La presentazione dell’istanza di pagamento rateale ad Equitalia non rappresenta il riconoscimento del debito tributario ad opera del contribuente (C.T.P. della Sicilia, n° 652/2016)
La Commissione Tributaria di appello della Sicilia, con una convincente pronuncia (n° 652/2016) ha stabilito che “la sottoscrizione dell’istanza di rateazione del pagamento di un’imposta […] non configura un riconoscimento del debito tributario, ma solo l’impegno di pagare l’imposta secondo la rateazione stabilita”[1].
Non solo: il contribuente mantiene dunque l’interesse (art. 100 c.p.c.[2]) a promuovere il ricorso innanzi alla Commissione Tributaria, al fine di far accertare dai giudici competenti, ad esempio, la mancata notifica dei provvedimenti esattoriali oggetto del piano di ammortamento.
La decisione
La sentenza in commento – come anticipato in precedenza – ha chiarito il rapporto intercorrente tra la domanda di pagamento rateale proposta dal contribuente presso Equitalia e la presunta accettazione circa la regolare esistenza del credito tributario (ovviamente il meccanismo è operativo anche per le posizioni debitorie con altri enti pubblici, come Inps, Inail etc).
Nel giudizio di primo grado, la Commissione Tributaria Provinciale di Catania aveva ritenuto che “l’esistenza di un piano di ammortamento […] dimostrerebbe l’intervenuta conoscenza e conseguente acquiescenza” del contribuente interessato, il quale – in parallelo all’impegno assunto a corrispondere ratealmente le somme all’Amministrazione finanziaria – aveva proposto ricorso tributario per fare accertare l’omessa notifica della cartella esattoriale “ammortizzata”.
A ben vedere, il percorso logico giuridico dei giudici catanesi non ha convinto l’organo di appello: “la presentazione da parte della ricorrente di istanza di rateazione […] non dimostra in alcun modo la conoscenza” della cartella rateizzata; in breve, il contribuente potrebbe avanzare la volontà di pagare ratealmente “al solo scopo di evitare il fermo amministrativo del veicolo di proprietà”, pertanto ai soli scopi cautelativi[3].
Proprio su tale punto, una precedente sentenza della C.T.P. di Varese (n° 156/2015) aveva osservato che “il pagamento della cartella non può considerarsi riconoscimento del debito, poiché tale atto non solo deve provenire dal soggetto che abbia poteri dispositivi dello stesso [Agenzia delle Entrate, Inps, Inail], ma anche e soprattutto deve manifestare, in modo chiara ed univoca, l’intenzione ricognitiva del diritto altrui”.
A ciò si aggiunga un ulteriore elemento di riflessione, con interessanti risvolti operativi in ambito processuale e/o amministrativo (tuttavia non affrontati nella sentenza in parola): fermo restando il diritto del contribuente a contestare la mancata notifica della cartella rateizzata e/o l’intervenuta prescrizione quinquennale del credito erariale[4] attraverso l’impugnazione del ruolo[5], l’interessato può far valere la propria tesi circa il “disconoscimento” del debito per effetto del rateizzo, richiamando l’art. 8, comma 4 dello Statuto dei diritti del contribuente (Legge n° 212/2000).
La norma prevede infatti che “l’amministrazione finanziaria è tenuta a rimborsare […] quando sia stato definitivamente accertato che l’imposta non era dovuta o era dovuta in misura minore rispetto a quella accertata”; in altri termini, il contribuente ha sempre il diritto di contestare la sussistenza di un debito fiscale, indipendentemente dal pagamento effettuato in modalità rateale.
In conclusione, in caso di esito positivo del ricorso tributario, l’interessato può esercitare il diritto di rimborso ai danni dell’Erario, il quale ha indebitamente riscosso crediti, dichiarati successivamente come inesistenti da parte dell’adita Commissione Tributaria.
Di Federico Marrucci
Avvocato Tributarista presso Studio Tributario Marrucci
(con sede in Lucca, Pisa e Viareggio)

    [1] Su detto aspetto, i giudici di appello hanno richiamato un principio già evidenziato dalla Corte di Cassazione con la decisione n° 5822/1981;[2] L’art. 100 c.p.c. regolamenta l’interesse ad agire; in particolare la richiamata norma stabilisce che “per proporre una domanda o per contraddire alla stessa è necessario avervi interesse”;[3] La sentenza n° 156/15 della C.T.P. di Varese ha affermato che il termine iniziale dal quale far iniziare la prescrizione di un tributo “non può individuarsi nel momento in cui il contribuente proceda al pagamento del debito iscritto a ruolo”, ben potendo, tale pagamento, essere stato effettuato ai soli fini cautelativi;[4] Su tale problematica vedi l’ordinanza n° 20213/15 dei giudici della S.C.; in materia di prescrizione quinquennale degli interessi e delle sanzioni può tornare utile citare rispettivamente l’art. 2948, n° 4, c.c. e l’art. 20, comma 3, D. Lgs. n° 472/97;[5] Cass. SS. UU. n° 19704/15;