STUDI DI SETTORE

GIURISPRUDENZA DI MERITO BARESE

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1) NATURA PRESUNZIONI

Sulla natura delle presunzioni la giurisprudenza di merito barese è sostanzialmente conforme a quella prevalente di legittimità secondo cui il rinvio operato dall’art. 62 sexies DPR 331/93 all’art. 39 co. 1 lett. d) DPR 600/73 e all’art. 54 DPR 633/72 comporta che l’accertamento da studio di settore assurge a rango di presunzione semplice qualificata (talune sentenze nella motivazione la qualificano presunzione relativa CTP 9/2/09) con inversione dell’onere della prova, in presenza di due condizioni di accesso: 1) sussistenza di gravi incongruenze quantitative e qualitative tra i risultati contabili e quelli di GERICO; 2) che l’Ufficio personalizzi l’indagine con dati relativi al contribuente.

Per quanto riguarda le c. d. gravi incongruenze di tipo quantitativo, si ritiene che uno scostamento del 10% p.es. non sia definibile grave soprattutto se l’Ufficio ometta di indicare la collocazione dei ricavi all’interno dell’intervallo di confidenza desunto dallo studio di settore. Infatti all’interno dei risultati derivanti dall’applicazione dei parametri esiste una fascia di tolleranza entro la quale lo scostamento è comunque considerato rientrante nella normalità. Incombe sempre e comunque sull’Agenzia dare prova che lo scostamento eventualmente non rientri nel suddetto intervallo potendosi definire di per sé grave.

In mancanza dei suddetti elementi l’Ufficio non può procedere in modo meramente matematico e automatico senza una motivazione adeguata che dimostri la sussistenza dei due suddetti elementi (CTR  sez. 1 n. 29/2007 e CTP sez.14 n.14/2008).

In verità molte sentenze tanto della CTP che della CTR,  a proposito delle  presunzioni le qualificano “legali relative”, che ammettono però prova contraria non necessariamente di tipo documentale, ma anche presunzioni semplici contrarie che, ai sensi dell’art. 2729 cc, hanno dignità di piena prova.

Tuttavia, a partire dal 2008 ed in particolare le più recenti sentenze, sempre più spesso qualificano le presunzioni come semplici che assurgono al grado di qualificate in presenza dei requisiti di accesso su menzionati. Probabilmente non è estranea l’influenza esercitata dalla circolare 5/ E del 2008 (prova è che spesso viene menzionata) con la quale per la prima volta l’Agenzia ammette espressamente la presunzione semplice degli studi di settore che assurgono a determinate condizioni, al rango di qualificate.

Nel caso in cui l’Ufficio si limitasse tout court a prendere atto dello scostamento  tra quanto dichiarato e il risultato da studio di settore, senza specificare in base a quali elementi è giunto al calcolo dei ricavi attribuibili al ricorrente, ci troveremmo di fronte a presunzioni semplici che, in ogni caso, non esonerano l’Ufficio dall’obbligo di motivazione e di indicare gli elementi prevalenti sui quali ha basato i rilievi (CTR 49/9/09).

A tale proposito, una interessante sentenza a firma del presidente estensore Barchetti, alla luce dell’attuale crisi economica, risulta straordinariamente  attuale in quanto rileva che gli studi di settore hanno natura di media statistica basata su grandi numeri e pertanto, non possono assurgere realisticamente a strumenti necessariamente validi per ogni singola azienda anche alla luce della depressione economica che affligge atavicamente il sud.

Nel caso in cui l’Ufficio dovesse applicare, senza un’adeguata valutazione lo studio di settore, il contribuente ben potrà opporre argomenti che dovranno, per forza di cose, consistere in una prova contraria esclusivamente di tipo logica, basata su dati rinvenienti dai registri e su quelli di comune esperienza. Diversamente la normativa in questione sarebbe addirittura incostituzionale.

La domanda è infatti come si fa a dimostrare che quanto desunto dall’Ufficio non corrisponda alla realtà se non mostrando registri in ordine ed evidenziando che non sono individuabili clienti ulteriori rispetto a quelli evincibili da fatture e contabilità, sottolineando altresì le caratteristiche dei beni strumentali utilizzati; pertanto nella realtà è quasi impossibile fornire una prova negativa, definita dall’estensore appunto prova “diabolica”.

A margine si sottolinea che in un caso specifico di cui si è occupato il sottoscritto, l’Ufficio aveva omesso, in sede di accertamento, di considerare che l’imprenditore era nel suo primo anno di attività per cui lo scostamento rilevato era pienamente giustificato ipso facto, non avendo avuto altra attività commerciale in precedenza. 

