La sempre maggiore diffusione delle nuove tecnologie informatiche ha posto, in passato, il legislatore nella difficoltà ad approntare un'adeguata tutela dei diritti della personalità, a causa del divieto di analogia, principio cardine in materia penale, stante l'assenza di un'apposita disciplina che non consentiva di reprimere condotte che, se pur meritevoli di condanna, non erano previste come ipotesi di reato.

Una tale situazione ha, dunque, spinto il legislatore ad emanare la legge n.547/1993, la quale ha introdotto nuove fattispecie di reato, volte proprio a contrastare i c.d. reati informatici, vale a dire quei reati lesivi della libertà informatica degli utenti.

Tra i diritti della personalità facilmente aggredibili, in questa prospettiva, vi è il diritto allareputazione, minacciabile mediante la diffusione di notizie false o diffamatorie ai danni di un soggetto, attraverso il mezzo di internet, che consente una capillare e rapidissima diffusione in ogni angolo del mondo dei contenuti in esso pubblicati.

Si pone a questo punto da risolvere il problema, di non facile soluzione, della responsabilità penale per la pubblicazione “in rete” di notizie calunniose.

Ma, prima di andare avanti, è opportuno chiarire quali sono, a livello teorico, i due diversi orientamenti con riferimento al fenomeno di internet.

Una prima posizione intende internet come un territorio completamente libero, senza regole e dunque aperto all'immissione di qualsiasi contenuto o messaggio, non accettando l'inserimento di limitazioni o divieti.

Secondo un'altra opinione, al contrario, la pubblicazione su internet di un qualsiasi tipo di testo o notizia deve essere regolamentata, in maniera tale da poter consentire da un lato la tutela dei diritti della personalità e dall'altro di salvaguardare il diritto alla libertà di espressione, sancito dalla nostra Costituzione.

A nostro avviso, è da preferire quest'ultima posizione nella convinzione che internet rappresenti uno dei tanti mezzi di diffusione di dati e notizie, motivo per cui non può essere escluso da una forma di disciplina.

Tuttavia è oramai noto agli operatori del diritto come la rete internet possa fungere da mezzo od oggetto per la commissione di fattispecie tradizionali di reato. 1

In particolare, per quanto riguarda la diffamazione a mezzo internet e la normativa sulla stampa, la dottrina e la giurisprudenza si sono domandate se tale reato non debba più correttamente essere inquadrato e disciplinato alla stregua di ipotesi particolari, analogamente alla diffamazione a mezzo stampa o a mezzo di trasmissioni radio-televisive. Dapprima ci si è chiesti se si potesse direttamente richiamare la normativa sulla stampa e sulle trasmissioni radio-televisive. L'orientamento prevalso è stato di segno negativo scaturito dall'insormontabile divieto di analogia in malam partem 2 vigente in materia penale . Un chiaro ostacolo all'interpretazione anzidetta è costituito proprio dalla definizione, espressamente dichiarata dalla giurisprudenza dominante insuscettibile di interpretazione estensiva 3, di stampato, data dallo stesso art. 1, l . n. 47 del 1948, che fa riferimento a tutte le riproduzioni tipografiche o comunque ottenute con mezzi meccanici o fisico-chimici; appare evidente l'incompatibilità della suddetta definizione con le modalità di diffusione delle pubblicazioni a mezzo internet, che avvengono attraverso la collocazione di dati ed informazioni trasmessi per via telematica, tramite l'utilizzo della rete telefonica, al server di un cosiddetto provider webmaster , accessibile a migliaia di utenti contemporaneamente, presso il quale le informazioni restano a disposizione nei diversi siti in modo tale che ciascun interessato può leggerle e conservarle mediante il proprio computer. Peraltro, alla luce delle pur generiche definizioni contenute nella normativa sovranazionale di riferimento 4, è di tutta evidenza come, in ossequio al principio di stretta legalità, le trasmissioni via internet non possano che ritenersi estranee alle previsioni penali relative alla radio-televisione, poiché esse avvengono con modalità del tutto differenti, e dunque incomparabili, rispetto alle trasmissioni oggetto della regolamentazione operata dalla normativa in esame. Tuttavia, recentemente, uno spiraglio per un'equiparazione di internet agli altri mezzi di comunicazione è stato fornito dalla l. 7 marzo 2001, n. 62 sul diritto d'autore, la quale, se pur ad altri fini, fornisce una definizione di prodotto editoriale che si estende sino a ricomprendere qualsiasi prodotto su supporto cartaceo o su supporto informatico destinato a pubblicazione o diffusione con ogni mezzo anche elettronico. Alcuni giudici di merito 5 hanno affermato che il sito internet deve essere ritenuto prodotto editoriale ai sensi dell'art. 1, l . n. 62 del 2001, in quanto prodotto realizzato su supporto informatico destinato alla diffusione di informazioni con mezzo elettronico attraverso l'immissione nella rete mondiale, accessibile in pratica a chiunque, di una serie di opinioni e informazioni.

