Parecchi anni fa, al ricevimento di un avviso di accertamento o di un avviso di rettifica e liquidazione, il contribuente veniva posto sostanzialmente di fronte a un bivio: pagare o fare ricorso.

Nel tempo molti fattori hanno contribuito ad ampliare le possibilità di reazione del cittadino/contribuente, sia in caso di contestazione della pretesa erariale, sia in caso di riconoscimento della stessa.

Così, la complessità delle norme tributarie, il mutare della sensibilità giuridica in ordine al corretto atteggiamento della Pubblica Amministrazione nei confronti del cittadino, il principio di agevolare il contribuente laddove lo stesso riconosca come corretta, totalmente o parzialmente, la pretesa erariale, ha comportato lo stratificarsi di interventi legislativi che se da un lato hanno ampliato le possibili strade percorribili, dall’altro hanno reso meno chiari gli effetti che ogni possibilità comporta.

Fatta questa importante premessa, analizziamo nel dettaglio le diverse strade percorribili dal contribuente, nel momento in cui questi diviene destinatario di un avviso di accertamento relativo alle imposte sui redditi (Irpef, Irap, addizionale comunale, addizionale regionale) all’I.V.A., oppure di un avviso di rettifica e liquidazione (Imposta di registro), non preceduto da un invito di comparizione definibile ai sensi dell’art. 5 del Dlgs 218/97, o da un processo verbale di constatazione per il quale era possibile prestare acquiescenza ai sensi dell’art. 5-bis del medesimo decreto.

1.       L’acquiescenza

Nel caso in cui la pretesa erariale venga riconosciuta corretta, si può optare per l’acquiescenza al provvedimento impositivo. L’acquiescenza prevede che nel termine per la proposizione del ricorso si proceda al pagamento dell’imposta dovuta mediante un versamento con il mod. F24. Naturalmente, oltre all’imposta dovuta, si dovranno versare anche la sanzione e gli interessi. La misura degli interessi è indicata nell’avviso di accertamento fino a una determinata data che viene indicata nell’avviso stesso. Chiaramente l’Ufficio non può prevedere né il tempo occorrente per la notifica dell’atto né tantomeno il giorno in cui il contribuente procederà effettivamente al pagamento dell’importo dovuto, pertanto nell’avviso viene indicato l’importo giornaliero degli interessi che deve essere sommato all’importo degli interessi indicati nell’atto stesso. In pratica il contribuente deve controllare fino a quale data l’ente impositore ha già provveduto al conteggio degli interessi, dopodichè deve conteggiare i giorni che decorrono da tale data a quella dell’effettivo pagamento. Per ogni giorno così calcolato gli interessi devono essere aumentati dell’importo indicato nell’avviso stesso. In merito alla sanzione si precisa che in applicazione dell’art. 15 del Dlgs. 218/1997, la stessa è dovuta nella misura di 1/6 o di 1/3 (a seconda del fatto che l’accertamento sia o meno stato preceduto da un invito o pvc definibile). Tale riduzione rientra tra quegli strumenti per l’abbattimento del contenzioso che il legislatore ha introdotto nell’ordinamento giuridico, e va tenuta presente nel momento di confronto con le altre strade percorribili, in quanto la misura della riduzione delle sanzioni rappresenta un elemento non secondario nella scelta della strada da seguire.

A seguito del richiamo all’art. 8 del Dlgs. 218/1997, effettuato dall’art. 15 c. 2 stesso decreto, è possibile procedere al pagamento rateale di quanto richiesto dall’Erario. Il pagamento rateale prevede la possibilità di dilazionare il proprio debito erariale fino ad un massimo di 8 rate trimestrali (12 rate se l’importo dovuto è superiore a 51.645,69 euro), ed in tale caso occorre prevedere l’applicazione dell’interesse di rateazione che dal 1° gennaio 2012 è pari al 2,5% annuo. Nel caso di pagamento rateale, anche se non necessario, è utile rivolgersi agli Uffici dell’Agenzia delle Entrate per la predisposizione dell’apposito piano di rateazione. Così facendo si evitano possibili “incomprensioni” in ordine al conteggio degli interessi e quindi alla validità della rateazione stessa.

