Il thema decidendum della controversia

La vertenza processuale nasceva – come accennato per sommi capi nel capoverso precedente – da un accertamento svolto dall’Agenzia delle Entrate (Direzione Provinciale II) di Milano, in applicazione degli artt. 38 e 41 del D.P.R. 600/73, avente ad oggetto la ricostruzione sintetica del reddito (attraverso il meccanismo del c.d. redditometro) a carico di un contribuente negli anni di imposta 2006 – 2007.

Ebbene, la linea difensiva del contribuente richiamava un fatto pacifico ed incontestabile, ovvero ai fini del calcolo presuntivo del reddito conseguito dal ricorrente, non poteva essere ignorata la formazione di un effettivo nucleo familiare (nel quale era “inquadrato” il destinatario dell’avviso di accertamento).

In altre parole, il reddito sintetico imputato al ricorrente doveva essere parametrato anche in virtù alla capacità reddituale globale del nucleo familiare di appartenenza: appare come un elemento superfluo (ai fini fiscali) la circostanza che tale “consorzio di persone” non fosse stato perfezionato/formalizzato attraverso il rito matrimoniale, poichè proprio all’interno di siffatta struttura “familiare” (rectius: ufficiosa) erano sussistenti i seguenti elementi: a) stretta relazione di vita; b) rapporti di assistenza economica e morale; c) durata apprezzabile della convivenza.

Proprio sulla questione “socialmente delicata” (così definita dai medesimi giudici milanesi) inerente all'allineamento tra la coppia di fatto e quella tradizionale, la Commissione adita ha affermato che “in assenza di una chiara regolamentazione della famiglia di fatto” è ragionevole “adottare la definizione che si è andata affermando in ambito penale, secondo la quale per famiglia deve intendersi ogni consorzio di persone tra le quali, per strette relazioni e consuetudini di vita, siano sorti rapporti di assistenza e solidarietà per un tempo apprezzabile di tempo”.

Considerazioni finali

In definitiva, la convivenza more uxorio determina la nascita di una “aumentata capacità contributiva” del soggetto accertato: pertanto, nella fattispecie in esame, laddove l’Ufficio accerti un maggior reddito a carico di uno dei conviventi, lo stesso Ente impositore deve necessariamente valutare il rapporto “familiare” pendente tra le parti al fine di quantificare con ragionevole certezza il reddito conseguito (in un determinato anno) dal contribuente, oltre al sostenimento di ulteriori spese.

Ebbene, la decisione in parola suggerisce una lettura innovativa della problematica, in quanto è la prima volta che la giurisprudenza tributaria parifica la convivenza more uxorio (non disciplinata da alcuna norma nel nostro ordinamento) al nucleo familiare ufficializzato dal vincolo matrimoniale (in linea con i valori di solidarietà e sostegno reciproco, previsto dall’art. 2 della Costituzione).

Ad ogni buon conto, la sentenza in parola precisa che “in presenza della grande varietà delle possibili ipotesi […] andrebbe verificato in concreto come questa unione di fatto si traduca in aumentata capacità contributiva dei soggetti insieme considerati”, dunque l’onere della prova grava esclusivamente a carico del contribuente (destinatario della verifica tributaria), il quale dovrà dimostrare oggettivamente la natura e le caratteristiche della famiglia di fatto nella quale lo stesso soggetto è inserito sotto il profilo sociale ed economico (reddituale).

In altre parole, l'opportuna equiparazione – da un punto di vista fiscale - tra la famiglia tradizionale e quella di fatto (sulla scorta anche di una “significativa evoluzione sociale”, cfr. Corte di Cassazione, Sezione Penale, n° 109/2006) è subordinata attraverso l’assolvimento (ad opera del contribuente) della dimostrazione circa la “stabilità affettiva” e la costante coabitazione tra i soggetti.

Avv. Federico Marrucci

Avvocato Tributarista (Studio Legale e Tributario Etruria)