Sul punto è altresì intervenuta un'ulteriore pronuncia di merito 6 che, ritenendo insuperabili le molteplici e rilevanti obiezioni ad un'equiparazione, quantomeno in campo penalistico, tra internet e stampa, riafferma l'incompatibilità delle caratteristiche tecniche di internet con la definizione di stampato fornita dalla l. n. 47 del 1948, non potendosi ignorare come il concetto di riproduzione, che ne costituisce il fulcro, presupponga - da un punto di vista logico - una distinzione fisicamente percepibile tra l'oggetto da riprodurre e le sue riproduzioni, essendo poi indifferente il procedimento fisico-chimico mediante il quale la riproduzione viene posta in essere. Al contrario, il testo pubblicato su sito internet non può in alcun modo essere considerato una riproduzione, poiché il relativo file si trova in unico originale sul sito stesso, e può essere consultato dall'utente mediante l'accesso al sito. I files pubblicati su internet non sono, in realtà, riproduzioni, ma documenti informatici originali 7. La citata pronuncia giurisprudenziale può, del resto, giovarsi del conforto di autorevole dottrina la quale, sin dagli albori della vexata quaestio , ha coerentemente evidenziato come, pur essendo innegabile che la nozione di comunicazioni telematiche includa un'attività di stampa, essa sia da considerare meramente eventuale e qualora abbia luogo è in ogni caso il soggetto utente a decidere se stampare e cosa stampare, riproducendo l'intero documento o solo parte di esso; peraltro, non si può ignorare come esistano anche comunicazioni telematiche insuscettibili di tale operazione, quali i messaggi audio o video 8. Inoltre, si evidenzia come l'art. 1, l . n. 47 del 1948, individua come proprio campo di applicazione le riproduzioni tipografiche in qualunque modo destinate alla pubblicazione ; tale definizione risulta assolutamente estranea alle comunicazioni telematiche, che utilizzano tecniche completamente diverse. Solo nell'ipotesi in cui lo stampato venisse duplicato e diffuso verso una generalità di soggetti esso potrebbe acquistare rilevanza ai fini del succitato art. 1.

Con riferimento alla diffamazione a mezzo internet e l'aggravante speciale per offese commesse con un qualsiasi mezzo di pubblicità, ex art. 595 comma 3 c.p., l' orientamento giurisprudenziale ormai dominante, consolidatosi a seguito di una pronuncia intervenuta in tal senso da parte della Suprema Corte, è incline a sussumere la diffamazione a mezzo internet in un'ipotesi aggravata, riveniente non già dall'applicazione della disciplina sulla stampa o sulla radio-televisione, bensì dello stesso art. 595 c.p., che al comma 3 prevede un'aggravante speciale per l'offesa “recata...con qualsiasi altro mezzo di pubblicità” 9. Tuttavia, parte della dottrina dubita che internet sia pacificamente riconducibile all'estensione semantica dell'espressione altro mezzo di pubblicità, contenuta nell'art. 595, comma 3, c.p.; ad avviso di alcuni autori, invero, l'estensione numerica degli utenti raggiungibili dal messaggio diffamatorio è al più suscettibile di incidere in sede di esercizio del potere discrezionale del giudice in sede di commisurazione della pena exart. 133 c.p., ma non può in alcun modo fungere di per sé da elemento di distinzione fra un mezzo normale di comunicazione e un mezzo di pubblicità, poiché il requisito della comunicazione con più persone richiede, in ogni caso, una potenzialità divulgativa: al contrario, la distinzione dovrebbe fondarsi su un connotato valutabile aprioristicamente, che qualifichi il mezzo divulgativo utilizzato in base alla sua natura e non al risultato in concreto sortito sul presupposto di un dato variabile come la consistenza numerica effettiva delle persone raggiunte dal messaggio 10. In altre parole, si può affermare che l'estensione numerica degli utenti raggiungibili dal messaggio diffamatorio non è decisiva ai fini della configurazione dell'aggravante in questione.

