I fatti del processo
Il processo in questione traeva origine da un errore (ai fini del versamento Iva) commesso dal contribuente italiano, il quale avendo eseguito lavori murali in un immobile ubicato nel territorio francese, provvedeva a corrispondere la relativa imposta a favore del fisco italiano; tuttavia, in seguito, l’Erario francese richiedeva legittimamente l’assolvimento dell’Iva per i servizi prestati dal soggetto, di conseguenza quest’ultimo si vedeva costretto a versare “nuovamente” il medesimo tributo alla Francia.
Per effetto di questa circostanza, il contribuente provvedeva a chiedere il rimborso dell’Iva versata “in eccedenza” a favore dell’Amministrazione finanziaria italiana (per gli anni di imposta 2007 e 2008), la quale tuttavia decideva per il diniego, rilevando la tardività della domanda, atteso che anche per il rimborso Iva trova operatività il regime biennale previsto dall’art. 21, comma 2, D. Lgs. 546/92.
La sentenza dei giudici milanesi; termine prescrizionale per il rimborso della maggiore Iva corrisposta (art. 2946 c.c.), ipotesi di indebito oggettivo (art. 2033 c.c.)
In definitiva, la Commissione Tributaria competente confermava quindi la precedente decisione adottata dai giudici di primo grado, statuendo che in tema di rimborso Iva è pacificamente vigente il termine decennale previsto dall’art. 2946 c.c.[1]:i diritti sono sempre esercitabili nel termine di dieci anni, salvo previsioni diverse.
A ben vedere, secondo i giudici milanesi, è del tutto infondato ritenere valido il termine biennale per presentare l’istanza di rimborso Iva versata in eccedenza, alla luce del vuoto normativo in materia: non esiste alcuna disposizione nella legge Iva che stabilisca i tempi per il rimborso, dunque prevale il termine decennale[2].
 
In realtà non è la prima volta che la giurisprudenza propende verso un orientamento favorevole al contribuente[3] ed in linea con le interpretazioni comunitarie[4]; in particolare lo spirito della citata decisione è che l’art. 2946 c.c. prevede che tutti i diritti, compresi anche quelli di credito fiscale, si prescrivano esclusivamente con il decorso di dieci anni.
In particolare, il diritto al rimborso pro contribuente trova la propria ragion d’essere giuridica nell’istituto civilistico (che in questa fattispecie ha anche riflessi fiscali) dell’indebito oggettivo (art. 2033 c.c.[5]).
La norma in esame prevede difatti che “chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato”.
In altre parole, il soggetto (contribuente) - che ha pagato indebitamente una somma ad un altro (Amministrazione finanziaria) - ha diritto di ottenere la restituzione di ciò che ha corrisposto: nasce così, in capo a chi ha ricevuto il pagamento, un’obbligazione di restituzione.
Si tratta di un incasso di somme (corrisposte per un mero errore scusabile del contribuente) che l’Agenzia delle Entrate tratteneva indebitamente: ciò rappresenta un vizio sanabile, poiché l’ordinamento garantisce al soggetto la possibilità di ottenere il rimborso di dette somme.
Di Federico Marrucci
Avvocato tributarista di Lucca (presso Studio Legale e Tributario Etruria)


[1]L’art. 2946 c.c., afferma che, in generale “i diritti si estinguono per prescrizione ordinaria” (ossia in 10 anni), “salvi i casi in cui la legge dispone diversamente”; [2] Proprio su siffatte conclusioni è approdata la Corte di Cassazione con la sentenza n° 9816 del 14 giugno 2012, in ordine alla quale ha statuito che le regole civilistiche sulla prescrizione si applicano anche ai rimborsi Iva: “è tardiva la nota con cui il contribuente sollecita l’Amministrazione al pagamento delle somme, se è inviata dopo 10 anni dalla presentazione della dichiarazione stessa”; [3]Cfr. Cass., n° 6538/2004 e n° 27948/2009; a ciò si aggiunga un’ulteriore valutazione, supportata da una sentenza della S.C. (n° 7721 del 27 marzo 2013), in forza di essa è stato deciso che anche in caso di cessazione dell’attività, il rimborso del credito Iva, può essere richiesto dal contribuente con istanza da presentare entro il termine ordinario di prescrzione decennale; [4]Le regole processuali dell’ordinamento nazionale non possono vanificare il diritto del soggetto passivo di ottenere dal Fisco il rimborso dell’Iva, soprattutto nei casi in cui il rimborso dell’imposta non risulti impossibile o eccessivamente difficile, nel qual caso gli Stati membri dell’Unione Europea sono tenuti ad adottare gli strumenti necessari per garantire il rispetto del principio di effettività (C-427/10 del 15.12.2011); [5]Per maggior chiarezza espositiva,in materia proprio di rimborso Iva versata in eccedenza e trattenuta dal Fisco, una recente sentenza della Corte di Cassazione, n° 20526/13 ha ampliato lo scenario favorevole al contribuente, prevedendo anche la possibilità di avviare un procedimento “risarcitorio dell’amministrazione per condotta illecita nei confronti del contribuente ovvero indennitario per un indebito arricchimento” (art. 2041 c.c.), laddove il rigetto della richiesta di rimborso rappresenti una ingiustizia giuridica e fiscale. Brevemente, l’art. 2041 c.c., il quale disciplina l’azione generale di arricchimento, prevede: “chi, senza giusta causa, si è arricchito a danno di un’altra persona è tenuto, nei limiti dell’arricchimento, a indennizzare quest’ultima della correlativa diminuzione patrimoniale”; anche in tale ipotesi, il termine prescrizionale è fissate in dieci anni.
In definitiva, i giudici della Suprema Corte hanno quindi statuito che in materia di c.d. rimborso di imposte corrisposte in eccedenza, sono pacificamente applicabili (entro 10 anni dal pagamento non dovuto) sia l’istituto civilistico dell’indebito oggettivo (art. 2033 c.c.), sia quello dell’arricchimento senza giusta causa (art. 2041 c.c.): in tal modo, l’ordinamento assicura e garantisce al contribuente, “colpevole” di essere stato inaspettatamente generoso a favore dell’Erario, la concessione di una sanatoria derivante da un pagamento tributario non richiesto (e trattenuto indebitamente nelle casse statali);