L’orientamento giurisprudenziale

Ebbene, all’interno della pronuncia n° 7294/11, viene richiamato il principio secondo cui la legittimità di modificare la dichiarazione dei redditi (precedentemente presentata) è subordinata a determinate condizioni (indubbiamente gravose ai danni del contribuente, quantomeno in termini probatori), dunque non rappresenta – sic et simpliciter – un c.d. esercizio di un diritto ad libitum.

In particolare, la Suprema Corte – sostanzialmente – approda a tali conclusioni “rievocando” una precedente corrente giurisprudenziale1, sulla scorta della quale veniva sostenuto che l’errore emendabile deve necessariamente “riguardare il contenuto proprio della dichiarazione di scienza, non la manifestazione di volontà implicita nell’esercizio di un’opzione offerta dal legislatore”.

A ben vedere, le due precedenti sentenze emesse nel 2012 dalla Suprema Corte in tema di rettifica della dichiarazione2 avevano tuttavia “sdoganato” una visione maggiormente garantista a favore del contribuente: siffatto orientamento è stato implicitamente avallato anche nella recente ordinanza della Corte di Cassazione, n° 12338/123.

In altre parole, la chiave di volta delle suddette pronunce verteva sulla seguente argomentazione: il diritto del contribuente di rettificare la propria dichiarazione “fiscale” è esperibile non solo in ordine alla tempistica prevista dalla legge per chiedere il rimborso (art. 38, D.P.R., n° 602/1973), ma anche (e soprattutto) in sede contenziosa per opporsi alla maggior pretesa tributaria avanzata dall’Amministrazione finanziaria.

Da un altro punto di vista (strettamente correlato ai fini difensivi) è ragionevole ritenere pertanto che la ritrattazione fiscale - all’interno della dichiarazione - deve sempre essere ammessa, atteso che il nostro impianto normativo assicura il rispetto sia del principio della capacità contributiva (art. 53, Cost.), sia dell’obiettiva legalità dell’azione della Pubblica amministrazione (art. 97, Cost.)4.

Su tale questione, preme far valere un ulteriore elemento, diretto a comprovare la legittimità di “rettifica” dei dati forniti dal contribuente nell’Unico: quest’ultimo, affetto da errore (sia esso di fatto che di diritto) commesso dal dichiarante, è modificabile tanto nella fase amministrativa, che in quella contenziosa5, quando dalla medesima possa derivare l’assoggettamento ad oneri contributivi diversi e maggiormente gravosi (cfr., Cass., n° 5399/2012).

La dichiarazione dei redditi è una mera esternazione di scienza e di giudizio

Orbene: l’area di operatività inerente la rettifica della dichiarazione dei redditi trova la propria ragion d’essere nel principio che la stessa non produce gli effetti negoziali della ricognizione di debito, ma si esaurisce in una manifestazione di scienza e di giudizio6, dunque l’emendabilità deve essere assicurata per effetto di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione dei fatti (cfr. Cass., n° 15063/2002 e Cass. SS. UU., n° 17394/2002).

In particolare, la modifica della dichiarazione fiscale – alla luce della natura intrinseca della medesima – è pacificamente consentita, laddove il contribuente dimostri di aver commesso errori o imprecisioni, sia concernenti errori di fatto, sia di diritto: il contenuto della dichiarazione non assume una natura vincolante, né una rilevanza in termini di confessione stragiudiziale (cfr. Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, n° 81/41/12).

E’ del tutto evidente che tali inesattezze “fiscali” incidono sulla nascente obbligazione tributaria, dunque qualificando la dichiarazione come una mera manifestazione di giudizio (priva di valenza “confessoria”) la successiva modifica deve essere esperibile non solo nei limiti in cui la legge prevede il diritto al rimborso, ma anche in sede contenziosa per opporsi alla maggior pretesa tributaria dell’Amministrazione finanziaria7.