Con riferimento alla questione del locus commissi delicti e la giurisdizione, è evidente che nessuna difficoltà insorge in ipotesi di reato commesso agendo dall'Italia in collegamento con unserver parimenti installato in Italia, essendo il fatto interamente commesso nel territorio italiano e, conseguentemente, punibile alla stregua del principio generale di territorialità.

Analogamente, se l'agente opera in e dall'Italia su un server installato all'estero sussiste la giurisdizione italiana ex art. 6, comma 2, c.p., alla stregua del quale il reato si considera compiuto in Italia.

Al contrario, la problematica si presenta in relazione ai casi in cui l'agente opera all'estero, e all'estero è pure collocato il server al quale egli accede, ove si rifletta che il messaggio è ricevuto, oltre che nel resto del mondo, anche in Italia 11. Il reato di diffamazione : di mera condotta o di evento? 
In un primo momento, le pronunce dei giudici di merito in materia di diffamazione avvenuta a mezzo internet per tramite di server allocato all'estero sono state concordi nel ravvisare il difetto di giurisdizione dell'autorità giudiziaria italiana. 
Tanto, sulla scorta della considerazione che se la diffusione dei contenuti diffamatori è avvenuta fuori dai confini dello Stato italiano, anche la consumazione del reato deve ritenersi avvenuta all'estero, poiché la diffamazione si consuma nel momento in cui si verifica la diffusione della manifestazione offensiva diretta a più persone. Altra dottrina argomenta dal differente presupposto che nel reato di diffamazione , istantaneo e di pura condotta, la condotta consista nella comunicazione con più persone e la consumazione avvenga solo nel momento in cui i destinatari percepiscono le espressioni diffamatorie, poiché la percezione non è l'evento del reato, ma ne è elemento costitutivo, in quanto fa parte della condotta dell'agente: essa non integra il danno, che, viceversa, si verifica nel momento in cui l'interessato, percependo le espressioni offensive che lo riguardano (ma che sono dirette a terze persone), sente lesa la propria reputazione. 
Sulla scorta di tali premesse, questo secondo orientamento dottrinale giunge all'opposta conclusione per cui il reato (ma non il danno) si è perfezionato nel momento in cui il messaggio, diffuso sul sito, viene percepito da una pluralità di persone che a detto sito accedono 12; essendo la percezione del contenuto offensivo dei messaggi avvenuta in Italia, il reato dev'essere considerato come commesso sul territorio italiano, alla luce del disposto dell'art. 6 c.p. e del c.d. principio d'ubiquità 13. 
Un ulteriore orientamento, da ultimo autorevolmente avallato da una pronuncia della Suprema Corte, è incline a considerare la diffamazione un reato di evento, inteso quest'ultimo come avvenimento esterno all'agente, sebbene collegato al comportamento di costui, consistente nella percezione da parte del terzo ( rectius , dei terzi) dell'espressione offensiva; la percezione, conseguentemente, non è un elemento costitutivo della condotta, non essendo in alcun modo ascrivibile all'agente, pur se si configura come una conseguenza del suo operato. In virtù di quanto innanzi esposto, il momento consumativo del reato de quo non è quello della diffusione del messaggio offensivo, bensì quello della percezione dello stesso da parte di soggetti che siano «terzi» rispetto all'agente e alla persona offesa 14 . 
Ben si comprende come, sulla scorta di questo ragionamento, possa giungersi a statuire l'applicabilità della legge italiana.

