La legge 94 del 15 luglio 2009, rubricata “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica” ha introdotto numerose e spesso rilevanti modifiche al testo unico in materia di immigrazione e stranieri, d.lgs. 286/1998.

Di seguito si farà una rapida carrellata di tali modifiche.

Art. 4

Il comma 3 dell'art. 4, in tema di ipotesi di non ammissione in Italia dello straniero (e quindi di diniego di visto di ingresso), è stato integrato in modo da fugare taluni dubbi sorti nella precedente formulazione.

Così, anzitutto, si è specificato che anche la sentenza non definitiva (quindi ancora impugnabile) di condanna per determinati gravi reati impedisce l'ammissione in Italia, mentre prima, in assenza di tale specificazione, avrebbe potuto essere sostenuto che un tale effetto impeditivo, gravemente lesivo del diritto di circolazione dello straniero in Italia (ove per altro verso in possesso di tutti i requisiti di legge), non potesse che seguire solo in seguito a sentenza sulla quale si fosse formato il “giudicato”: interpretazione della norma questa niente affatto peregrina, e che appunto la modifica introdotta con la legge 94/2009 oggi esclude del tutto.

Tuttavia, l'estensione dell'effetto impeditivo anche alle sentenze non definitive viene esclusa per alcuni reati relativi alla violazione del diritto d'autore e ai marchi (legati più che altro alla fabbricazione e alla vendita di merce contraffatta), rispetto ai quali quindi la condanna penale potrà essere motivo per rifiutare l'ammissione nello Stato dello straniero solo se essa sarà diventata irrevocabile.

Art. 4 bis

Il legislatore, con intento programmatico (sono previsti dei tempi di “start up”), introduce nella normativa in materia di immigrazione l'art. 4 bis, rubricato “Accordo di integrazione”. Passato quasi inosservato ai commentatori, questo articolo contiene però degli elementi di dirompente novità.

Anzitutto (comma 1) vien dato un concetto di “integrazione”, definendolo come quel “processo finalizzato a promuovere la convivenza dei cittadini italiani e di quelli stranieri, nel rispetto dei valori sanciti dalla Costituzione italiana”.

Entro 6 mesi dall'entrata in vigore della legge 94 (ossia, entro gli inizi di febbraio 2010) dovrebbe essere adottato un regolamento interministeriale che stabilisca criteri e modalità per la sottoscrizione di un “Accordo di integrazione” da parte dello straniero.

Tale Accordo dovrebbe essere sottoscritto contestualmente alla presentazione della domanda di rilascio del permesso di soggiorno: la cosa non è di poca importanza, poiché la norma prevede che la mancata stipula dell'Accordo impedisce il rilascio del permesso di soggiorno. Ossia, un nuovo requisito in aggiunta a quelli già richiesti secondo le varie tipologie di permesso.

L'Accordo sarebbe articolato per crediti e prevedrebbe l'impegno dello straniero a raggiungere determinati obiettivi di integrazione nella società italiana, da conseguire entro il periodo di validità del permesso di soggiorno; la perdita dei crediti comporterebbe la revoca del permesso di soggiorno e l'espulsione dall'Italia.

Quindi, un nuovo requisito per ottenere il tanto agognato titolo che, almeno secondo l'ambizioso progetto sotteso alla novità normativa, dovrebbe favorire il virtuoso inserimento dello straniero nel tessuto comunitario italiano, a discapito invece di quanti vogliano conservare una forte identità di base astraendosi dalla vita quotidiana del Belpaese.

Progetto ambizioso, appunto, e nobile per certi aspetti; tuttavia si nutrono delle perplessità in ordine alla volontà, neanche tanto celata, di imporre nel giro di un anno una integrazione che non è detto non si possa raggiungere in un termine maggiore e, per altro verso, che se non viene raggiunta nulla esclude sulla legittimità della permanenza di uno straniero in Italia (ossia: se l'intento dello straniero è di lavorare onestamente, forse la mancanza di integrazione in un termine così breve non è una “inottemperanza” così grave da giustificare addirittura la revoca del permesso e l'espulsione – ammesso naturalmente che nel frattempo il permesso sia stato rilasciato).

