Con una recente pronuncia in materia di impugnabilità (o meno) del diniego emesso dalla P.A. a seguito dell’autotutela presentata dal contribuente, nonché sui limiti del sindacato esercitato (ed esercitabile) dal giudice tributario, la C.T.P. di Pisa (sentenza n° 496/14) ha osservato che, fermo restando la “assodata” contestabilità del provvedimento in parola davanti alle Commissioni Tributarie, “il sindacato […] dovrà riguardare […] il corretto esercizio del potere discrezionale dell’amministrazione, nei limiti e nei modi in cui l’esercizio di tale potere può essere suscettibile di controllo giurisdizionale”, senza mai “comportare la sostituzione del giudice all’amministrazione”.
I fatti del processo
La controversia tributaria nasceva dall’impugnazione, presentata dal contribuente, avente ad oggetto il rigetto dell’istanza di autotutela di due avvisi di accertamento Ici “per terreni agricoli inseriti in area edificabile”: il ricorrente chiedeva l’illegittimità del provvedimento di diniego per motivazione generica.
In particolare, l’amministrazione (in questo caso comunale), nell’atto di rigetto della domanda, menzionava “immagini satellitari acquisite per gli anni dal 2005 al 2010”, peraltro “non prodotte”. Di contro, il Comune di Terricciola, da un lato eccepiva l’inammissibilità del ricorso, poiché la difesa del contribuente censurava il merito di avvisi di accertamento già definitivi, e dall’altro, in relazione al merito del diniego, rilevava che “le immagini satellitari sono immagini pubbliche in quanto presenti su internet nel motore di ricerca Google Earth”.
La decisione dei giudici
I giudici pisani, per quanto riguarda la asserita inammissibilità del ricorso, hanno affermato – sconfessando la tesi difensiva del Comune - che il diniego di autotutela costituisce atto amministrativo impugnabile innanzi alla giurisdizione delle Commissioni Tributarie, come confermato da precedenti pronunce della giurisprudenza della S.C.[1]
Ebbene, esaminando l’ulteriore questione circa i limiti di valutazione (devoluti al giudice) a fronte di un provvedimento della Pubblica Amministrazione, la Commissione Tributaria adita ha precisato, citando la sentenza n° 9669/09, che “nel giudizio instaurato contro il mero ed esplicito rifiuto di esercizio dell’autotutela” è pacifico il potere di sindacabilità dell’organo giurisdizionale, tuttavia circoscritto alla “legittimità del rifiuto”, e non alla “fondatezza della pretesa tributaria”.
A ben vedere, la chiave di volta risiede nel vietare indebite sostituzioni del giudice all’attività discrezionale dell’Amministrazione: la verifica giurisdizionale deve essere limitata all’esame “della legittimità della condotta omissiva e non può estendersi al merito, ovvero valutare la fondatezza della pretesa tributaria del contribuente”[2].
Orbene, si tratta di un “argine” funzionale a scongiurare ingerenze tra poteri statali, dunque, conclude la C.T.P. di Pisa, il giudice tributario “non può prendere in alcuna considerazione eventuali vizi degli atti di accertamento, né, tanto meno scendere nell’esame della debenza o meno della pretesa azionata”.
In definitiva, la valutazione del giudice circa l’illegittimità, o meno, del provvedimento di diniego, deve essere effettuata esclusivamente nella comparazione “tra le ragioni esplicitate dal contribuente nella richiesta e quelle contenute nel provvedimento”: pertanto, quello che rileva è l’analisi della motivazione addotta dalla Pubblica Amministrazione innanzi ad una precisa domanda del cittadino; in effetti – in tali circostanze – “giustificazioni di mero stile” o “puramente accademiche” possono suggerire ai giudici la fondatezza delle censure sollevate dal contribuente.
Di Federico Marrucci
(Avvocato Tributarista in Lucca e Pisa, presso Studio Legale e Tributario Etruria)  [1] Sul tema, appare utile citare la sentenza della Corte di Cassazione, SS. UU., n° 7388/07, nonché la n° 2870/09 e la n° 9669/09;[2] cfr. Corte di Cassazione, n° 26313/10 e n° 1219/11;