Configurabilità del tentativo. Una parte minoritaria della dottrina ipotizza che sia configurabile il tentativo nel reato di diffamazione a mezzo internet. Ora, come rilevato anche dalla Suprema Corte, nel caso in cui l'offesa venga arrecata tramite internet , risulta di più agevole e immediata constatazione la differenziazione concettuale tra condotta ed evento, poiché l'evento appare anche temporalmente ben distinto dalla condotta. 
Ed invero, in un primo momento si ha l'inserimento in rete da parte dell'agente degli scritti offensivi o denigratori, e, solo in un secondo momento, a distanza di minuti, secondi, ore, giorni, ecc., i terzi, connettendosi con il sito e percependo il messaggio, consentiranno la verificazione dell'evento e, di conseguenza, la consumazione del reato ex art. 595 c.p. 
Nell'ipotesi in cui un messaggio dal contenuto diffamatorio venga pubblicato sul web e, per avventura, nessuno abbia la possibilità di prenderne conoscenza, in assenza di percezioni da parte dei terzi del messaggio diffamatorio, l'azione si è evidentemente compiuta e perfezionata, mentre ciò che non si è verificato, impedendo al reato di giungere a consumazione, è innegabilmente l'evento 15.

Tuttavia, la dottrina prevalente concorda nel ritenere che l'art. 595 c.p. contempli un reato di pericolo c.d. concreto; ed invero, se da un lato non vi è alcuna necessità di accertare che la reputazione o l'onore del soggetto abbiano effettivamente subito un danno per effetto della condotta diffamatoria, pure è essenziale che il giudice accerti, caso per caso, esaminando e valutando il fatto nella sua singolarità storica, nei suoi elementi costitutivi di azione e di evento, al fine di trarre il convincimento della sussistenza degli estremi oggettivi e soggettivi della lesione16, che esista quantomeno una rilevante possibilità di verificazione dell'evento temuto.

Altra parte della dottrina prospetta un quadro dogmatico-interpretativo differente, asserendo da un lato che l'effettiva percezione dell'offesa non segna il momento consumativo del reato, non potendo considerarsi la diffamazione un reato di evento, dall'altro che, nel caso di specie ed in altri analoghi, sussiste ugualmente la giurisdizione italiana, dovendosi considerare il reato commesso nel nostro territorio ai sensi dell'art. 6 c.p. 
La suddetta dottrina riconosce come, in caso di immissione di materiale diffamatorio in internet, si debba addirittura dubitare se e quando possa dirsi realizzata un'effettiva comunicazione e se questa sia comunque imputabile all'agente, visto che vi è una pluralità indeterminata di destinatari; essi, peraltro, non vengono neppure «avvisati», come avviene invece per il destinatario (determinato) di un' e-mail , dell'esistenza concreta del messaggio, ma autonomamente possono acquisirne cognizione accedendo ai servers in cui è memorizzato e tanto solo se previamente lo ricercano, con un loro volontario comportamento, pur ignorandone, fino alla totale o parziale lettura, il preciso contenuto ed anzi spesso anche la concreta esistenza 17. l'Autore non considera la diffamazione un reato di evento, poiché a suo dire l'offesa all'altrui reputazione non si configura quale conseguenza causale della condotta dell'agente, ma è costituita piuttosto da quel momento di fatto che evidenzia la proiezione intersoggettiva del rapporto vietato, nei confronti del soggetto passivo e dei terzi, coincidendo con l'instaurarsi di un effettivo rapporto di aggressione che neghi il riconoscimento ed il rispetto dovuti 18 . 
Ad avviso della citata dottrina, tuttavia, anche nel caso di comportamenti che si esauriscano completamente all'estero, perché ivi è avvenuta l'immissione di dati in rete, la prima registrazione su un server , la riproduzione e circolazione su altri servers collegati, si potrebbe affermare la giurisdizione italiana, alla luce della considerazione che l'interesse punitivo dei singoli ordinamenti non può ritenersi circoscritto al luogo degli atti di immissione, né a quello della memorizzazione originaria o attuale dei dati illeciti, ma investe, piuttosto, la loro stessa tenuta a disposizione in rete.

