La Corte di Cassazione con la Sentenza n. 15566/10 (confermata anche dalle sentenze n. 14824 e 14825 del 05.07.2011) ha ritenuto che, sotto il profilo sia letterale che sistematico delle disposizioni di legge, essendo la proprietà immobiliare indivisa e nell’esclusivo possesso della persona munita della qualifica di coltivatore diretto, sussiste il requisito oggettivo per il riconoscimento del trattamento I.C.I. più favorevole nei confronti degli altri comproprietari che su detto immobile non esercitano alcuna attività agricola, statuendo che: “In tema di I.C.I., l’art. 2, comma 1, lett. b) del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, nel considerare agricolo un terreno, pur suscettibile di utilizzazione edificatoria, a condizione che sia posseduto e condotto dai soggetti indicati nel comma 1 dell'art. 9 (coltivatori diretti od imprenditori agricoli) e che persista l’utilizzazione agro-silvo-pastorale mediante l'esercizio di attività dirette alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, alla funghicoltura ed all'allevamento di animali, si riferisce ad una situazione incompatibile con la possibilità dello sfruttamento edilizio dell'area, avente carattere oggettivo, e pertanto, nel caso di comunione di un fondo edificabile in cui persiste la predetta utilizzazione da parte di uno solo dei comproprietari, trova applicazione non solo al comproprietario coltivatore diretto, ma anche agli altri comunisti che non esercitano sul fondo l'attività agricola”.
Un terreno, anche se suscettibile di utilizzazione edificatoria, deve considerarsi agricolo ai fini dell’I.C.I. in presenza di tre condizioni: “a) possesso del terreno da parte di coltivatori diretti o imprenditori agricoli; b) diretta conduzione dell’immobile da parte di questi soggetti; c) persistenza dell’utilizzazione agro-silvo-pastorale mediante attività dirette alla coltivazione”, la Corte precisa che, la considerazione dell’area come terreno agricolo ha “carattere oggettivo” e, come tale, si estende a ciascuno dei proprietari o contitolari dei diritti reali di godimento.
La Cassazione giunge alla citata conclusione in ragione del fatto che “la diversa soluzione, accolta dalla sentenza in esame, in realtà confonde e sovrappone l'applicazione di due norme che, nonostante talune interferenze, disciplinano situazioni diverse: quella di cui all'articolo 2, comma 1, lettera b), che ha riguardo alla qualificazione dell'area ai fini de criterio del calcolo della base imponibile (articolo 5 del decreto citato) ed ha carattere oggettivo, e quella di cui all'articolo 9 dello stesso decreto, che invece introduce agevolazioni, di carattere soggettivo, ai fini del calcolo dell'imposta in concreto applicabile.Evidente del resto la relatività a cui condurrebbe la conclusione criticata, che in caso di comunione, porterebbe a qualificare un medesimo bene nello stesso tempo come edificabile ovvero come agricolo a seconda della qualità soggettiva dei contribuenti,in ragione di quanto appena riportato è proprio dal combinato di cui all’art. 2 comma 1, lett. b) del D. Lgs. 504/92 e dall’art. 9 comma 1 del medesimo decreto che la Corte giunge alle conclusioni predette.