Il legislatore, con la legge 69/2009, ha introdotto espressamente  il principio di non contestazione, nel sistema processuale civile, mediante la  nuova formulazione dell’art. 115 c.p.c. : “Salvo i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero, nonché i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita.”
Non va sottaciuto tuttavia che il nuovo articolo 115 c.p.c. non ha fatto altro che trasfondere in un’apposita norma l’orientamento giurisprudenziale prevalente ante riforma, che aveva ricavato in via interpretativa il principio di non contestazione dall’intero corpus dell’ordinamento processuale civile vigente.
Siamo quindi  a cospetto di un fulgido esempio di funzione creativa dell’interpretazione giurisprudenziale, tipica  della moderna esperienza giuridica, tant’è che da svariati anni si suole discorrere di “diritto vivente” proprio per sottolineare come accada sempre più spesso che la norma venga modellata sull’interpretazione che ne viene data.
Riportiamo, in proposito, alcune fondamentali pronunce, ante riforma:
Secondo Cass. civ. Sez. III Sent., 5 marzo 2009, n. 5356, in Mass. Giur. It., 2009 “l'art. 167 cod. proc. civ., imponendo al convenuto l'onere di prendere posizione sui fatti costitutivi del diritto preteso dalla controparte, considera la non contestazione un comportamento univocamente rilevante ai fini della determinazione dell'oggetto del giudizio, con effetti vincolanti per il giudice, che dovrà astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto non contestato acquisito al materiale processuale e dovrà, perciò, ritenerlo sussistente, in quanto l'atteggiamento difensivo delle parti espunge il fatto stesso dall'ambito degli accertamenti richiesti”.
Secondo Cass. civ. Sez. Unite, 17 giugno 2004, n. 11353 “nel rito del lavoro la non contestazione dei fatti allegati in ricorso, tendenzialmente irrevocabile, rende gli stessi non controversi, e dunque non bisognosi di prova, pur trovando tale principio applicazione con riferimento ai soli fatti da accertare nel processo e non anche con riferimento alla determinazione della dimensione giuridica di tali fatti ed ai fatti dedotti in esclusiva funzione probatoria”.
Inoltre, la Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza del 24 gennaio 2007 n. 1540,  aveva già espressamente affermato l’applicabilità di tale principio al processo tributario:
“Il c.d. “principio di non contestazione” - da intendersi correttamente come onere di contestazione tempestiva, col relativo corollario della non necessità di prova riguardo ai fatti non tempestivamente contestati, e, a fortiori, non contestati tout court -, elaborato dalla dottrina e, più articolatamente, dalla giurisprudenza di legittimità, dapprima con riguardo al rito del lavoro (SS.UU. n. 761 del 2002), e poi esteso al rito civile riformato (tra le altre, Cass. n. 394 del 2006 e n. 19260 del 2004), è invocabile anche nel processo tributario, sia perché questo, essendo strutturato sulla falsariga del processo civile, ha natura dispositiva come quello ed è anch’esso caratterizzato da un sistema di preclusioni, sia per la incidenza del principio di ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost. Questo non può essere inteso soltanto come monito acceleratorio rivolto al giudice in quanto soggetto del processo, ma soprattutto al legislatore ordinario ed allo stesso giudice in quanto interprete della norma processuale - dovendo ritenersi che una lettura costituzionalmente orientata delle norme sul processo non possa mai prescindere dal principio in esame –, nonché alle parti, che, specie nei processi dispositivi, devono responsabilmente collaborare alla ragionevole durata del processo, dando attuazione, per quanto in loro potere, al principio di economia processuale e perciò immediatamente delimitando, ove possibile, la materia realmente controversa”.
 
Ebbene, tale principio è stato ribadito dalla Suprema Corte – Sezione Tributaria – con la recente pronuncia n. 16345 del 28.06.2013 che, richiamando proprio la sentenza n. 1540 del 2007, ha ritenuto incontroversi e pertanto non bisognevoli di  specifica dimostrazione il contenuto di atti non contestati.
Trattasi, peraltro, di una pronuncia relativa ad un ricorso proposto  avverso la decisione resa in appello dalla CTR dell’Emila Romagna nel 2007. Pertanto, ratione temporis, anche in quest’ultimo caso, il principio di non contestazione è stato ritenuto applicabile, in virtù dell’orientamento consolidatosi prima dell’entrata in vigore del nuovo disposto dell’art. 115 c.p.c..