Il TAR aveva dato ragione al contribuente e all'associazione dei consumatori annullando tutto il procedimento effettuato ai sensi dell'art. 1, comma 335, legge 311/2004, che aveva condotto all'aumento delle rendite catastali nella Città di Lecce.
Ora il Consiglio di Stato si è dichiarato privo di giurisdizione, quindi non ha valutato il merito della questione perchè ha ritenuto che dovesse farlo esclusivamente il giudice tributario.
Vi è da dire, sin da subito, che tale decisione è basata su un dato assolutamente errato: il Consiglio di Stato ha fondato il proprio convincimento sull'art. 74 della legge n. 342/2000, che nel testo richiama l'art. 2, comma 3, del D. Lgs. n. 546/92 (legge sul processo tributario), non accorgendosi che, con delle modifiche intervenute medio tempore, il comma 3 dell'art. 2 è ora divenuto il comma 2.
In effetti, l'art. 74 della legge 342/2000, dalla sua entrata in vigore (10 dicembre 2000), on ha mai subito modifiche e nel disciplinare l'impugnazione degli atti attributivi o modificativi delle rendite catastali fa riferimento all'art. 2, comma 3, del D. Lgs. n. 546/92.
Tale articolo 2, comma 3, nella formulazione in vigore dal 1 gennaio 1996 al 31 dicembre 2001, e quindi nella versione richiamata dall'art. 74, prevedeva: "Appartengono altresì alla giurisdizione tributaria le controversie promosse dai singoli possessori concernenti l' intestazione, la delimitazione, la figura, l' estensione, il classamento dei terreni e la ripartizione dell' estimo fra i compossessori a titolo di promiscuità di una stessa particella nonché le controversie concernenti la consistenza, il classamento delle singole unità immobiliari urbane e l' attribuzione della rendita catastale".
L'articolo 2 citato è stato modificato dall'art 12, comma 2, della legge n. 448 del 28/12/2001.
A seguito di tali modifiche il contenuto del comma 3 è stato trasfuso nel comma 2.
Di ciò non si è avveduto il Consiglio di Stato che ha inteso il richiamo dell'art. 74 come effettuato all'attuale comma 3 dell'art. 2 del D. Lgs. n. 546/92.
Quindi, è all'attuale comma 2 che il Consiglio di Stato avrebbe dovuto fare riferimento interpretando correttamente il rimando operato dall'art. 74 della legge 342/2000, e non all'attuale comma 3.
Infatti, il comma 3 dell'art. 2 del D. Lgs. n. 546/92, così come modificato dalla legge 448/2001, fa riferimento al potere del giudice di risolvere in via incidentale ogni questione da cui dipende la decisione delle controversie rientranti nella propria giurisdizione. Tale disposizione nulla ha a che vedere con il richiamo che l'art. 74 opera.
Ed è proprio su tale comma che il Consiglio di Stato, erroneamente, basa la propria decisione.
Infatti, il Consiglio di Stato, deduce che, in virtù del rimando operato dall'art. 74 legge 342/2000, all'art. 2, comma 3, D. Lgs. n. 546/92, il giudice tributario non solo sarebbe l'unico giudice competente ma avrebbe, altresì, i poteri di decidere, in via principale, sugli atti presupposti, ossia quello generale di pianificazione in tema di attribuzione o modificazione delle rendite catastali per terreni e fabbricati.
Pertanto, la competenza del giudice tributario a decidere sull'atto presupposto derivererebbe, secondo il Consiglio di Stato, proprio dal rimando che l'art. 74 della legge 342/2000 fa all'art. 2, comma 3, del D.Lgs. n. 546/92.
Il Consiglio di Stato, poi, sottolinea che tale diciplina supererebbe anche il meccanismo della sola disapplicazione degli atti presupposti da parte dei giudici tributari e condurrrebbe ad una cognizione piena di tale giudice anche dell'atto a monte con consequenziale attribuzione del potere di annullamento, in un ottica di concentrazione e unità del processo del tutto condivisivile.
Alla luce dell'arcano svelato tutta la decisone presa dal Consiglio di Stato assume un senso.
Peccato che tale interpretazione và a collidere con una lettura sistematica delle norme sul processo tributario che, in maniera molto chiara, stabiliscono la competenza del giudice tributario nonchè i relativi poteri.
Ciò in riferimento, in particolare, agli art. 2 e 19 del D. Lgs. n. 546/92, che delimitano l'oggetto della giurisdizione tributaria (nel quale non sono previsti nè i regolamenti nè gli atti amministrativi generali) e all'art. 7 del citato D. Lgs., che limita i poteri del giudice tributario, circa i regolamenti e gli atti amministrativi generali, alla disapplicazione qualora li ritenga illegittimi.
Pertanto, per tutte le ragioni suesposte, non è condivisibile la sentenza del Consiglio di Stato giacchè avrebbe dovuto dichiarare la propria giurisdizione e decidere nel merito.
In effetti, la soluzione prospettata dal medesimo Consiglio di riassumere il processo dinanzi alla Commissione tributaria, potrebbe portare questo giudice, sulla base di quanto detto, a dichiararsi privo di giurisdizione e a rimettere gli atti alla Corte di Cassazione a Sezioni Unite al fine di stabilire l'esatta giurisdizione.
Altra soluzione giuridica prospettabile è l'impugnazione della sentenza del Consiglio di Stato dinanzi alla Corte di Cassazione al fine di eccepirne l'illegittimità e vedere affermata la giurisdizione del medesimo Consiglio, con rinvio ad altra sezione, per la decisione nel merito.
Lecce, 17 aprile 2014 Avv. Maria Leo
Avv. Leonardo Leo
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