Per rito sommario di cognizione, si intende il procedimento regolato dalle norme del capo III bis del
titolo I del libro quarto del codice di procedura civile.
Ciò posto, si provvede qui di seguito ad esporre un succinto commento sulle disposizioni in esame.

Art. 16 del D.Lgs. n. 150/2011
Tale disposizione va ad impattare sulle controversie relative al mancato riconoscimento del diritto
di soggiorno sul territorio nazionale in favore dei cittadini degli altri Stati membri dell’Unione
europea o dei loro familiari. Al di là del passaggio inerente al richiamo al principio regolatore del
rito sommario di cognizione, l’intelaiatura giuridica del nuovo comma 1 dell’art. 8 del D.Lgs. n.
30/2007, che fa perno sull’art. 16 del D.Lgs. n. 150/2011, rimane sostanzialmente invariata, rispetto a quella contemplata nella versione previgente.

Art. 17 del D.Lgs. n. 150/2011
Tale disposizione va ad impattare sulle controversie in materia di allontanamento dei cittadini degli
altri Stati membri dell’Unione europea o dei loro familiari. A seguito della modifica, il termine
previsto per la proposizione del ricorso, decorrente dalla notificazione del provvedimento, è stato
portato da 20 a 30 giorni (ove il ricorrente risieda in Italia), ovvero a 60 giorni qualora il ricorrente si
trovi all’estero. Inoltre si provvede ad introdurre il principio regolatore imperniato sul rito sommario
di cognizione.

Art. 18 del D.Lgs. n. 150/2011
Tale disposizione va a impattare sulle controversie in materia di espulsioni prefettizie.
Come detto nella premessa, si provvede ad introdurre il principio regolatore imperniato sul rito
sommario di cognizione.
Viene lasciata invariata la competenza del giudice di pace, mentre, per quanto concerne il
termine di impugnativa viene ora operato un distinguo.
A differenza del passato, ove era previsto un unico termine pari a 60 giorni decorrente dalla data
del provedimento di espulsione, ora viene stabilito un doppio termine, a seconda che il ricorrente si
trovi o no sul territorio nazionale.
L’art. 18, al comma 3, prevede infatti che il ricorso debba essere proposto, a pena di
inammissibilità, entro 30 giorni dalla notificazione del provvedimento, ovvero entro 60 giorni se il
ricorrente risiede all’estero.
Pertanto, se non vi è dubbio alcuno sulla individuazione della tipologia dei ricorrenti rientranti nel
termine dei 60 giorni (coloro che stanno all’estero), si avrebbe fondato motivo di ritenere che,
seppur non espressamente indicato nella norma ma procedendo per esclusione, il termine dei 30
giorni vada invece, applicato, per differenza, nei confronti di coloro che risiedono sul territorio
italiano.
Ricapitolando, il termine di impugnazione è di 30 giorni, allorché il ricorrente si trovi in Italia, è
invece di 60 giorni, allorché il ricorrente risieda all’estero. Tali termini (30 e 60 giorni) decorrono,
ambedue ed a pena di inammissibilità, dalla notificazione del provvedimento di espulsione.
Viene altresì espressamente previsto che il ricorso può essere depositato anche a mezzo del servizio
postale.
Si conferma l’inappellabilità della decisione del giudice di pace, ferma restando (nonostante la
formale abrogazione dell’art. 13 bis, D.Lgs. 286/1998) la possibilità del ricorso per Cassazione anche
alla luce dell’art. 111, comma 7, Cost., in base al quale contro le sentenze e contro i provvedimenti
sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso
ricorso in cassazione per violazione di legge.

Art. 19 del D.Lgs. n. 150/2011
Tale disposizione va a incidere sulle controversie in materia di riconoscimento della protezione
internazionale e, in particolare, sulle impugnazioni avverso i dinieghi emessi dalle commissioni
territoriali.
Anche qui si stabilisce il principio regolatore del rito sommario di cognizione, nonché si provvede a
ridefinire il meccanismo “composto” legato ai termini di impugnazione.
Mentre, nel passato, era previsto un unico termine, strutturato sui 30 ovvero sui 15 giorni e
decorrente dalla comunicazione del diniego disposto dalla commissione territoriale, a seconda
che il ricorrente non rientrasse ovvero rientrasse nelle ipotesi di accoglienza o trattenimento, ora, a
seguito della modifica, si sancisce un termine “bivalente”, decorrente dalla notificazione del
provvedimento di rigetto della commissione territoriale, suddiviso a seconda che il ricorrente risieda
o no sul territorio nazionale (come già visto per l’art. 18) e con in più l’aggiunta dell’ulteriore
distinguo costruito sulla assenza o presenza delle soprarichiamate ipotesi di accoglienza o
trattenimento.
Viene stabilito ora, infatti, che nella prima ipotesi (ricorrente in Italia), il termine è di 30 giorni,
mentre nella seconda (ricorrente all’estero), il termine è di 60 giorni, ed ambedue i termini
decorrono dalla notificazione del provvedimento di rigetto della commissione territoriale. Ciò, però,
nell’ipotesi in cui non si verta nei casi di accoglienza o trattenimento.
Viceversa, qualora si verta nei casi di accoglienza o di trattenimento, il termine per ricorrere si
riduce della metà e, passa, rispettivamente, a 15 giorni, ove il ricorrente risieda in Italia, ovvero a 30
giorni, ove il ricorrente risieda all’estero.
Viene altresì previsto che il ricorso può essere depositato anche a mezzo del servizio postale e, nel
contempo, si lascia invariata sia l’autorità giudiziaria competente presso cui ricorrere (tribunale, in
composizione monocratica, del capoluogo del distretto di corte di appello in cui ha sede la
commissione territoriale), sia la preclusione ostativa alla sospensione automatica dell’efficacia
esecutiva del provvedimento impugnato, allorché si registri la presenza di talune circostanze
impeditive.
Si conferma, infatti, che la proposizione del ricorso non genera la sospensione automatica, allorché
il gravame venga proposto:
a) da colui che, ha presentato la domanda, dopo essere stato fermato per aver eluso o
tentato di eludere il controllo di frontiera o subito dopo, ovvero dopo essere stato fermato
in condizioni di soggiorno irregolare, ovvero da colui che risulta trattenuto in un centro di
identificazione ed espulsione;
b) avverso il provvedimento adottato dalla commissione territoriale che dichiara inammissibile
la domanda di protezione internazionale;
c) avverso il provvedimento adottato dalla commissione territoriale, nell’ipotesi di
allontanamento del richiedente, dal centro di accoglienza o dal centro di identificazione
ed espulsione, senza giustificato motivo;
d) avverso il provvedimento adottato dalla commissione territoriale che ha dichiarato la
domanda di protezione internazionale manifestamente infondata, per palese insussistenza
dei presupposti originari previsti, ovvero perché presentata al solo scopo di ritardare o
impedire l’esecuzione di un provvedimento di espulsione o di respingimento.
Nei casi di cui sopra, l’unico rimedio, al pari di quanto previsto in passato, consta nella
presentazione di una apposita istanza di sospensione, che, se accolta dal tribunale, secondo le
modalità stabilite dall’art. 5 del D.Lgs. n. 150/2011, consente di ottenere il rilascio di un permesso di
soggiorno per richiesta di asilo nonché l’accoglienza in un centro di accoglienza richiedenti asilo.