Art. 5

In tema di rilascio del permesso di soggiorno o di suo rinnovo, sono state introdotte delle rilevanti modifiche all'art. 5 del testo unico.

La prima e più eclatante è quella relativa al pagamento di una nuova tassa (denominata “contributo”) di importo compreso fra un minimo di 80 e un massimo di 200 euro, quale requisito (insieme agli altri) per la presentazione della domanda (di rilascio del permesso o di suo rinnovo). Ad oggi, tuttavia, mancano ancora le indicazioni ministeriali sia circa la determinazione concreta dell'importo all'interno della detta “forbice”, sia circa le modalità di pagamento della nuova tassa. Inoltre, dovrà essere chiarito (la nuova norma introdotta nell'art. 5, ossia il comma 2 ter, è abbastanza ambigua e di infelice formulazione sul punto) se detta tassa si aggiunge ai costi che già adesso devono essere sostenuti in sede di presentazione della domanda (in genere: 14,62 euro per marca da bollo da applicarsi sul modello 209, 27,50 euro quale versamento su conto corrente postale al fine del rilascio del permesso su tesserino elettronico, 30 euro per il pagamento della assicurata con cui si invierà il modello 209 e l'acclusa documentazione al Centro Servizi di Roma) o se sarà sostitutiva degli stessi.

Peraltro, solo le domande di rilascio del permesso di soggiorno per asilo, per richiesta asilo, per protezione sussidiaria e per motivi umanitari, nonché per il rinnovo dello stesso sono escluse dal pagamento di detta tassa.

La nuova formulazione del comma 4 dell'art. 5 ha unificato il termine anticipatorio a partire dal quale si deve presentare domanda di rinnovo del permesso: se prima vi era una distinzione secondo la tipologia dello stesso in tre categorie, con termine rispettivo di 90, 60 e 30 giorni prima, adesso il termine è di 60 giorni prima della scadenza del permesso (fermo restando che è inveterata – e abusiva – abitudine di molti sportelli postali di rifiutare la richiesta di rilascio dei moduli quando mancano 60 giorni alla scadenza in quanto “non vi sarebbe urgenza” a presentare la domanda di rinnovo: è pur vero che la legge stabilisce che uno straniero versi in stato di irregolarità ove siano trascorsi 60 giorni DOPO la scadenza del titolo di soggiorno, ma questo ovviamente non implica che debba essere violato il comma 4 dell'art. 5, che prevede invece che la domanda di rinnovo venga presentata ALMENO 60 giorni PRIMA della scadenza del titolo stesso. Questo ovviamente la dice lunga sul perchè i tempi di espletamento delle pratiche di rinnovo siano comunque lunghi...).

La novellata versione del comma 8 bis dell'art. 5 punisce adesso (prima non era previsto) anche il solo utilizzo di un documento, contraffatto o alterato da altri, che consenta l'ingresso, il reingresso o il soggiorno in Italia. La pena, similmente all'ipotesi di contraffazione o alterazione, è della reclusione da uno a sei anni.

In proposito, si possono sin d'ora esprimere delle perplessità sul fatto di aver equiparato, ai fini della pena, la condotta di chi, per un innegabile fine di lucro, crei o modifichi ad arte un documento valido per entrare o soggiornare in Italia, a quella di chi semplicemente ne faccia uso (e magari, oltre che a sostenere un possibilmente rilevante onere economico per l'”acquisto” del titolo contraffatto o alterato, sia spinto a ricercare tale titolo dalla disperazione di cercare in Italia una maggior fortuna che in patria).