In altre parole, costituisce orientamento consolidato nella giurisprudenza della Corte Suprema (cfr. Cassazione, n° 4776/2001) quella secondo cui la dichiarazione dei redditi affetta da errore materiale, come nella fattispecie in parola (sia esso di fatto e di diritto) è in linea di principio emendabile e ritrattabile, senza alcuna condizione o limite normativo.

A ben vedere, la dichiarazione dei redditi non ha natura di atto negoziale e dispositivo, ma rappresenta una mera esternazione di scienza e di giudizio, modificabile in ragione dell'acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione sui dati riferiti.

Ad ogni buon conto, la Corte di Cassazione ha statuito che la dichiarazione fiscale non costituisce la fonte dell'obbligo tributario, né produce effetti assimilabili a quelli di una confessione, ma rappresenta unicamente un momento essenziale del procedimento di accertamento e riscossione della reale obbligazioni fiscale, quindi non può precludere al contribuente – anche in conformità al principio costituzionale di capacità contributiva – la dimostrazione dell'inesistenza, anche parziale, di presupposti di imposta erroneamente dichiarati (Cass., n° 18163/2002).

Considerazioni finali

In virtù della decisione n° 7294/12, la Corte di Cassazione – come accennato in precedenza – ha voluto imprimere una visione processualmente “ostile” nei confronti del contribuente, in quanto quest’ultimo è legittimato ad emendare la dichiarazione limitatamente alle ipotesi di “errori materiali” (ad esempio di calcolo) o “formali” (in relazione all’inserimento di un componente reddituale), pertanto la rettifica non opera nei casi di vizio concernente la “volontà negoziale”, come nell’ipotesi di esercizio di una facoltà di opzione disciplinata dall’ordinamento tributario.

E’ proprio su tale aspetto che la sentenza in commento non appare condivisibile: in termini pratici, nella fattispecie di errore afferente l’espressione della volontà (fiscale) del soggetto dichiarante, vero è che quest’ultimo può accedere alla possibilità di ritrattare la dichiarazione, ma grava sul contribuente stesso (al limite della probatio diabolica) dimostrare “la rilevanza dell’errore con riguardo al requisito dell’essenzialità e dell’obiettiva riconoscibilità”, secondo l’art. 1427, c.c.

A ciò si aggiunga che nel nostro ordinamento non è prevista alcuna norma che distingue – in tema di dichiarazione fiscale – gli errori materiali e di calcolo da quelli di fatto e di diritto, ma il meccanismo dell'emendabilità richiama semplicemente la considerazione che in caso di imprecisioni, il contribuente deve esercitare il diritto di sanare siffatta situazione (indipendentemente dalla natura dell'errore).

In conclusione, avallando la tesi sostenuta dalla Suprema Corte, si affronta il rischio concreto di disattendere un principio cardine (non negoziabile) del nostro ordinamento, ossia quello di voler coniugare e conciliare da un lato i diritti del contribuente (art. 53, Cost.) e dall’altro i poteri dell'Agenzia delle Entrate (art. 97, Cost.8), in forza di uno spirito di collaborazione, soprattutto nelle ipotesi di errore materiale commesso dal primo, con la conseguenza di privare di una vera tutela la parte più debole del rapporto d’imposta: il soggetto passivo.


 

1 Cass. n° 25056/2006;

2 Cass., n° 5399/12 e n° 5852/2012;

3In tale decisione, la Suprema Corte ha affermato difatti che “il contribuente ben può dedurre la non debenza dell'imposta nell'atto di impugnazione della cartella esattoriale, se necessario correggendo gli eventuali errori commessi nella dichiarazione”.

4 Cass., n° 2725/2011, n° 2226/2011;

5Cass., SS. UU., n° 14088/2004;

6Cass., n° 26512/2011;

7 Cass., Sezione Unite, n° 21749/2009, Cass., Sezione Tributaria, n° 10055/2000, 22021/2006;

8In tal senso è ricompreso l'interesse erariale volto alla puntuale riscossione dei tributi, per far fronte alle spese pubbliche;