Al contrario, nelle ipotesi diverse dalle suddette, spetta allo stesso contribuente offrire la prova contraria fornendo motivazioni supportate da elementi probatori, in sede di contraddittorio con l’Ufficio e/o in quella giudiziale.

2) DIFESA DEL CONTRIBUENTE IN SEDE DI CONTRADDITTORIO

Si rileva che numerose sentenze della Commiss. Prov. facendo riferimento al mancato contraddittorio tra Ufficio e contribuente considerano un indizio sfavorevole a quest’ultimo – per violazione art. 10 dello Statuto del Contribuente (tutela dell’affidamento e della buona fede) – la mancata presentazione all’invito, soprattutto se il contribuente, in sede giudiziale, si limiti a contestare genericamente l’illegittimità dell’avviso per difetto di motivazione e prova  (CTP 14/4/2008; CTR 34/7/08) .

Vero però anche il contrario e cioè che il semplice invio di un questionario e la sua compilazione non è ritenuta sufficiente ad offrire un elemento di prova pro ufficio, ma si ritiene che necessiti un ragionamento ulteriore che giustifichi l’indagine dell’agenzia (CTR 10/1/08).     

 Infatti il mancato contraddittorio non costituisce motivo sufficiente per disattendere la dichiarazione se l’Ufficio non indica i fatti noti dai quali risalire anche sulla base  di presunzioni semplici purchè gravi, precise e concordanti, ad un fatto ignorato che giustifichi l’inversione dell’onere della prova. (CTR 10/1/08)

In compenso, invertendo l’ordine prospettico, la giurisprudenza ritiene che il mancato invito al contraddittorio o addirittura la mancata motivazione dell’ufficio alle giustificazioni addotte dal contribuente in quella sede, siano motivi favorevoli al contribuente, in conformità dei principi di trasparenza, imparzialità e buon andamento della  P.A. (nella fattispecie si trattava di pessimo andamento dell’attività commerciale, non suffragato da ulteriori elementi probatori) CTR 29/1/07.

In effetti la differenza tra le due opposte visioni dipende prevalentemente dal tipo di atteggiamento assunto dalle parti fin dalla formazione dell’atto di accertamento.

3) PARAMETRI PRESUNTIVI FISSATI DAI D.P.C.M. DEL 29.01.1996 – 27.03.1997-  LEGITTIMITA’

Uno sguardo, infine, alla problematica relativa alla (il)legittimità  del DPCM 29.1.96; a tale proposito occorre subito dire che, all’interno della stessa CTR coesistono due opposte visioni: l’una per l’illegittimità e la relativa disapplicazione  (CTR 46/14/2006) e l’altra naturalmente per la legittimità (CTR 10/1/2008) .

Il problema nasce considerando che l’art. 3 commi da 181 a 189 L. 28.12.95 n. 549, ha previsto per certe categorie di contribuenti ed in presenza di determinate condizioni la possibilità per l’A.F. di determinare presuntivamente ricavi, compensi e volumi d’affari, attribuibili al contribuente in base alla specifica attività svolta. A tal fine la legge ha previsto l’elaborazione, da parte del ministero competente, appositi parametri da  approvarsi con DPCM su proposta del Ministro delle Finanze, come poi è avvenuto con pubblicazione sulla G.U..

A) Orbene, secondo la prima tesi (illegittimità) il DPCM 29.1.96, avendo natura regolamentare, è stato emanato in violazione dell’art. 17 co.4 L. 400/88, in quanto privo del parere del Consiglio di Stato.

Sentenze della Cass. (10124/94; SS.UU. 6933/99) hanno affermato che i regolamenti sono espressione di una potestà normativa attribuita all’Amministrazione, secondaria rispetto a quella legislativa, e disciplinano in astratto tipi di rapporti giuridici mediante regola attuativa o integrativa della legge, ma ugualmente innovativa, con precetti aventi natura di astrattezza, generalità e ripetibilità nel tempo. Pertanto il DPCM 29.1.96 avrebbe la struttura di regolamento avendo i caratteri di astrattezza generalità e ripetibilità disponendo in modo innovativo per il futuro.

 B) La seconda tesi nasce dal presupposto che l’art. 14 L. 400/1988 fa espresso riferimento ai regolamenti ministeriali o interministeriali, che devono espressamente essere denominati “regolamento”.

A parte però, l’enunciazione letterale, è dubbia la circostanza che il DPCM in esame abbia innovato l’ordinamento giuridico preesistente, aggiungendo elementi di novità rispetto a quanto contenuto nella disposizione alla quale hanno dato attuazione cioè alla norma di cui all’art 3 commi da 181 a 189 L.549/95.