Art. 6

Aumentata la pena prevista all'art. 6 del testo unico per il caso dello straniero che non obbedisca all'ordine degli ufficiali e degli agenti di pubblica sicurezza, senza giustificarne il motivo, di esibire il proprio passaporto o altro documento che lo identifichi nonché il permesso di soggiorno o altro titolo di soggiorno in Italia: raddoppiata la pena dell'arresto (prima: fino a 6 mesi; ora: fino a 1 anno) e quasi quintuplicata la pena dell'ammenda, che è applicata congiuntamente alla prima (si passa da un massimo di 413 euro ad un nuovo massimo di 2000 euro).

Art. 9

Nuovo requisito (che si assomma a quelli già previsti in precedenza) per ottenere il rilascio del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, ex art. 9 del testo unico (la precedente “carta di soggiorno”, avente validità a tempo indeterminato): adesso occorrerà superare un test sulla conoscenza della lingua italiana da parte del richiedente il permesso in questione.

Le modalità di svolgimento del test saranno oggetto di un provvedimento congiunto del Ministero dell'Interno e del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, ad oggi non ancora emanato.

Artt. 10 bis e 16

Introdotto il nuovo art. 10 bis in tema di ingresso e soggiorno illegale dello straniero in Italia.

Viene punito l'ingresso o il soggiorno in Italia in stato di irregolarità, sia se questo venga riferito ad un soggiorno superiore che inferiore ai 90 giorni: la pena è dell'ammenda fra 5000 e 10000 euro (si nutrono forti perplessità sulle possibilità concrete di recupero di tale ammenda da parte dello Stato, considerato che statisticamente l'ingresso illegale avviene ad opera di chi non ha mezzi economici; è giocoforza che la maggior parte di tali pene sia destinata a convertirsi in pena reclusiva, con conseguente affollamento delle carceri o inesecuzione dell'ordine di arresto; peraltro, la severità del legislatore in questa ipotesi – che, si ricorda, non riguarda un pericoloso criminale, ma una persona che, spesso per ragioni di sopravvivenza, decide di affrontare un viaggio rischioso per entrare in una terra per lui più ospitale e piena di opportunità – appare davvero draconiana, se si considera che allo straniero condannato per immigrazione clandestina non è consentito neanche di accedere all'oblazione e quindi di poter contenere nei limiti del possibile il peso della pena pecuniaria... insomma, al legislatore interessa decisamente condannare il clandestino).

Con il reato introdotto dall'art. 10 bis, peraltro, il legislatore ha attuato una sorta di graduazione fra le varie situazioni di immigrato privo di titolo di soggiorno: mentre colui che riesce a “farla in barba” alla polizia di frontiera viene punito, logicamente stessa sorte non segue chi venga “beccato” alla frontiera prima di riuscire a entrare illegalmente. Viene da chiedersi però se a questo punto il tentativo, ancorchè teoricamente idoneo nonché chiaramente volto ad ottenere di entrare illegalmente, possa essere punito (ovviamente, con lo “sconto” di pena che l'art. 56 del codice penale prevede per tutte le ipotesi di reati solo tentati e non consumati), atteso che un tentato ingresso clandestino che venga impedito dalla polizia di frontiera equivale, effettivamente, all'ipotesi che secondo il comma 2 dell'art. 10 bis del testo unico non è comminabile con la medesima sanzione di cui al comma 1.

Continuando con la disamina del nuovo reato, si è stabilito che l'esecuzione dell'ordine di espulsione che consegue all'accertamento del reato medesimo non è subordinata, come sarebbe normalmente, al rilascio del nulla osta all'espulsione emesso dal giudice di pace penale: vi è solo una comunicazione “a posteriori” da parte del questore che esegue l'espulsione, indirizzata appunto al giudice e successiva all'esecuzione dell'espulsione in parola.

