Il caso

A seguito della notifica di diverse cartelle di pagamento relative ad un carico tributario per imposta complementare di successione ipotecaria, catastale ed INVIM, alcuni contribuenti proponevano ricorso alla commissione tributaria provinciale chiedendo l’annullamento delle cartelle poiché gli atti prodromici di rettifica e liquidazione della maggiore imposta, erano già stati annullati con precedente sentenza della stessa ctp.

In virtù di tanto i ricorrenti chiedevano che l’Ufficio, reo di aver iscritto a ruolo delle somme non più dovute, fosse condannato al risarcimento dei danni derivanti dalla responsabilità aggravata ai sensi dell’art.96 c.p.c.

Nel costituirsi in giudizio l’Ufficio comunicava di aver provveduto allo sgravio totale del ruolo impugnato e, per l’effetto, chiedeva dichiararsi l’estinzione del giudizio.

Tale circostanza portava i Giudici di prime cure a dichiarare l’estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere, con compensazione delle spese di lite.

I contribuenti proponevano appello contro la sentenza di primo grado contestando la mancata pronuncia sulla richiesta di responsabilità aggravata spiegata nei confronti dell’amministrazione finanziaria.

Il collegio adito accoglieva la domanda dei contribuenti e per l’effetto, condannava l’Ufficio al risarcimento del danno per lite temeraria oltre al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio.


La sentenza

In sede di gravame l’Amministrazione Finanziaria ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità dell’appello stante il difetto di giurisdizione del giudice tributario affermando che gli eventuali profili risarcitori per la condotta dell’Erario appartengono alla sola giurisdizione del giudice ordinario.

Nel merito, ha insistito per il rigetto del gravame atteso che non vi è stata prova della condotta dolosa o colposa richiesta dall’art.96 c.p.c.

Le predette doglianze tuttavia, non sono state condivise dai Giudici di secondo grado i quali, nel dichiarare la propria competenza esclusiva a pronunciarsi sulla domanda di risarcimento per responsabilità aggravata, hanno fatto proprio il principio sancito in una recente pronuncia della Corte di Cassazione secondo cui la domanda ex art. 96 c.cp.c. “può essere conosciuta e decisa, nella sua globalità, soltanto al giudice competente per il merito della causa cui i pretesi danni si riferiscono, non solo perché nessun giudice può giudicare la temerarietà processuale meglio di quello stesso che decide sulla domanda che si assume temeraria, ma anche e soprattutto percheè la valutazione del presupposto della responsabilità processuale è così strettamente collegata con la decisione di merito da comportare la possibilità, ove fosse separatamente condotta, di un contrasto pratico di giudicati (Cass. n.26004/2010, n.12604/1992, n.1212/1993)

Entrando nel merito, il Collegio ha precisato che nel caso di specie sussistono entrambi i requisiti prescritti dall’art. 96 c.p.c. ovvero la totale soccombenza della parte e la mala fede o colpa grave di chi ha agito o resistito in giudizio.

In merito al primo requisito i Giudici hanno evidenziato che la pronuncia di primo grado di “cessata materia del contendere” contiene in sé la virtuale soccombenza dell’Ufficio.

La colpa grave, invece, è consistita nell’ignoranza derivante dal mancato uso di quel minimo di diligenza che avrebbe consentito all’amministrazione finanziaria di appurare che la pretesa azionata era infondata e ciò in quanto la stessa cartella impugnata riportava gli estremi della sentenza di annullamento del prodromico atto di rettifica dell’imposta.

Infine, l’esistenza di un danno, quale conseguenza del comportamento processuale della controparte, è stato ravvisato nell’attività che il ricorrente ha dovuto porre in essere per tutelare i propri diritti e nel disagio insito nella ricerca di un difensore tecnico per la tutela giudiziale.

In forza di tanto, il Collegio Pugliese ha accolto l’appello spiegato dai contribuenti e per l’effetto ha condannato l’Ufficio al risarcimento dei danni oltre che al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio.

Commissione tributaria Regionale di Bari sez.7- sentenza n.11/7/11


Brevi riflessioni

Preliminarmente è bene precisare che l’applicazione dell’art 96 c.p.c. trova fondamento nella norma generale di rinvio di cui all’art.1, comma 2 del d.lgs. n.546 del 1992, secondo cui al processo tributario devono applicarsi, in via primaria, le norme di tale decreto e, per quanto da esso non disposto, trovano applicazione le norme del processo civile compatibili, tra cui l’art.96 c.p.c. in materia di responsabilità aggravata.

La sentenza in commento, tuttavia, rappresenta una delle prime pronunce in cui viene concretamente applicato l’istituto della responsabilità aggravata al processo tributario.

Ciò nonostante, non è la prima volta che i Giudici baresi affrontano la questione dell’applicabilità di detto istituto al contenzioso tributario e, come accaduto in precedenti occasioni, hanno mostrato di fare scuola nel contorto panorama nazionale.

Già nel 2007, infatti, con la sentenza n.80, la CTR di Bari aveva dichiarato la propria competenza esclusiva in tale materia asserendo che “non è estraneo al processo tributario disciplinato dal D.Lgs.546/1992 l’istituto della responsabilità aggravata prevista dall’art.96 c.p.c. onde la condanna della parte a quel titolo può essere pronunciata dal giudice tributario allorché ricorrano gli estremi della mala fede o della colpa grave” e ciò perché il danno ingiusto, conseguente al comportamento processuale dell’Ufficio, è collegato ad una violazione di natura tributaria per cui il giudice, che già conosce dell’atto, è il più idoneo a valutare le conseguenze della sua ingiustizia.

Di diverso avviso, invece, sono state le Commissioni Regionali di Perugia e Napoli le quali avevano ritenuto che la pronuncia sul risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c. non rientrasse nella materia devoluta ai giudici tributari sostenendo che, qualora il contribuente ravvisava una condotta dannosa da parte dell’ufficio doveva adire il giudice ordinario al fine di ottenere una pronuncia in tal senso ( CTR Perugia n.21/09, CTR Napoli n.146/09).

A porre fine a tale disparità di pensiero ci hanno pensato i Giudici della Cassazione che, con la sentenza n. n.26004/2010, hanno stabilito, in via generale, che soltanto il giudice che definisce il processo può conoscere il comportamento processuale tenuto dalle parte nonché la ragionevolezza delle motivazioni poste alla base dell’azione o della resistenza connessa alla buona o male fede della stessa.