Alla luce di quanto sin qui rassegnato, sembrano affermarsi le ragioni di chi - in dottrina e in giurisprudenza - ritiene opportuno differenziare nettamente, e sotto tutti gli aspetti, il mezzo di comunicazione «internet» dai mezzi di comunicazione di massa «tradizionali», quali stampa e radiotelevisione, in relazione alle quali è ormai consolidato un orientamento interpretativo particolarmente severo, che fa coincidere la consumazione del reato con la mera pubblicazione o trasmissione dei contenuti diffamatori anche in assenza di un'effettiva percezione dell'offesa.



Note:

1 In argomento cfr. diffusamente Pica , Il diritto penale delle tecnologie informatiche , Torino, 1999

2 Cfr. g.i.p. Trib.Oristano, 6 giugno 2000, n. 137

3 Cfr. su tutte Cass., 3 febbraio 1989, n. 259, in Giust. pen. , 1990, 2, 1974: «Ai fini della configurabilità di una fattispecie criminosa come reato commesso con il mezzo della stampa, le definizioni che di stampa e stampati fornisce l'art. 1, l . n. 47 del 1948 non sono suscettibili d'interpretazione analogica e/o estensiva».

4 Cfr. in particolare la direttiva CE n. 552 del 1989 sull'esercizio delle attività televisive, che definisce la trasmissione televisiva quella «via cavo, via etere...o via satellite di programmi televisivi destinati al pubblico... la suddetta nozione non comprende invece i servizi di comunicazione che forniscono informazioni specifiche o altri messaggi su richiesta individuale, come la telecopiatura, le banche di dati elettroniche e servizi analoghi». 
Analogamente, la Convenzione europea sulla televisione transfrontaliera, ratificata dall'Italia con l. n. 327 del 1991, prevede che per trasmissione s'intende «l'emissione primaria, via emittente terrestre, via cavo o ogni tipo di satellite, in forma codificata o non codificata di programmi televisivi destinati al pubblico in generale. Il termine suddetto non comprende i servizi di comunicazione che operano su richiesta individuale».

5 Cfr. in particolare l'ordinanza g.i.p. Trib. Latina, 7 giugno 2001

6 Cfr. g.i.p. Trib. Aosta, 5 febbraio 2002, n. 22

7 Cfr. sul punto, nello stesso senso, la precedente pronuncia di g.u.p. Trib. Oristano, cit.

8 Zeno-Zencovich , in La pretesa estensione alla telematica del regime della stampa: note critiche , in Dir. inform ., 1998, 15 ss.

9 Cass., sez. V, 27 dicembre 2000

10 Cfr. sul punto Scopinaro , Internet e delitti contro l'onore , in Riv. it. dir. proc. pen ., 2000, 641 ss.

11 cfr. in argomento diffusamente Galdieri , Teoria e pratica nell'interpretazione del reato informatico , Milano, 1997.

12Cfr. sul punto Mantovani , Diritto penale . Parte generale, 3a ed., Padova, 1992, 427, nonché Pagliaro , Principi di diritto penale , Milano, 1996, 502 ss.

13 Cfr., ex plurimis, Siniscalco Locus commissi delicti , in Enc. Dir. , 1974, XXIV, 1054 ss. 

14 Cfr. Cass., sez V, 27 dicembre 2000, cit.

15Cfr. sul punto Seminara , La pirateria su Internet e il diritto penale , in Riv. trim. dir. pen. econ., 1997, 106

16 Cfr., ex plurimis, Cass., sez. V, 17 febbraio 1989, in Giust. pen ., 1990, II, 413

17 Cfr. Picotti , Profili penali delle comunicazioni illecite via Internet , in Dir. inform. , 1999, 283 ss.

18 Cfr. Picotti , Il dolo specifico , Padova, 1993, 116, nonché Profili penali cit., 283 ss.