Al giudice, in questo senso, successivamente all'accertamento del reato, residua una funzione meramente “notarile”, in quanto (comma 5) preso atto dell'avvenuta esecuzione pronuncia sentenza di non luogo a procedere; tuttavia, se lo straniero rientra in Italia dopo l'espulsione prima del termine previsto (generalmente 10 anni, ma in questo caso potrebbe anche essere compresa fra 5 e 10 anni: si veda in proposito infra la modifica apportata all'art. 16 del testo unico), il giudice può essere chiamato a decidere sulla concedibilità dell'espulsione per il precedente caso di immigrazione clandestina, in quanto ritorna “in auge” la condizione di procedibilità nei confronti dello straniero (sua presenza sul territorio italiano) che in precedenza era venuta a mancare appunto per l'avvenuta esecuzione dell'ordine di espulsione.

Altra situazione in cui il giudizio penale nei confronti dell'immigrato clandestino per il rilascio del nulla osta all'espulsione può non aver seguito è quella della concessione della protezione internazionale in favore dello straniero in parola: la proposizione della domanda intesa a ottenere quella protezione comporta la sospensione del giudizio, la concessione della protezione (o comunque del permesso di soggiorno per motivi umanitari) invece importa, similmente a quanto visto sopra, che venga pronunciata sentenza di non luogo a procedere in favore dello straniero.

L'art. 10 bis così introdotto va letto in combinato disposto con il comma 1 dell'art. 16, riguardante il caso dell'espulsione comminata dal giudice penale quale sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione, integrato con alcune aggiunte appunto per tener conto del nuovo reato di immigrazione clandestina.

In questo modo, è dato comprendere che se, successivamente all'accertamento del reato, l'ordine di espulsione dello straniero può avere immediata esecuzione (non solo, come si è visto ex art. 10 bis, perchè ciò è consentito fare al questore pur in assenza del nulla osta del giudice, ma anche perchè non vi sono le cause ostative previste dall'art. 14 comma 1 del testo unico: ad esempio perchè lo straniero deve essere soccorso, o devono approfondirsi gli accertamenti sulla sua identità o nazionalità o sui suoi documenti di viaggio, o perchè non vi è al momento il vettore che debba trasportarlo in patria), la pena dell'ammenda vista sopra, non potendo essere eseguita concretamente (lo straniero non è più coercibile finanziariamente in quanto non presente sul territorio nazionale), verrà convertita nella misura dell'espulsione che impedirà allo straniero di rientrare in Italia (pur in possesso di documenti regolari e di un titolo di soggiorno) prima di almeno 5 anni.

Art. 12

Importanti modifiche per l'art. 12, che contiene disposizioni contro l'immigrazione clandestina.

Al comma 1 sono stati specificati gli “atti diretti a procurare l'ingresso in Italia” di uno straniero, lasciando appunto la vecchia dizione generica “atti diretti” come formula di chiusura e comprensiva di eventuali ipotesi non disciplinate con la novità di legge. I detti atti consistono in condotte che favoriscono il trasporto (quindi l'ingresso) in Italia dello straniero (ovviamente privo di un titolo di soggiorno regolare e eludendo i controlli alla frontiera), ossia nel “promuovere, dirigere, organizzare, finanziare o effettuare” il detto trasporto.

E' bene chiarire che la precedente norma che puniva chi compiva “atti diretti” a procurare l'ingresso in Italia dello straniero era ambigua sotto il profilo di una possibile (e pericolosa) interpretazione secondo cui veniva punito chi, appunto, compiva quegli atti affinchè avvenisse il detto ingresso senza che, però, rilevasse che l'ingresso fosse illegale o meno: interpretazione evidentemente possibile a causa di una non chiara formulazione della norma e che ora è stata decisamente fugata: è punito chi compie gli atti descritti solo se essi sono protesi a favorire l'ingresso illegale dello straniero.

Confermata peraltro l'estensione della punibilità (in base all'applicazione del principio di nazionalità del colpevole) anche verso chi compia tali atti illegali per favorire l'ingresso dello straniero anche in altri Stati di cui questi non sia cittadino o in cui non possa risiedere.

La parte di sanzione espressa in forma pecuniaria ora è prevista in misura fissa (15000 euro per ogni persona fatta entrare illegalmente), mentre prima era prevista in misura massima (fino a 15000 euro per ogni persona).