2.       Definizione delle sole sanzioni

Ai sensi dell’art. 17 c. 2 del Dlgs. 472/1997 si può optare per la definizione agevolata delle sole sanzioni, mediante il pagamento con Mod. F24 di un importo pari ad 1/3 della sanzione irrogata e comunque non inferiore ad un terzo dei minimi edittali previsti per le violazioni più gravi relative a ciascun tributo, entro il termine previsto per la proposizione del ricorso. Il contribuente, definite le sole sanzioni, può contestare nel merito la pretesa tributaria, impugnando l’atto impositivo con riferimento alle sole imposte. In caso di presentazione del ricorso, data la preventiva definizione in misura ridotta delle sanzioni, in caso di esito negativo della controversia si otterrebbe un risparmio non indifferente. Per converso, in caso di esito positivo del contenzioso non si può chiedere il rimborso delle sanzioni ridotte già versate.

La scelta di definire le sole sanzioni presenta alcuni aspetti che vanno approfonditi al fine di una scelta consapevole. In particolare si fa riferimento all’art. 13 c. 2 Dlgs. 471/1997,  ed al richiamo generale in esso contenuto per l’applicazione delle sanzioni previste per i ritardati od omessi versamenti diretti a tutti quei casi in cui esiste una norma che prevede un termine per procedere al pagamento di un tributo. L’art. 13 c. 2 recita infatti: “Fuori dei casi di tributi iscritti a ruolo, la sanzione prevista dal comma 1 si applica altresì in ogni ipotesi di mancato pagamento di un tributo o di una sua frazione nel termine previsto”.

Dall’analisi delle norme che regolano l’imposta di registro si rileva che l’art. 55 del D.P.R. n. 131/86 (T.U. Imposta di Registro) prevede che “Il pagamento...deve essere eseguito entro sessanta giorni da quello in cui è avvenuta la notifica della relativa liquidazione”.

Norme simili a quelle appena illustrate non esistono invece per le II.DD. e per l’IVA, comportando quindi una disciplina sostanzialmente differente. In caso di imposta di registro, infatti, il non aver corrisposto l’imposta richiesta entro il termine di 60 gg. dalla notifica dell’atto impositivo, comporta l’applicazione della sanzione di cui al comma 1 dell’art. 13 del Dlgs. 471/1997, pari al 30% dell’imposta non versata. Da ciò consegue che per le pretese impositive che vertono l’imposta di registro il Concessionario per la Riscossione prenederà in carico una somma comprendente, nei casi di mancato pagamento nei termini del tributo dovuto, una sanzione pari al 30% dell’importo non versato. Peraltro, queste ultime sanzioni non posso essere oggetto di definizione agevolata.

Tale istituto può essere convenientemente utilizzato in caso di mancata adesione. In caso di presentazione dell’istanza di adesione il termine per proporre ricorso viene sospeso per 90 giorni. Tale sospensione opera anche per l’istituto in parola offrendo la possibilità, in caso di mancata adesione, di definire le sanzioni nella misura di 1/3.

3.       L’autotutela

Ben può accadere che l’Ufficio, anche a causa della enorme mole di dati che è costretto a gestire, commetta degli errori richiedendo delle somme effettivamente non dovute. In questi casi è fatta sempre salva la possibilità per il contribuente di richiedere l’annullamento dell’atto, in misura parziale o totale a seconda dei casi, facendo ricorso all’istituto dell’ “autotutela”. Ai sensi del comma 1, dell’art. 2-quater del D.L. 564/1994, l’Agenzia delle Entrate è competente “…per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio o di revoca, anche in pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilità degli atti illegittimi o infondati…”.

Va ricordato che la presentazione della richiesta di riesame in autotutela dell’atto, che va presentata in carta libera all’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate che ha emanato l’atto, non blocca i termini per l’accertamento, che diviene definitivo in caso di mancata impugnazione presso la commissione tributaria competente.

L’ottenimento dell’annullamento quindi deve intervenire nei sessanta giorni dalla notifica dell’atto; proprio a causa dell’enorme carico di lavoro cui si accennava in precedenza, però, sovente gli Uffici sono impossibilitati a poter effettuare un esame nel merito della controversia entro i termini di proposizione del ricorso, ragion per cui è sempre più diffusa la prassi tra gli operatori di richiedere, in sostanza, il riesame della pretesa impositiva mediante la presentazione di un’istanza di accertamento con adesione, ai sensi dell’art. 6 Dlgs. 218/1997.

4.       Istanza di accertamento con adesione

La presentazione dell’istanza di accertamento con adesione sospende per 90 giorni i termini per proporre ricorso.

