La L. 23 luglio 1991, n. 223, recante "Norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro", disciplina anche i licenziamenti collettivi per riduzione di personale. Lo Stato italiano è giunto alla emanazione di tale legge a seguito di due condanne della Corte di Giustizia Europea per la mancata attuazione nel nostro ordinamento della direttiva CEE n. 129 del 1975. Scopo primario della legge è quello di assicurare la mobilità dei lavoratori licenziati, attraverso la loro iscrizione in liste di disoccupazione privilegiate, che consentano lo spostamento di lavoratori con un notevole bagaglio di professionalità acquisito dalla imprese recedenti ad imprese bisognevoli di personale qualificato, favorendo la ricollocazione dei lavoratori licenziati. La procedura di mobilità trova applicazione pertanto in tutte le ipotesi di eccedenze di personale delle imprese, distinguendosi tuttavia, formalmente, due autonome fattispecie e cioè: ·         esuberi manifestati a causa di un processo di trasformazione o di crisi aziendale per il quale sia stato concesso l’intervento straordinario della Cassa integrazioni guadagni, nel caso in cui l’impresa ritenga di non poter garantire il reimpiego dei lavoratori eccedenti (messa in mobilità); ·         esuberi dovuti a riduzione o trasformazione di attività o lavoro o cessazione di attività in seguito ai quali il datore di lavoro adotti la decisione di procedere a riduzione (almeno 5 licenziamenti in 120 giorni) del personale (licenziamento collettivo per riduzione di personale). D’altra parte la procedura prevista per i licenziamenti collettivi per riduzione del personale è sostanzialmente ripresa dalla procedura di mobilità tant’è che, ad avviso della dottrina maggioritaria, si può parlare di una regolamentazione sostanzialmente unitaria delle riduzioni di personale . La disciplina della materia dei licenziamenti collettivi può essere attuata purché ricorrano i seguenti presupposti (art. 24 della legge 223 del 1991): ·         deve trattarsi di un'impresa che occupa più di 15 dipendenti; ·         si intendano effettuare almeno 5 licenziamenti nell'arco di 120 giorni; ·         ciò avvenga nell’ambito della medesima unità produttiva o nell’ambito di più unità produttive della stessa provincia; ·         detti licenziamenti siano conseguenza della riduzione o trasformazione di attività o lavoro ovvero della cessazione dell’attività. L’art. 24 della legge 223/91 delinea la procedura da seguire rimandando testualmente alle norme dettate in materia di mobilità. In particolare, quando una impresa intende procedere ad almeno 5 licenziamenti nell’arco di 120 giorni, a seguito di una trasformazione dell’attività e del lavoro, nell’ambito di ciascuna unità produttiva o di più unità produttive presenti sul territorio della stessa provincia, deve preventivamente darne comunicazione per iscritto alle rappresentanze sindacali aziendali nonché alle rispettive associazioni di categoria. In mancanza di tali rappresentanze, la comunicazione deve essere effettuata alle associazioni di categoria aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale. In ogni caso, la comunicazione deve contenere l'indicazione:
  • dei motivi che determinano la situazione di eccedenza di personale;
  • dei motivi tecnici, organizzativi, produttivi, per i quali si ritiene di non poter adottare misure idonee a porre rimedio alla predetta situazione ed evitare i licenziamenti;
  • del numero, della collocazione aziendale e dei profili professionali del personale eccedente, nonché del personale abitualmente impiegato.
Entro 7 giorni dalla data di ricevimento della comunicazione, a richiesta delle rappresentanze sindacali aziendali e delle rispettive associazioni, si procede ad un esame congiunto tra le parti, che ha il fine di esaminare le cause che determinano l'eccedenza del personale e di evitare i licenziamenti. Qualora la consultazione abbia esito negativo, il direttore dell'Ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione convoca le parti al fine di un ulteriore esame della situazione, anche formulando proposte per la realizzazione di un accordo. Esaurita questa fase senza che un accordo sia raggiunto, l'impresa ha facoltà di licenziare i lavoratori eccedenti, individuati secondo i criteri di scelta indicati dai contratti collettivi o, in difetto, nel rispetto dei seguenti criteri, individuati nell’art. 5 della legge 223 del 1991, in concorso tra loro: carichi di famiglia; anzianità; esigenze tecnico-produttive ed organizzative. Il licenziamento collettivo per riduzione di personale è:
  • annullabile, se non vengono rispettati i criteri di cui si è appena detto;
  • inefficace, se la sua intimazione o le comunicazioni sindacali non siano effettuate per iscritto ovvero se non venga rispettata la procedura di cui alla L. 223/1991.
Una volta individuati i lavoratori, il datore di lavoro può esercitare il diritto di recesso che deve essere comunicato per iscritto e nel rispetto del termine di preavviso. La violazione della procedura e dei criteri di scelta può comportare due conseguenze sui licenziamenti: ·         inefficacia (art. 5, comma 3) che si ha quando il licenziamento sia intimato in forma orale, oppure nel caso in cui le comunicazioni sindacali siano avvenute senza forma scritta ovvero nell’inosservanza della procedura descritta; ·         annullabilità che si ha nel caso in cui non siano stati rispettati i criteri di scelta. I licenziamenti inefficaci o annullabili possono essere impugnati. L'impugnazione deve avvenire nel termine di 60 giorni dalla comunicazione del licenziamento, con qualsiasi atto scritto idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore di impugnazione. Se l'illegittimità del licenziamento è riconosciuta dal giudice, si applica l'art. 18, St. lav. (tutela reale – reintegrazione e risarcimento). L’art. 5, comma 3, ultima parte, non trova applicazione nel caso di inefficacia o di illegittimità del recesso intimato dai datori di lavoro non imprenditori che svolgono, senza fini di lucro, attività di natura politica, sindacale, culturale ecc. ecc.. In tale ipotesi, infatti, si applica la tutela obbligatoria dei licenziamenti della legge 604 del 1966, e non la tutela reale.