In seguito all’entrata in vigore del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 marzo 2012, n. 27, il risarcimento del danno biologico del cosiddetto “colpo di frusta”, nei sinistri stradali, ha subito nelle prassi di liquidazione stragiudiziale un brusco decremento.
Tale intervento legislativo ha parzialmente modificato l’art. 139 del D.Lgs. 209/05 (Codice delle Assicurazioni), aggiungendo al secondo comma il seguente periodo: “In ogni caso, le lesioni di lieve entità, che non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo, non potranno dar luogo a risarcimento per danno biologico permanente”. Il comma 3 quater dell’art. 32 della L. 24 marzo 2012, n. 27 stabilisce, inoltre, il seguente principio: “Il danno alla persona per lesioni di lieve entità di cui all’art. 139 del codice delle assicurazioni private, di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, è risarcito solo a seguito di riscontro medico legale da cui risulti visivamente o strumentalmente accertata l’esistenza della lesione”.
Le successive prassi applicative, stragiudiziali sono state dirette a limitare o addirittura negare il risarcimento del danno per lesioni di lieve entità, sul presupposto di un’interpretazione in senso restrittivo dei criteri di valutazioni medico-legali del danno. In seguito, copiosa giurisprudenza di merito, pur tra qualche contrasto, ha applicato tali principi, evidenziando come la Legge n. 27/1012 non abbia in realtà modificato i criteri di valutazione scientifici, medico-legali, ad oggi ancora in vigore ed applicabili. In sintesi la formulazione di cui all’art. 139 del c.d.a. (codice delle assicurazioni private), così come integrato dalla L. n. 27/2012, non è indirizzata al giudizio tecnico del medico-legale, che continuerà a valutare il danno secondo i propri autonomi criteri scientifici (Giudice di Pace di Torino sentenza n. 8035/12 del 29 ottobre 2012, G.d.P. di Torino sentenza n. 8802/12 del 27 novembre 2012, G.d.P. di Treviso, sent. n. 774/12 dell’11 ottobre 2012 G.d.P. di Mascalucia, sent. 28 maggio 2012, G.d.P. di Padova, sent. n. 1443/12). Tale interpretazione è diretta a non avvallare soluzioni diversificate tra il sistema risarcitorio del danno alla persona in generale e le specifiche previsioni in materia di RC (responsabilità civile) auto, per evitare i profili di incostituzionalità nell’applicazione della nuova norma. L’intento del legislatore è stato interpretato pertanto più come un richiamo o un monito per valutare il danno biologico per lesioni di lieve entità nei sinistri stradali, con criteri più rigorosi di quanto sia stato fatto in precedenza. Lo scopo della legge, così come evidenziato nei lavori preparatori, è infatti di limitare le truffe assicurative e ridurre l’entità dei risarcimenti, al fine di abbassare i premi delle polizze assicurative ed allinearsi al resto dei paesi europei.
Senza entrare nel merito del raggiungimento o meno degli scopi prefissati dal legislatore, è tuttavia necessario evidenziare che il sistema risarcitorio del danno alla persona per lesioni di lieve entità e quello particolare previsto per la responsabilità civile derivante dalla circolazione di autoveicoli, presentano sistemi di calcolo del danno che, con riferimenti tabellari anche diversi, prevedono differenze risarcitorie e divari sempre più ampi.
Il medesimo tipo di lesione è, di fatto, valutato in modo differente in rapporto alle diverse circostanze del sinistro. Tale incongruenza è stata rilevata dalla giurisprudenza di merito. Il Tribunale di Tivoli, con ordinanza del 20 giuno 2012 ha sollevato questione pregiudiziale innanzi alla Corte di Giustizia UE, per verificare la compatibilità dell’art. 139 c.d.a., con la normativa comunitaria ovvero se, alla luce delle direttive 72/166/CEE, 84/5/CEE, 90/232/CEE e 2009/103/CE, che regolano l'assicurazione obbligatoria in materia di responsabilità civile derivante dalla circolazione di autoveicoli, sia consentito alla legislazione interna di uno Stato membro di prevedere - attraverso la quantificazione obbligatoria ex lege dei soli danni derivanti da sinistri stradali - una limitazione di fatto (sotto il profilo della quantificazione) della responsabilità per danni non patrimoniali posti a carico dei soggetti (le compagnie assicuratrici) obbligati, ai sensi delle medesime direttive, a garantire l'assicurazione obbligatoria per i danni da circolazione dei veicoli.
La Corte di giustizia con sentenza del 23 gennaio 2014 (Causa C-371/12) ha stabilito che: “Gli articoli 3, paragrafo 1, della direttiva 72/166/CEE del Consiglio, del 24 aprile 1972, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli, e di controllo dell’obbligo di assicurare tale responsabilità, e paragrafi 1 e 2, della seconda direttiva 84/5/CEE del Consiglio, del 30 dicembre 1983, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli, come modificata dalla direttiva 2005/14/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, devono essere interpretati nel senso che non ostano ad una legislazione nazionale come quella di cui trattasi nel procedimento principale, la quale prevede un particolare sistema di risarcimento dei danni morali derivanti da lesioni corporali di lieve entità causate da sinistri stradali, che limita il risarcimento di tali danni rispetto a quanto ammesso in materia di risarcimento di danni identici risultanti da cause diverse da detti sinistri”.
La sentenza della Corte di Giustizia rileva la compatibilità della norma interna (art. 139 c.d.a.) con la normativa comunitaria. Rimane tuttavia aperta la questione di diritto interno, sulle modalità applicative del nuovo dettato normativo. Sussistono infatti eccessivi margini di discrezionalità degli attori del sistema di accertamento, valutazione e liquidazione del danno, che creano evidenti disuguaglianze nelle fattispecie concrete.
La Corte di Giustizia, nella suddetta sentenza, ha tuttavia precisato un altro importante principio: “le direttive sarebbero private del loro effetto utile se una normativa nazionale, definita in base a criteri generali ed astratti, negasse alla vittima il diritto al risarcimento da parte dell’assicurazione obbligatoria per gli autoveicoli, ovvero limitasse tale diritto in misura sproporzionata” (in tal senso anche la sentenza della Corte di Giustizia del 9 giugno 2011, Causa C-409/09).
Attualmente i soggetti obbligati al risarcimento possono negare la liquidazione di un danno permanente per lesioni di lieve entità, ove le stesse non siano suscettibili di accertamento clinico, strumentale, obiettivo. A fondamento di tale valutazione vi è il giudizio medico-legale, di un perito fiduciario di parte. E’ davvero questo l’unico modo per ridurre i casi di frode assicurativa e di conseguenza abbassare il premio delle polizze assicurative. Tralasciando per un momento il possibile vaglio di costituzionalità della legge, sarebbe auspicabile un intervento chiarificatore del legislatore. Lo stesso dovrebbe infatti precisare quali siano le procedure e modalità di accertamento e liquidazione del danno che garantiscano, anche stragiudizialmente, un contraddittorio imparziale tra le parti e una limitazione alle interpretazioni unilaterali ed arbitrarie della norma, che non siano poi però prive di conseguenze. E’ evidente che ciò presuppone l’effettiva volontà del legislatore di intervenire contemperando i diversi interessi, parimenti legittimi, ma allo stato attuale contrapposti. E’ pertanto auspicabile un’opera di mediazione super partes, che porti a sintesi le diverse posizioni, attraverso interventi legislativi più specifici e meno legati ad interessi economici, che limitino la discrezionalità nell’interpretazione della norma.
(Altalex, 20 maggio 2014. Articolo di Federico Donini)