Il comma 3, che contempla una sorta di ipotesi base aggravata rispetto a quella di cui al comma 1, è stato profondamente rivisto. Anzitutto, come per il comma 1, si è inteso sia specificare gli atti diretti a favorire l'immigrazione dello straniero in Italia (e non solo), sia specificare che l'ingresso dello stesso deve essere illegale.

In secondo luogo, non è più necessario che la condotta di chi favorire l'ingresso clandestino sia connotata da uno scopo di profitto “anche indiretto”, forse per eliminare il rischio di una prova non sempre agevolmente rinvenibile e in ogni caso inutile se si pensa che la condotta descritta, sia nella versione base del comma 1, sia in quella per c.d. “aggravata” del comma 3, implica di per sé che vi possa essere un profitto da parte di chi tanto si adoperi per favorire l'ingresso per di più illegale.

In terzo luogo è stato aumentato il minimo di pena di reclusione, che passa da 4 a 5 anni.

Inoltre, le ipotesi punite dal comma 3 altro non sono che le precedenti aggravanti (rispetto al comma 3) previste dal successivo comma 3 bis, ossia: l'ingresso o permanenza illegale in Italia di 5 o più persone; l'esposizione a pericolo della vita o incolumità della persona trasportata (si pensi ai tristemente noti “barconi” che trasportano persone alle volte aggrappate a parti degli stessi, a rischio di cadere in acqua); la sottoposizione a trattamenti inumani o degradanti della persona trasportata (nel medesimo esempio, chi si ritrovi stipato in luoghi angusti durante il trasporto); la commissione del reato da 3 o più persone, che concorrino fra loro o si valgano di servizi di trasporto per c.d. “di linea” o di documenti contraffatti, alterati o detenuti fuori delle ipotesi concesse dalla legge; la disponibilità da parte del reo di armi o esplosivi.

Il comma 3 bis, svuotato delle ipotesi “aggravate” ora trasposte nel comma 3, prevede pur sempre un aggravamento di pena (in forma generica) rispetto a quest'ultimo, ma nella mera forma del concorrere di 2 o più fra le ipotesi di cui al comma 3.

Il comma 3 ter prevede un'ulteriore serie di aggravanti (con pena che può essere aumentata da 1/3 a ½ della pena applicata in base al comma 3), fra cui si segnala il fine di profitto anche indiretto (che quindi, come si è detto, per possibili difficoltà probatorie si è inteso eliminare dalla condotta base; ma militano nel giustificare la scelta del legislatore anche ragioni di inasprimento, dato che ora il fine di profitto anche indiretto può portare la pena del comma 3 ad una forbice 6-20 anni e 20000 euro a persona con l'aumento di 1/3 e 7,5-22,5 anni e 22500 euro a persona con l'aumento di ½).

Il comma 4, che originariamente prevedeva per le ipotesi dei commi 1 e 3 l'arresto obbligatorio se in flagranza di reato e la confisca del mezzo di trasporto utilizzato (anche in caso di patteggiamento della pena), ora è stato suddiviso in due commi distinti, il comma 4 che prevede il solo arresto e il nuovo comma 4 ter che invece prevede la confisca. Peraltro il nuovo comma non prevede la precedente esclusione del giudizio direttissimo nell'ipotesi che si fossero rese “necessarie speciali indagini”: adesso in caso di flagranza di reato si procede sempre a giudizio direttissimo, in ossequio a quanto previsto generalmente in tema di flagranza dal codice di procedura penale.

Ulteriore comma introdotto è il comma 4 bis, che stabilisce la misura preventiva della custodia cautelare in carcere se sussistano i “gravi indizi di colpevolezza” di cui ai reati descritti al comma 3, salvo che le esigenze di cautela (pericolo di fuga, pericolo di inquinamento prove, pericolo di reiterazione del reato) non siano escluse dagli elementi acquisiti dagli inquirenti.

