorni i licenziamenti:
  • per giusta causa;
  • per giustificato motivo soggettivo, ivi compresi quelli di natura disciplinare che comportano il rispetto della procedura di contestazione e di difesa formulata dall’art. 7 della legge n. 300/1970 e dai CCNL;
  • per raggiungimento del limite massimo di età per la fruizione della pensione di vecchiaia, atteso che per la eventuale prosecuzione fino al limite dei settanta anni occorre il consenso del datore di lavoro (S.S. Corte di Cass., Decisione n. 17589 del 4 settembre 2015);
  • per la fruizione del pensionamento per la “quota 100”;
  • per i licenziamenti dovuti al superamento del periodo di comporto ove si è in presenza di un iter “assimilabile” a quello del giustificato motivo oggettivo;
  • per inidoneità;
  • dei dirigenti ove la motivazione prevista è quella della “giustificatezza”;
  • dei lavoratori domestici, in quanto, in tali casi, il recesso è “ad nutum”.
Il Decreto Cura Italia non ha investito quindi i licenziamenti dovuti al comportamento del lavoratore, per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, ossia i licenziamenti per motivi disciplinari.
Il lavoratore tuttavia, può presentare le proprie dimissioni, anche per giusta causa. In quest’ultimo caso, in caso di accertate inadempienze del datore di lavoro, è possibile ottenere la prestazione a sostegno del reddito, ossia la Naspi.
Si resta a disposizione per qualsiasi chiarimento al seguente indirizzo e-mail: avv.enricacaon@gmail.com