La convenienza dell’accertamento con adesione sta nel fatto che, oltre a potersi ridurre le maggiori imposte richieste in forza delle ragioni difensive oggetto di contraddittorio tra le parti, ai sensi del comma 5 dell’art. 2 del Dlgs. 218/1997, le sanzioni per le violazioni concernenti i tributi oggetto dell’adesione commesse nel periodo di imposta, nonché per le violazioni concernenti il contenuto delle dichiarazioni relative allo stesso periodo, si applicano nella misura di 1/3 del minimo previsto dalla legge.

Si ricorda inoltre che l’accertamento definito con adesione non è integrabile o modificabile dall’ufficio, salvo l’esercizio di un’ulteriore azione accertatrice che, ai sensi del comma 4, dell’art. 2 del Dlgs. 218/1997, può essere effettuata solo al verificarsi di una delle seguenti circostanze:

a)       se sopravviene la conoscenza di nuovi elementi in base ai quali è possibile accertare un maggior     reddito, superiore al 50% del reddito definito e, comunque, non inferiore a 77.468,53 euro;

b)       se la definizione riguarda accertamenti parziali;

c)       se la definizione riguarda redditi derivanti dalla partecipazione in società di persone ovvero in aziende coniugali non gestite in forma societaria;

d)       se l’azione accertatrice è esercitata nei confronti delle società o associazioni o dell’azienda coniugale di cui alla lettera c), alle quali partecipa il contribuente nei cui riguardi è intervenuta la definizione.

Dato l’ampio raggio d’azione degli artt. 41-bis del D.P.R. 600/1973 e 54 c. 4 del D.P.R. 633/1972, sempre più spesso l’azione dell’Ufficio muove da un accertamento di tipo “parziale”, tale per cui si ritiene che la convenienza nel perfezionamento di un atto di adesione non sta tanto nella “cristallizzazione” dell’azione accertatrice, quanto nella citata possibilità di ridurre il quantum richiesto, a fronte di sanzioni in misura ridotta.

Una volta instaurato il procedimento di accertamento con adesione il contribuente non può più beneficiare della riduzione delle sanzioni  ad 1/6 del minimo previsto dalla legge come nel caso dell’acquiescenza. All’eventuale riduzione delle maggiori imposte accertate si accompagna l’irrogazione delle sanzioni pari ad 1/3 del minimo previsto dalla legge. Va ricordato in proposito che la riduzione delle sanzioni opera solo nel caso in cui si perfezioni l’atto di adesione, ovvero nel caso di raggiunto accordo tra Fisco e contribuente.

In caso di mancata adesione l’unico modo per contrastare la pretesa erariale rimane il contenzioso.

In proposito va sottolineato il fatto che se il procedimento dell’istituto in parola, attivato su istanza del contribuente,  si conclude – senza pervenire ad un accordo fra le parti – prima della scadenza dei 90 giorni di sospensione previsti dall’art. 6 c. 3 Dlgs.  218/1997, la possibilità di valersi dell’intero periodo – di 90 giorni – per cercare una soluzione prima di (eventualmente) accedere alla giustizia tributaria non viene meno, salvo il caso di esplicita rinuncia da parte del contribuente (o di proposizione del ricorso). La Corte Costituzionale (Ord. n. 140 del 15/04/2011) ha, infatti, chiarito che tale conclusione negativa non fa “cessare la sospensione dei termini per ricorrere”, a meno che la “definitiva rinuncia all’istanza di accertamento con adesione sia manifestata con dichiarazione espressa o mediante proposizione del ricorso”.

5.       Il contenzioso

Laddove in sede di adesione non si riesca a raggiungere un accordo, il contribuente per far valere le proprie ragioni è costretto ad adire la commissione tributaria competente mediante la presentazione di ricorso. In tema di contenzioso tributario l’art. 39 c. 9 del D.L. 98/2011 ha introdotto nel testo del Dlgs. 546/1992 il nuovo art. 17-bis rubricato “Il reclamo e la mediazione”. Viene previsto che per gli atti emessi dall’Agenzia delle Entrate e notificati a decorrere dal 01/04/2012, riguardanti controversie di valore non superiore a ventimila euro, chi intende proporre ricorso è tenuto preliminarmente, a pena di inammissibilità dello stesso, a presentare reclamo presso la Direzione Provinciale ovvero Regionale competente per territorio. In sostanza si tratta di un filtro per l’accesso al contenzioso tributario dipendente dal valore della lite sottostante: a tale riguardo, per valore della lite deve intendersi l’importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni  irrogate con l’atto impugnato; in caso di controversie relative esclusivamente alle irrogazioni di sanzioni, il valore è costituito dalla somma di queste. Ove quindi il valore della lite così determinato sia di importo superiore a ventimila euro, potrà direttamente adirsi la via del contenzioso. In caso contrario, per non incorrere in una causa di inammissibilità del ricorso occorrerà preliminarmente presentare reclamo il quale dovrà contenere i contenuti minimi disposti dall’art. 18 del Dlgs. 546/1992 ed essere notificato secondo le modalità sancite dal successivo art. 20, entro 60 giorni dal ricevimento dell’atto che si intende impugnare.