Il comma 5 bis, che punisce la cessione ad uno straniero in stato di irregolarità di soggiorno, della disponibilità di un alloggio, se fatta a titolo oneroso e per trarre un ingiusto profitto (va inteso quindo come un profitto che non trovi giustificazione nella mera cessione dell'alloggio ma che costituisca all'evidenza uno “sfruttamento” del bisogno alloggiativo dello straniero; fra l'altro, si parla di “profitto” e non di “lucro”, per cui può trattarsi anche dell'ottenimento di un favore personale indebito o di un favore sessuale), adesso da un lato restituisce il “sonno” a quanti, in buona fede, avevano concesso in locazione (regolare) un proprio immobile ad uno straniero con titolo di soggiorno valido al momento della stipula del contratto (infatti, viene specificato che si deve far riferimento al momento in cui il contratto è stato stipulato, non rilevando quindi che successivamente lo straniero si sia ritrovato in stato di irregolarità), ma da altro lato tende a rendere più “vigili” i locatori in quanto la verifica da parte loro sul possesso di un valido titolo di soggiorno da parte del loro conduttore dovrà ripetersi se e quando procederanno al rinnovo del contratto.

Art. 19

Il permesso di soggiorno per motivi familiari ai sensi dell'art. 19 del testo unico adesso può essere rilasciato in favore dello straniero che conviva con un parente fino al secondo grado di nazionalità italiana. Prima la parentela ammessa era fino al quarto grado.

Ossia, maglie più strette per ottenere il permesso: se prima poteva essere utile avere uno zio o un cugino italiani, adesso la parentela utile è quella con un genitore, un nonno, un nipote (del quale si sia nonni) o un fratello.

Art. 22

Con il comma 11 bis introdotto nell'art. 22 del testo unico fa ingresso nella normativa in materia una nuova ipotesi di conversione dal permesso di soggiorno per motivi di studio a motivi di lavoro, dipendente dall'aver conseguito in Italia il dottorato o un master universitario di secondo livello (in costanza naturalmente degli altri requisiti per ottenere il permesso di soggiorno per motivi di lavoro).

Tuttavia, sempre il comma 11 bis prevede che, se non ricorrano i requisiti per ottenere la detta conversione, alla scadenza del permesso di soggiorno per motivi di studio lo straniero potrà comunque essere iscritto nell'elenco anagrafico di cui all'art. 4, dpr 442/2000 (ossia, le ex liste di collocamento) per 12 mesi (e quindi, anche se questo il nuovo comma non lo dice espressamente, chiedere il permesso di soggiorno per attesa occupazione, che avrà evidentemente la stessa durata dell'iscrizione all'elenco anagrafico).

Art. 27

Per quanto riguarda i lavoratori stranieri appartenenti alle categorie dei dirigenti o personale altamente specializzato di società, anche estere, con sedi in Italia, dei professori universitari che debbano svolgere un incarico accademico in Italia o dei lavoratori alle dipendenze di organizzazioni o imprese che operino in Italia (ammessi in distacco, per l'adempimento di particolari compiti, presso una società italiana), è prevista ora ai sensi del nuovo comma 1 ter dell'art. 27 del testo unico la sostituzione del nulla osta con una mera comunicazione del datore di lavoro circa la proposta di stipula del contratto di soggiorno per motivo di lavoro subordinato.

Detta comunicazione si presenta per via telematica allo sportello unico per l'immigrazione; quest'ultimo trasmette la comunicazione al questore affinchè questi verifichi che non esistano motivi impeditivi dell'ingresso dello straniero; se la verifica del questore ha esito positivo, la comunicazione viene inviata, sempre telematica, all'ambasciata o consolato competente, che rilascerà poi il visto di ingresso.

A quel punto, entro 8 giorni dal proprio ingresso in Italia, lo straniero si recherà presso lo sportello unico per l'immigrazione, dove insieme al datore di lavoro sottoscriverà il contratto di soggiorno e chiederà il rilascio del permesso di soggiorno.

