La decisione
Nel caso in questione, i contributi previdenziali pretesi con la cartella opposta traevano origine da un maggior imponibile derivante da un avviso di accertamento (impugnato dal contribuente innanzi alla Commissione Tributaria competente): detto contenzioso veniva successivamente “definito” attraverso il condono fiscale (Legge n° 111/11).
Il giudice del Tribunale di Lucca ha osservato che “vista la necessaria correlazione tra contribuzione previdenziale e ‘reddito dichiarato’ (ovvero ‘accertato’, ma nelle sedi competenti a titolo definitivo) ai fini Irpef, l’Ente Previdenziale non può quindi pretendere una maggiore contribuzione in relazione a redditi che, dal punto di vista fiscale e tributario, non sono stati dichiarati né accertati in modo definitivo” innanzi alla Commissione Tributaria.
A seguito dell’intervenuto “condono” fiscale, il vincolo “reddito – onere previdenziale” non può più sussistere, atteso che il credito Inps era basato su scaglioni reddituali diversi rispetto all’accordo perfezionato tra il contribuente ed il Fisco.
In definitiva, la legittimità della richiesta previdenziale è subordinata all’esistenza dell’atto amministrativo dell’Agenzia delle Entrate, pertanto venendo a mancare l’originario provvedimento fiscale, l’Inps non ha più la titolarità ad esigere il pagamento di detto importo.
In particolare, “la cartella esattoriale deve comunque essere annullata posto che parte ricorrente, anche attraverso il richiamo della proposizione del ricorso dinanzi al giudice tributario, ha contestato la sussistenza del preteso credito contributivo e l’Inps non ha adempiuto al proprio onere probatorio”.
Per questo motivo, è priva di effetti la richiesta dell’Inps, poiché il contributo previdenziale (direttamente vincolato al reddito percepito dal contribuente) deve essere “connesso” all’eventuale chiusura della lite tributaria: il condono fiscale determina pertanto l’estinzione del debito previdenziale.
In particolare, la ratio della sentenza in parola getta le proprie basi su un “effetto domino”, difatti, vero è che la chiusura della pendenza processuale innanzi alla Commissione Tributaria produce conseguenze unicamente sotto il profilo fiscale, tuttavia l’Inps non può chiedere il pagamento dello stesso importo, a titolo di contributo previdenziale (specificato nel provvedimento dell’A.F.), quando tale atto è stato privato di ogni valenza.
A ben vedere, la legittimità del credito previdenziale è subordinata all’esistenza dell’atto amministrativo, da cui traeva “cittadinanza” la pretesa dell’Inps, pertanto – rebus sic stantibus – venendo a mancare l’originario provvedimento esattivo, l’Inps non ha più la titolarità di incassare alcun credito.
A ben vedere, il diritto di credito avanzato dall’Inps è in totale contrasto con l’art. 53 Cost. in tema di capacità contributiva, poiché da un lato la Circolare 48/E del 24 ottobre 2011 dell’Agenzia delle Entrate dispone che “le controversie relative ai contributi previdenziali” (laddove intervenga un evento di estinzione del processo) “rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario”, ma dall’altro, nello stesso documento, non vi è alcuna indicazione sui nuovi parametri per ricalcolare i contributi previdenziali.
Quindi, è inammissibile che detto contributo (direttamente vincolato al reddito percepito dal contribuente) non sia influenzato (e non subisca modifiche sia sull’an, che sul quantum della pretesa) nell’ipotesi di chiusura definitiva della lite tributaria.
Avv. Federico Marrucci
Tributarista in Lucca (presso Studio Legale e Tributario Etruria)