In materia di IRAP, la Cassazione è intervenuta a Sezioni Unite, chiarendo il significato di "autonoma organizzazione", come presupposto per l'applicazione dell'imposta in questione (Cassazione, Sezioni Unite, sentenza del 10 maggio 2016, n. 9449).
La Cassazione, ribadendo un orientamento comunque già diffuso in giurisprudenza ma non applicato dall'Agenzia delle Entrate se non a fronte di un ricorso del contribuente, ha statuito che l'autonoma organizzazione di cui all'articolo 2 del Decreto Legislativo n. 446/1997 ricorre quando il contribuente:
  • sia sotto qualsiasi forma il responsabile dell'organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse;
  • impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l'id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l'esercizio dell'attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell'impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive.
La Cassazione chiarisce, quindi, che l'impiego di un solo collaboratore non è elemento sufficiente per l'applicazione dell'IRAP, che presuppone l'impiego di risorse più ampie (ad esempio, qualora siano impiegati a tempo pieno due o più dipendenti o collaboratori).
La sentenza in esame, chiaramente, risulterà uno strumento determinante ai fini dell'esclusione dell'IRAP per tutti quei contribuenti che esercitano in forma individuale l'attività professionale, artistica o d'impresa (in qualità di agenti, rappresentanti, promotori finanziari, artigiani, piccoli commercianti, coltivatori diretti del fondo ed in genere di piccoli imprenditori) che esercitano l'attività prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia.
Il principio stabilito dalla Cassazione potrà essere invocato sia nelle cause già in corso sia al fine di chiedere il rimborso di quanto già pagato a titolo di IRAP negli ultimi cinque anni.
Si ricorda che il contribuente può ricorrere alla Commissione tributaria contro il rifiuto espresso o tacito della restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie ed interessi o altri accessori non dovuti (articolo 19 del Decreto Legislativo n. 546/1992).
Nel caso di rifiuto espresso, il ricorso deve essere proposto a pena di inammissibilità entro sessanta giorni dalla data di notificazione dell'atto di rifiuto.
Nel caso di rifiuto tacito, il ricorso può essere proposto dopo il novantesimo giorno dalla domanda di restituzione presentata entro i termini previsti da ciascuna legge d'imposta e fino a quando il diritto alla restituzione non è prescritto.