In principio fu l’anonimato. Ai suoi albori, infatti, Internet era una sterminata prateria selvaggia solcata da viaggiatori virtuali che, celando la propria identità, liberavano gli innumerevoli “io” che nascondevano in sé e che era impossibile estrinsecare nella vita reale. Chiunque avesse dimestichezza con tastiera e mouse poteva trasformarsi in un supereroe, la cui maschera è più o meno nota a tutti, ma la cui identità è avvolta dalle nebbie del fascino e del mistero. Confortate dalla spensieratezza dell’anonimato, però, queste incursioni nel cyberspazio hanno generato fenomeni che hanno gradualmente modificato le abitudini della nostra quotidianità, d’un tratto insidiata da truffe prima d’allora impensabili, improbabili amori via chat, trappole psicologiche, fino ad arrivare ad aberrazioni intollerabili come la pedopornografia on-line. Oggi, invece, a distanza di due decenni,  il paradigma internettiano sembra essere ribaltato, e l’anonimato ha lasciato il campo al suo antipodo, la sovraesposizione dell’identità. Ci si è presto resi conto, infatti, che Internet poteva concedere, pressoché a tutti, i propri cinque minuti di celebrità.: questa semplice constatazione ha spalancato le porte alla curiosità, al talento e, in dosi massicce, al presenzialismo di molti che per gioco, per caso o per vanità, hanno edificato un Matrix affollato di blog, pagine personali e, naturalmente, social network. Le reti sociali costituiscono, a vario titolo, il più contagioso fenomeno del momento, che fa nascere e sviluppare attorno a sé discussioni di ogni sorta, tra cui anche qualche dibattito sulla privacy legata agli iper-aggiornati profili degli utenti. Ma se proprio questi profili da un lato possono essere intesi come porte socchiuse attraverso le quali sbirciare la rappresentazione di una certa intimità del nostro “vicino”, dall’altro bisogna considerare che dietro queste porte spesso languono posticce scenografie idealizzate, che di intimo hanno ben poco se non la voglia di esserci e farsi guardare. Da tutti. E il fatto che la porta sia socchiusa, poi, non è che un invito malizioso a frugare intimità artificiali che non aspettano altro che essere “spogliate” - salvo poi rivelarsi in tutta la loro sterilità.
Non a caso i social network hanno agevolmente travalicato l’iniziale funzione di rete di comunicazione tra amici, colleghi e parenti, per trasformarsi in ammiccanti vetrine del sé che suggeriscono morbosi istinti di pornografica autoreferenzialità. Lo spirito apparentemente “tribale” di questi gruppi virtuali, infatti, è soppiantato dal narcisismo di ogni singolo membro. Gli iscritti al social network di turno,  grazie all’universalità e alla semplicità d’uso del mezzo Internet, diventano i migliori impresari di sé stessi, trasformando scrivanie, camerette e tavolini da bar in sofisticati laboratori industriali in cui assemblare micro-identità intercambiabili a seconda delle stagioni, dei giorni della settimana o degli umori del momento. Pertanto, pur essendo milioni, molti affiliati ai social network spesso vivono in un isolamento autorealizzante la cui corsa affannosa, anziché verso la comunicazione, vira presto verso la creazione a tavolino di un’immagine virtuale di sé che, in alcuni casi, può essere solo agognata nella vita reale.