Come è noto, i genitori hanno l'obbligo di mantenere il figlio maggiorenne fino al raggiungimento dell'indipendenza economica, ai sensi dell'articolo 315 bis del Codice civile.
Tale obbligo tuttavia non può e non deve essere protratto oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, dal momento che il diritto del figlio si giustifica in funzione del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione (Cassazione, sentenza del 22 giugno 2016, n. 12952).
Pertanto, laddove venga in contestazione la permanenza dell'obbligo di mantenimento, il giudice dovrà svolgere un accertamento di fatto tanto più rigoroso quanto maggiore è l'età del figlio.
In particolare dovranno essere valutati, in rapporto all'età, l'impegno del figlio nella ricerca di un impiego o comunque nel completamento del percorso di studi intrapreso, nonchè le sue capacità ed inclinazioni personali, purchè comunque compatibili con le condizioni economiche dei genitori (Tribunale di Padova, sentenza del 16 maggio 2016, n. 1506).
La giurisprudenza è pacifica nell'affermare che l'obbligo di mantenimento viene meno qualora il mancato raggiungimento dell'autosufficienza economica sia causato da negligenza o da fatto imputabile al figlio.
Se questi ad esempio è stato posto in concreto nelle condizioni di raggiungere l'autonomia economica dai genitori e abbia opposto rifiuto ingiustificato alle opportunità di lavoro offerte oppure abbia dimostrato colpevole inerzia nel completamento degli studi, perde il diritto al mantenimento (Cassazione, sentenza n. 4765/2002; Cassazione, sentenza n. 1830/2011; Cassazione, sentenza n. 7970/2013; Cassazione, sentenza n. 1585/2014).