Tuttavia, la possibilità di sostituire la richiesta di nulla osta con la detta comunicazione sarà appannaggio solo di quei datori di lavoro che avranno sottoscritto con il Ministero dell'Interno, un c.d. “protocollo di intesa”, con il quale daranno garanzia di avere sufficienti risorse economiche e di osservare il contratto collettivo di lavoro della categoria alla quale apparterrà il lavoratore straniero.

Art. 29

In tema di ricongiungimento familiare (sia per l'ipotesi ordinaria, sia per le ipotesi speciali: ad esempio ricongiungimento dei familiari del rifugiato politico o del ricercatore scientifico), l'art. 29 è stato riformulato anzitutto nel senso di escludere che la famiglia la cui unità e ricomposizione in Italia il detto istituto tutela sia quella bigamica. Ossia, il nuovo comma 1 bis ha chiarito che se il richiedente è bigamo non gli è possibile chiedere di ricongiungere a sé in Italia, dopo il primo coniuge, anche il secondo (e il terzo, e il quarto...); se invece il richiedente intende ricongiungere in Italia il proprio genitore, ciò sarà possibile a patto che quest'ultimo non sia bigamo. Non solo, ma se la bigamia venisse scoperta successivamente dalle autorità ciò sarebbe motivo per provvedere nel senso di revocare il permesso di soggiorno conseguito nel frattempo.

Inutile dire che tale novità appare foriera di polemiche soprattutto nelle comunità islamiche in Italia, potendosi sostenere una forma di discriminazione verso chi, nel proprio Paese, legittimamente può accedere alla bigamia. Tuttavia, appare altresì come una chiarificazione del genere interviene a tutelare un valore giuridico (ancor prima che morale) del nostro ordinamento, al quale lo straniero bigamo non può sottrarsi. Insomma, la bigamia impedisce il ricongiungimento familiare.

In proposito, va detto che la circolare 4820 del 27/08/2009 del Ministero dell'Interno, emanata a 19 giorni dall'entrata in vigore della legge 94/2009, ha indicato i requisiti documentali occorrenti per dimostrare l'assenza del detto impedimento ai fini di domandare il ricongiungimento o del proprio coniuge o del proprio genitore (in aggiunta, naturalmente, agli altri requisiti già previsti): nel caso di ricongiungimento del primo, si tratta dello stato di famiglia del richiedente rilasciato dal comune italiano di residenza, dal quale stato evidentemente risulterà il solo richiedente ma non un coniuge (inteso naturalmente come persona diversa dal coniuge da ricongiungere); nel caso di ricongiungimento del genitore, si tratta del certificato di matrimonio di quest'ultimo, da cui risulti il nome del coniuge del genitore: verranno poi eseguiti degli accertamenti per appurare che il genitore non risulti coniugato con persona diversa da quella che risulti nel detto certificato.

Altra importante modifica riguarda la dimostrazione del requisito dell'idoneità alloggiativa, ai fini di poter ospitare il familiare da ricongiungere: d'ora in poi la competenza a rilasciare il relativo certificato sarà solo dell'ufficio tecnico comunale (prima, potevano anche le ASL competenti territorialmente).

Si segnala poi che, per l'ingresso in Italia per ricongiungimento al figlio minore:

- l'ipotesi è limitata al caso che il figlio soggiorni regolarmente con l'altro genitore

- il genitore che intende ricongiungersi deve possedere già al momento del suo ingresso i requisiti di alloggio e reddito previsti dalla legge (mentre tale verifica in precedenza era postergata fino all'anno successivo dal suo ingresso)

- tenendo conto delle prevedibili difficoltà del genitore a possedere detti requisiti già al suo ingresso (se appartenente alla categoria del “migrante economico”), il legislatore ha ritenuto che si potrà assommare alla situazione (alloggiativa e reddituale) dello straniero anche quella dell'altro genitore già presente in Italia con il figlio minore.