L’obbligo della presentazione del reclamo viene accompagnato dalla facoltà in capo al proponente di inserire nello stesso una motivata proposta di mediazione completa della rideterminazione dell’ammontare della pretesa. L’organo destinatario a questo punto, se non intende accogliere il reclamo volto all’annullamento totale o parziale dell’atto, né l’eventuale proposta di mediazione, formula d’ufficio una proposta di mediazione avuto riguardo all’incertezza legata alle questioni controverse, al grado di sostenibilità della pretesa e al principio di economicità dell’azione amministrativa. L’accordo di mediazione comporta l’applicazione delle sanzioni in misura ridotta pari al 40% rispetto a quelle irrogabili e va concluso, al massimo, entro 90 giorni dal ricevimento dell’istanza da parte dell’Ufficio. Va ricordato in proposito che, diversamente dall’accertamento con adesione, il termine di 90 giorni previsto per la trattazione dell’istanza di mediazione non gode della sospensione dei termini processuali per cui il procedimento di mediazione può perfezionarsi  anche nel periodo 01/08-15/09.

Decorsi:

·         90 giorni senza che sia stato notificato l’accoglimento del reclamo ovvero senza che sia stata conclusa  la mediazione

ovvero

·         a partire dal giorno successivo a quello di comunicazione del provvedimento con il quale l’Ufficio respinge l’istanza prima del decorso del suddetto termine

·         a partire dal giorno successivo a quello di comunicazione del provvedimento con il quale l’Ufficio, prima del decorso del suddetto termine, accoglie parzialmente l’istanza

il reclamo produce gli effetti del ricorso. Si precisa che la produzione degli effetti del ricorso comporta l’obbligo in capo al proponente/ricorrente di costituirsi in giudizio nei successivi 30 giorni, mediante deposito presso la commissione tributaria competente per territorio della copia conforme dell’originale del reclamo, corredato dalla ricevuta di presentazione/spedizione. Pena l’inammissibilità del ricorso stesso. Inoltre l’applicazione di tale termine dovrà considerare la sospensione feriale dei termini processuali.

Per una disamina più approfondita dell’istituto della mediazione tributaria si rimanda alle Circolari dell’Agenzia delle Entrate  n. 9/E del 19/03/2012 e n. 33/E del 03/08/2012.

6.       Inerzia del contribuente

Per imposte sui redditi, IVA e IRAP, una volta decorsi i 60 giorni dal suo ricevimento, per effetto delle modifiche di cui all’art. 29 del D.L. 78/2010 conv. L. 122/2010, l’atto di accertamento diviene automaticamente esecutivo e la riscossione delle somme in esso contenute viene affidata al Concessionario una volta decorsi ulteriori 30 giorni; a tal proposito si ricorda che il D.L. n. 16/2012 (Decreto “Semplificazioni fiscali”) ha introdotto un particolare adempimento in capo al Concessionario il quale, nel momento in cui prende in carico le somme da porre in riscossione, deve obbligatoriamente informare il debitore mediante invio di raccomandata semplice al medesimo indirizzo al quale è stato notificato l’atto impositivo (non impugnato). L’informativa conterrà altresì il riferimento al periodo di sospensione di 180 giorni dall’affidamento del carico prima di procedere all’esecuzione forzata.

Le norme sull’accertamento “esecutivo” non riguardano l’imposta di registro per cui il contribuente che non impugna l’atto impositivo relativo a tale tributo continuerà a ricevere la “normale” cartella esattoriale. Si ricorda che in tal caso la cartella potrà essere impugnata solo per vizi propri (i motivi di ricorso non potranno cioè riguardare il merito della pretesa) e, anche in caso di valore della lite inferiore a ventimila euro, il contribuente dovrà ricorrere direttamente in commissione tributaria senza applicare preventivamente l’art. 17-bis Dlgs. 546/1992.