Art. 20 del D.Lgs. n. 150/2011
Tale disposizione va a impattare sui procedimenti di opposizione al diniego del nulla osta al
ricongiungimento familiare e del permesso di soggiorno per motivi familiari, nonchè agli altri
provvedimenti dell’autorità amministrativa in materia di diritto all’unità familiare.
Al di là del passaggio inerente al richiamo al principio regolatore del rito sommario di cognizione,
l’intelaiatura giuridica del nuovo comma 6 dell’art. 30 del D.Lgs. n. 260/1998, che fa perno sull’art. 20 del D.Lgs. n. 150/2011, rimane sostanzialmente invariata, rispetto a quella contemplata nella
versione previgente.

Art. 34 del D.Lgs. n. 150/2011
Al fine di incastrare le disposizioni contenute negli artt. da 16 a 20 del D.lgs. n. 150/2011 e dare così
un criterio di coerenza alle norme, qui modificate, facenti parte del D.Lgs. n. 286/1998, del D.lgs. n.
30/2007 e del D.Lgs. n. 25/2008, l’art. 34 del D.Lgs. n. 150/2011, nei commi da 18 a 21, ha
provveduto ad effettuare modificazioni ed abrogazioni, specificatamente tarate su ogni singola
disposizione normativa intaccata.
Nello specifico,
A) con riferimento al D.Lgs. n. 30/2007, si è provveduto a:
· sostituire il comma 1 dell’art. 8;
· sostituire i commi da 2 a 4, nonché ad abrogare il comma 5 dell’art. 22;
B) con riferimento al D.Lgs. n. 286/1998, si è provveduto a:
· modificare i commi 5-bis e 8 dell’art. 13, il comma 4 dell’art. 14, nonché il
comma 6 dell’art. 30;
· disporre l’abrogazione dell’intero art. 13-bis;
C) con riferimento all’art. 35 del D.Lgs. n. 25/2008, si è provveduto a disporre le modifiche
sui commi 1 e 2 e, contestualmente, ad abrogare i previgenti commi da 3 a 14.

Art. 36 del D.lgs. n. 150/2011
Tale articolo tratta delle disposizioni transitorie. Il primo comma stabilisce che le disposizioni del
D.Lgs. n. 150/2011 si applicano ai procedimenti instaurati successivamente alla data di entrata in
vigore del predetto D.Lgs. (6 ottobre 2011). Il secondo comma, invece, stabilisce che le norme
abrogate o modificate dal D.Lgs. n. 150/2011 continuano ad applicarsi alle controversie pendenti
alla data del 6 ottobre 2011.
La norma di cui sopra regolamenta quindi tutte quelle ipotesi a cavallo fra vecchia e nuova
normativa.
A titolo esemplificativo, si può immaginare un provvedimento di espulsione emesso con la vecchia
normativa e notificato prima del 6 ottobre 2011, ad esempio il 4 ottobre 2011.
Pertanto, atteso che per effetto del vecchio termine di impugnazione (60 giorni) vi è pendenza alla
data del 6 ottobre 2011, tale termine sarà quello da prendere a riferimento ai fini della tempestività
del gravame.
Ipotesi, ben diversa, allorchè un provvedimento di espulsione, emesso in costanza della vecchia
normativa, venga però notificato dopo il 6 ottobre 2011, ad esempio l’8 ottobre 2011. In tal caso, si
applicheranno i nuovi termini di impugnazione previsti dall’art. 18, comma 3, del D.Lgs. n. 150 2011,
ovvero, a decorrere dalla data di notifica, 30 giorni (se il ricorrente risiede in Italia) piuttosto che 60
giorni (se il ricorrente risiede all’estero).