Ultima modifica dell'art. 29, al comma 8, riguarda il termine entro cui il nulla osta al ricongiungimento familiare (propedeutico alla successiva richiesta di visto di ingresso prima e del permesso di soggiorno per motivi familiari poi) deve essere rilasciato.

Vicenda questa assai travagliata, a causa delle enormi difficoltà passate (e tuttora irrisolte, nonostante l'introduzione della modalità telematica per la presentazione delle domande) a rispettare il termine di legge per il rilascio del nulla osta:

- inizialmente, quando la presentazione della domanda avveniva con modalità cartacea, era possibile ottenere il visto di ingresso trascorsi 90 giorni dalla consegna dei documenti a corredo della domanda; ma poiché tale consegna era possibile solo dopo la convocazione da parte dello sportello unico per l'immigrazione, passavano mesi dalla presentazione della domanda prima che la consegna avvenisse; sicchè taluni percorsero la via di inviare per raccomandata con avviso di ricevimento sia la domanda sia i documenti, in modo da ottenere la prova certa della data di acquisizione dei documenti, aggirando l'inefficienza dell'ufficio prefettizio;

- introdotta poi la modalità telematica di presentazione della domanda, venne però escluso che contestualmente alla stessa si potessero allegare i documenti (nonostante ciò sia tecnicamente possibile in generale), ripristinando quindi il filtro di tempi di attesa non determinabili prima di poter consegnare i documenti e quindi far decorrere i fatidici 90 giorni;

- per di più, il legislatore ha successivamente raddoppiato detto termine, portato quindi a 180 giorni.

Con l'ultima modifica in commento si è stabilito (con valenza per le domande presentate dopo l'entrata in vigore della legge 94/2009) che il nulla osta debba essere rilasciato entro e non oltre 180 giorni dalla richiesta, il che significa due cose:

- che il termine decorre dalla presentazione della domanda e non più dalla consegna dei documenti;

- che tuttavia è stato eliminato il riferimento al fatto che, superato tale termine, ci si possa poi rivolgere all'ambasciata per chiedere il rilascio del visto di ingresso.

Tuttavia, quest'ultima conclusione (che di fatto renderebbe non sanzionata l'inefficienza dell'ufficio prefettizio nel dar corso alla domanda di nulla osta) potrebbe essere superabile con la considerazione che il nuovo comma 8 in effetti, così come formulato, costituisca una ipotesi al cui negativo avveramento si avrebbe il silenzio-assenso della pubblica amministrazione sulla richiesta di nulla osta: ossia, superato il detto termine, in via silente la prefettura avrebbe concesso il nulla osta. Sarebbe quindi sufficiente presentare all'ambasciata competente, insieme alla domanda di visto e agli altri documenti previsti, anche copia cartacea della domanda telematica di nulla osta e della ricevuta generata automaticamente dal sistema dopo la presentazione della domanda, la prima al fine di confermare che la persona di cui si sia richiesto il ricongiungimento sia la stessa che presenta domanda di visto e la seconda per evidenziare la data in cui la domanda telematica è stata presentata e quindi il decorso dei 180 giorni.

Art. 14 bis

In seguito all'istituzione della tassa-contributo per la presentazione delle domande di primo rilascio o di rinnovo del permesso di soggiorno (per la quale si rimanda a quanto descritto sopra a proposito delle novità dell'art. 5 del testo unico), è stato pure parimenti istituito presso il Ministero dell'interno, con l'introduzione dell'art. 14 bis nel testo unico, un “Fondo rimpatri” destinato al finanziamento delle spese di rimpatrio degli stranieri verso i Paesi di origine o di loro provenienza.

Il Fondo verrà finanziato in parte con metà del ricavato della tassa-contributo, in parte con eventuale contribuzione dell'Unione Europea destinata ai fini del fondo.

Quanto all'altra metà del ricavato della tassa di cui all'art. 5, la stessa va a coprire le spese amministrative del Ministero per l'istruzione delle pratiche di rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno.